Il rapporto madre-figlia presuppone, di norma, un amore incondizionato, qualcosa che travalica ogni sentimento e che fa dire al genitore, in tutta sincerità: «Per lei darei la vita senza esitazione e senza alcun ripensamento».
Ma è sempre e solo così? Il romanzo I passi di mia madre. La ricerca di un amore mancato, di Elena Mearini, smentisce tutto ciò trasgredendo la regola e lo fa con l’onestà di chi non vuole negare qualcosa di tremendamente scomodo.
Agata, la protagonista, narra in prima persona la sua storia di editor quarantenne, che si immerge nella vita degli altri attraverso i loro racconti di pura fantasia perché nella sua trova solo il vuoto.
La madre, molti anni prima, ha abbandonato lei adolescente e il marito. Una fuga improvvisa e silenziosa dietro a uno sconosciuto. Non le resta che aggrapparsi ai ricordi. Gli stessi pronti a restituirle un genitore anaffettivo inadatto ad assolvere il suo ruolo, anche nei rari tentativi fatti, e che la porta ad affermare: «volevi scappare dalla parola “madre”».
In quanto al padre, troppo presto si è assuefatto alla mancanza. Abituato a rarefare le parole e i gesti, tenta di rimediare con l’aiuto economico alla figlia: «soldi al posto di carezze».
«Tira su la testa». La voce proveniente dall’infanzia come imperativo a lei rivolto chissà quante volte, ritorna puntualmente nella sua mente al risveglio, nella stanza inondata di luce e quando cammina con lo sguardo puntato verso il basso.
Sentirsi inadeguata, non reggere il confronto con la bellezza della madre. Ridurre il proprio spazio per non sottrarlo a quest’ultima, l’ha portata a fare del suo corpo un tentativo di trasparenza, diminuendo il consumo di carboidrati e proteine.
«Ognuno trova i suoi metodi per sopravvivere, io mi ero inventata la dissoluzione» dice la protagonista.
La fame l’aiuta: è il rimedio temporaneo al vuoto esterno che la circonda, insieme alle gocce di Xanax, così come l’atto sessuale con Marco, suo vicino di casa, è tutela dall’estinzione.
L’assenza della madre va colmata. Agata ha bisogno di sentirsi figlia e si affida alla scrittura sotto forma di lettera per ripercorrerne la storia, secondo la sua immaginazione: «…un’ossessione di salvataggio che saprà tenermi a galla».
Le colpe vanno espiate.
Quale luogo migliore di un convento di suore perso tra le alture di Lavagna, in Liguria. ricordo di villeggiature con i genitori in tempi lontani?
Immagina il taglio dei capelli della madre, lo spogliarsi degli abiti che ne esaltavano la bellezza e ne facevano oggetto di desiderio, la ricerca dell’avvicinamento a Dio e, finalmente, a lei come figlia.
Entrambe si sono nutrite di assenze, di bugie, di dolore e di tempi dilatati.
Così con Samuele, l’uomo sbagliato di Agata. Capace di donarle attimi di estasi, subito ridimensionati da fughe. Il cellulare a portata di mano, consumato dallo sguardo, come compagno delle giornate nel bisogno di un suo cenno, di un appuntamento non rimandato, dell’illusione di una presenza su cui fare affidamento.
Non basta fantasticare, occorre agire per dare corpo al vuoto, a quel qualcosa di incompiuto per volere, per destino: questa la scelta della protagonista.
È un libro che si affida al tempo scandito dalle attese e a una scrittura scorrevole che, come nelle poesie dell’autrice, scarta il superfluo per puntare all’essenziale, efficace nel donarci le emozioni che da lettori pretendiamo, attraverso una storia che si evolve e ci invita a imitarla.
Candidato al Premio Strega 2021, I passi di mia madre non avrebbe di certo sfigurato nella cinquina finalista.
Carla Magnani
Recensione al libro I passi di mia madre di Elena Mearini, Morellini Editore 2021, pagg. 153 , € 15,90