Si apre con un uomo in desiderio di riparo, Corpo a Corpo: è Stefano, un insegnante, un tempo pugile semiprofessionista. La boxe l’ha abbandonata in seguito alla prima delle due tragedie della sua vita, ma la palestra resta casa per lui: è solo tra i suoi odori, le corde tese del ring, le movenze rituali ripetute, precise, che può trovare sollievo, comprensione e perdono. Soprattutto nelle parole di Mario, che fu suo preparatore tecnico, mentore e padre putativo. Soltanto a lui, che conosce il motivo del suo allontanamento dal pugilato (si rese colpevole di una sequela di colpi dati per rabbia e sotto extasy che resero invalido un altro giovanissimo boxeur), può confessare di essersi reso protagonista ancora di un peccato grave, l’uccisione di Marta, la sua ragazza.
Con il diario di lei in mano, Stefano si presenta prima dell’alba in palestra sotto la pulsione irresistibile di confessare ogni sua responsabilità: ma dalle pagine del diario, la cui lettura è indispensabile per far comprendere a Mario ogni gesto esasperato del protagonista, la trama si allarga come un’onda nera e magmatica, pronta a sommergere ogni cosa, come nell’illustrazione di copertina di Stefano Bonazzi.
Marta, la vittima, nel piccolo quaderno blu racconta il rapporto con la sorella, Ada, creatura di inarrivabile perfezione: una ragazza da tutti amata, avvolta in un’aura quasi angelicata, con la quale Marta instaura un corpo a corpo – uno dei tanti del romanzo – sfibrante. Perché Ada è naturale luminosa purezza, toccata da una grazia a cui Marta non ha accesso: bellissima l’una, carina l’altra, ricca di ogni talento Ada, figlia e studentessa di medie qualità Marta, che tutto cerca pur di essere finalmente vista, compresa, apprezzata.
Succederà, forse, ma solo alla scomparsa tragica di Ada, trovata inspiegabilmente suicida. È a questo punto che i non-detti usciranno allo scoperto, tra cui un legame insospettabile con Stefano: Ada, perfetta come un vaso prezioso, aveva difatti iniziato a prendere da lui lezioni di boxe, quasi a volersi distruggere, coprendosi di lividi, sporcandosi di vita. Ada entra dunque nella storia di Stefano, dove poi entrerà Marta come sua fidanzata, in un congegno ad orologeria che rifugge lo scontato, in una corsa verso l’irreparabile che prenderà giri di vento del tutto sorprendenti, inattesi.
Compressa in sole diciotto ore, la trama di Corpo a corpo (Arkadia editore, collana di narrativa SideKar a cura di Ivana Peritore, Mariela Peritore e Patrizio Zurru) è una conferma del talento di Elena Mearini, che anche in questo terzo romanzo maneggia con maestria materiale incandescente, consegnandoci un libro che è sì noir psicologico ma è anche romanzo sull’amore e le sue declinazioni talvolta malate, deviate.
Un libro di amore, senso di colpa e rancori: è acutissima Mearini nel cogliere le sfumature delle pulsioni distruttive, il sentimento dell’invidia di cui molto si tace.
Così come della pressione di doversi presentare perfetti in un mondo che richiede perfino un modellamento plastico dei nostri corpi per aderire a canoni di uniformità, per una sorta di accettazione sociale.
È profondo il suo sguardo nel dettaglio straniante: esemplari le pagine dedicate al funerale di Ada, con le immagini che in un momento che dovrebbe essere di solo raccoglimento si sovrappongono, e Marta nota le compagne che hanno i capelli in ordine, appena lavati, però non sono truccate, così si sentono meno in colpa per essere vive, e poi l’ostia che le si attacca al palato (Cristo non è convinto di scendermi in gola, dovrei essere più buona, bella e intelligente per invogliarlo. Ma io non sono Ada, mi dispiace. Amen. La messa è finita. Invidio chi può andarsene in pace).
Omaggio alla boxe, alla lotta fisica e alle sue regole come metafora di vita (vi si citano noti campioni e il libro stesso è suddiviso in round, non capitoli) Corpo a corpo, tra i candidati al Premio Strega 2023, è anche un libro sul potere e i suoi pericoli, l’ambizione di rivalsa, il desiderio umano di occupare un posto nello sguardo di genitori assenti, di compagni di scuola attirati come mosche al miele da un’incorrotta bellezza, del mondo che si ferma all’attrattività di superficie.
È così che nel romanzo la fragilità si trasforma nel suo contrario, l’innocenza in manipolazione, il desiderio di vita in quello di provocare la morte in un piano che sovverte i destini, gestito da un burattinaio impensabile.
Terso e preciso come sempre, il linguaggio di Elena Mearini si fa valore aggiunto ad arricchire una trama semplicemente impeccabile, sorretta dal gioco intersecato delle voci, una scritta, quella delle pagine del diario, scorticanti; l’altra orale, sofferta, disperata. Meravigliosamente.