Di Elena Mearini avevo letto in passato alcune prove narrative. Ora, con Aritmia, incrocio per la prima volta la sua produzione poetica.
L’impatto per quanto riguarda il contenuto della raccolta, mostra la creazione poetica di questa autrice lombarda come totalmente indirizzata verso la formulazione aforistica.
Una formulazione implacabile, cui si aggiunge un continuo gioco di spiazzamenti rispetto alle presumibili attese dei lettori.
Quasi a rinforzo del dettato Mearini inserisce un’altra formula reiterata, ovvero lo scivolamento del senso rispetto all’assunto in funzione di chiusa.
In moltissimi dei brevi testi raccolti nelle sezioni di Aritmia avviene questa messa in disequilibrio delle aspettative, questo oscuramento del senso che più volte autosmentisce la portata consolatoria dei testi.
Un gioco di equilibri fra le parole, di pesi e contrappesi che quasi mai inciampa. Encomiabile nella sua precisione, ci sarebbe da aggiungere, scorrendo i testi composti nella loro maggioranza da quattro soli versi (ne trovate anche di tre e cinque versi e una minoranza composta da sei e sette versi), in quella che è una variante meno frequentata dell’haiku.
Ma il dettato è molto rarefatto non solo in quantità versale.
Guardando alla sillabazione, si nota come stazioni preferibilmente fra le misure del quinario e dell’ottonario. Vi è come una difficoltà a estendere il respiro, a portarlo verso una misura più ampia, tradizionalmente musicale qual è quella dell’endecasillabo.
Possiamo dire perciò che tutto, nei testi presentati in Aritmia, si sposta verso il racconto di una chiusura, di una parcellizzazione del respiro.
E forse non poteva essere altrimenti, visto che la maggioranza dei testi che Mearini raccoglie in questa silloge sono stati scritti durante i periodi di lockdown da tutti noi sperimentati.
È come se l’autrice volesse riportare nel suo lavoro il sentimento della segregazione cui ci ha costretti l’arrivo sulla scena delle nostre vite il virus Covid-19.
Lo fa stendendolo lungo i sentieri di una interiorità mai direttamente cronachistica, pronta però a mimare e a rimandare verso il lettore un aspetto “fisico”: quello appunto del respiro difficoltoso, imprigionato al pari del corpo, tenuto in gabbia.
L’aritmia del titolo, come ci conferma l’autrice, rappresenta «le irregolarità, le scosse percepite dal corpo e dall’anima quando accadono attimi di “risveglio”.»
Essere coscienti di quanto ci accade attorno, il risvegliarsi in una maggiore percezione di sé e della propria impotenza, della propria limitatezza, del doversi accollare il peso, la responsabilità di quanto resta della propria vita affinché si possa restare in vita, sono tutte diramazioni del pensiero poetico qui messo in campo da Mearini (“Mi prendo cura/dell’ultima me che resta/affinché non si allontani” scrive l’autrice quasi a inizio libro).
Ma la segregazione porta anche a un ulteriore passo verso la parte interna, quella nascosta quanto presente in ognuno di noi. Per cui, durante la notte, le ombre diventano simboli di un inconscio che potrebbe finalmente essere compreso (“Se la mia ombra/si chiamasse casa,/ci entrerei dentro/per farmi visita”), così come il nostro essere sempre infanti oltre che infantili.
Mearini si immerge anche in questo, capendo l’importanza che avrebbe – per raggiungere passo dopo passo la liberazione del pensiero oltre che del respiro – comprendere il proprio sé bambino, l’accoglierlo senza usarlo come rifugio e ulteriore gabbia. Non riesce però a fare il passo successivo, quello capace di scavalcare la constatazione dell’atto (“Abbiamo tutti/infanzie mute dentro,/bambini/che non hanno mai/preso voce”).
Inoltre l’uso del “noi” collettivizzante, in continuo dialogo e alternanza con l’io lirico all’interno di Aritmie, ci fa capire quanto nel volume si tenda a usare la prima persona solo come una torcia pronta a illuminare il buio dell’inconscio in cui tutti siamo impaniati (“Ho molti volti/che mi percorrono il nome,/se mi pronuncio/inciampo nella folla”).
È una poesia duale quanto dialogica, quella che Mearini propone in questo suo lavoro, un continuo rompere il muro del silenzio che da esterno presto si potrebbe proiettare all’interno di ognuno, travolgendolo.
Un continuo rintuzzarne le asperità con altre asperità, con le secchezze della lingua e del dettato.
Mearini dice della difficoltà nel rapportarsi con se stessi, ma anche della necessità di non demordere, di non arrendersi quando, come altri dicevano, “è mancata all’ora la sua luce”.
Sergio Rotino
Recensione al libro Aritmia di Elena Mearini, Marco Saya editore 2021, pagg. 96, € 12,00
Di seguito alcuni testi tratti dal libro
#
–
Stanotte c’è un padre
nelle cose lontane
e una madre
in quelle perdute.
–
Mi sfilaccerei sorridendo
se fossi nuvola affidata
alla sartoria del vento.
–
Ogni tanto resto senza me
per capire se e quanto
io mi manco.
–
Ognuno di noi sa
con quale passo falso
si è reso vero.
–
Vivendo
lascerò che il corpo completi
i punti sospesi
dopo le parole.