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Elogio della sperdutezza. Roberto l’esule di Alicudi

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Di vino, di poesia o di virtù: come vi pare. Ma ubriacatevi

I Paradisi Artificiali (1860) di Charles Baudelaire

Il primo incontro non si scorda mai …

Il mio sentiero di vita s’incrociò con quello dell’artista napoletano Roberto Longo, in arte Contessa SchifaNoja di Alicudi, sulla mulattiera che porta al vulcano dello Stromboli in una ventosa mattina del settembre 2020.
Lui scendeva.
Io salivo.
Complice la piccola allegra
Floh, la sua cagnolina, ci fermammo a parlare.
Ci piacemmo.
La fatalità, con accezione veneziana, mi portò poi ad Alicudi nella sua magica e artistica dimora,
La Monachedda a 450 gradoni dal mare, che mi accolse e raccolse dai miei tumulti uterini.
Mi innamorai intimamente dello scoglio selvaggio ostico e onirico. E del suo strambo e delicato proprietario.

A unirci un amore profondo per l’isolitudine, i pasticci culinari, il sogno, il gioco, i curtigghi (il pettegolezzo in siciliano), l’ironia e un’intensa appucondria, parola che ho imparato – che bello imparare – leggendo le colte parole del raffinato Cesare Cunaccia, giornalista scrittore e tanto altro. L’appucondria, termine napoletano al quale Pino Daniele dedicò una canzone, è un sentimento nobile, di dolce apatia, che si riflette in una sensazione di profonda malinconia, dovuta a indolenza e impotenza, piacevolmente dolorosa.

Da quell’incontro fortuito e fortunato nacque tra noi un amoroso e giocoso sentimento, condito da incroci isolani, tra Stromboli, la “mia” isola, e Alicudi, la “sua”. Due sensibili esuli, spiritati e spiritosi, che aborrono la realtà perché, in realtà, la realtà non esiste come sostiene e dipinge il maestro.

Roberto è un artista autodidatta, come i veri pincisanti i pittori su vetro della tradizione siciliana, tecnica minuziosa e speculare perché si dipinge al contrario. Le sue ispirazioni provengono dal Mediterraneo, dalle isole, dalle allusioni pagane e cristiane, dai cunti, i racconti popolari siciliani, dai miti greci, i curtigghi ante litteram.

Attingo da quello che mi viene raccontato dagli anziani dell’isola perché qui c’è una inesauribile tradizione narrativa. Sono molto affascinato dai temi del paranormale delle isole: Alicudi ha tutta una tradizione legata ad esempio alle Mavare, donne magiche che dopo aver pronunciato degli incantesimi si dice che possano volare nottetempo sulla terraferma e vivere liberamente tutta la notte tra sesso e ruberie senza censure e senza regole, trasportate in un’altra vita senza giudizio e senza condanna, per rientrare nel loro letto alle prime luci dell’alba e risvegliarsi accanto al marito come niente fosse…

In ogni realtà c’è una piccola magia, e se pensi che qui siamo circondati da crateri, non è poi così strano sentirsi sempre sull’orlo dell’irrazionale. E allora per me la cosa più importante alla fine è vivere, e forse morire, nella bellezza. 1

(Roberto di Alicudi)

I suoi quadri, che io preferisco definire quadretti con immenso rispetto per tutto ciò che è piccolo, giocoso e gioioso (insomma, come me!) sono cabinets of curiosities, come li definisce la scrittrice Luisa Brancaccio, anche lei isolana nell’anima e e psicomagica gattara arcudara.

Il legame con Roberto mi ha condotto a seguirlo nelle sue mostre tra isole, perdendomi solo la mostra Genius Loci ad Alicudi nel 2021 perché il “cattivo” maestro scelse di farla in pieno agosto dove io sarei sciddicata (rotolata in siciliano) sudata sui gradoni delle irte mulattiere.

Fu un successo.

Perché Roberto, rifacendosi alla filosofia di vita della Divina Marchesa Luisa Casati Stampa, altra fonte d’ispirazione dell’artista, è “un’opera d’arte vivente”. Non sono solo i suoi dipinti a rapire e incantare ma tutto il mondo onirico fiabesco e sciroccato che crea e raggruppa intorno a sé e che conduce in un altrove allegorico e metaforico. Mitologia di sensibili sensi.

Colonna sonora delle sue esibizioni è spesso l’amico Erlend Øye dei Kings of Convenience che, con la sua poetica chitarra e suadente voce, ammanta e ammalia.

Gli amici lo seguono e lo sostengono perché Roberto produce sogno e tutti noi vogliamo volare via dall’orrida realtà – che non esiste, sia chiaro – come le fantomatiche streghe eoliane, le majare di leggendaria tradizione.

Nel 2022 lo sorpresi a Salina per la sua mostra Camurrìa – termine siciliano che definisce qualcosa di complicato, che implica uno sforzo, come sbrogliare i nodi di una rete o sopportare un discorso ripetitivo e noioso (Roberto di Alicudi) – nella meravigliosa galleria Amanei di Santa Marina, dove conobbi anche sua madre, la nobildonna Marisa che mi salvò da una vampata di svenimento, nonostante la sua costituzione minuta e l’età avanzata. Roberto ci vide e ci definì le Diavolesse mentre ci rifocillavamo a champagne e sigarette dopo la mia clamorosa débâcle psicofisica.

Fu un altro successo.

Nel 2023 tutta la banda di amici, curatori, ammiratori, curiosi lo seguì a Palermo dove Roberto fece un’altra stupefacente mostra, con tanto di fantasiosa video installazione e performance danzante della Compagnia Virgilio Sieni, intitolata Hotel Patria, a Palazzo Lucchesi Palli nell’atelier della famiglia Parlato, dell’omonima storica ditta di tessuti.

In quell’occasione Roberto creò anche una stanza nascosta da una tenda rossa con un piccolo cabinet erotico, una sorta di scanzonato e impertinente “gabinetto segreto2”, divertissement dell’artista, ironico e dissacrante; ça va sans dire i miei quadretti preferiti!

La famigerata banda al seguito, composta da monelli di elevati livelli, gli fece una zingarata alla Amici Miei. La mostra fu inaugurata il 1 di aprile, ossia nel giorno del famigerato Pesce d’Aprile, pertanto per onorare la burlesca ricorrenza, poco prima dello scoccare della mezzanotte gli facemmo credere che uno di noi, il Pier Alicudi, altro esule isolano, fosse stato arrestato. Il maestro abboccò all’amo per la ridanciana gioia dei suoi diabolici amici. Inutile dirvi chi sia stata la mente dietro siffatto perfido scherzetto!

Roberto è un’anima errabonda, solitaria, silenziosa. Ricorre nei suoi dipinti la parola SILENZIO, valore centrale della sua esistenza e caratteristica principale dell’isola che ha scelto come suo eremo: Alicudi, dove nel suo magico antro abbarbicato sul mare, l’artista dipinge, pensa, osserva, respira.

Ma soprattutto sente, tutto.

Anche il silenzio.

The Sound of Silence … oramai perduto in un frenetico e frastornante chiacchiericcio futile e inutile.

Tanto rumore per nulla.

Roberto vibra di sensibilità.

Osserva. Ascolta. Indaga. Curiosa.

Si commuove per piccole cose.

Nota dettagli.

Segue tracce.

Depone fiori sulle antiche tombe del cimitero di Alicudi.

Onora i fulminati di vita, e di morte.

Danza sulle mulattiere mascherato da caprone.

Si inebria solo con champagne.

Cucina la pizza di fango.

Si meraviglia con stupore fanciullesco.

In compagnia della sua inseparabile e adorabile cagnetta Floh.

Degli spiriti.

Dei demoni.

Delle anime.

Dei fantasmi.

Chi sa che la realtà non esiste non teme l’aldilà perché già lo abita.

E’ l’aldiquì a farci terrore. Oltre che orrore.

L’imperdonabile perdita di bellezza poesia e magia.

La stolta devozione al produttivismo.

La lacerante mancanza di gentilezza d’animo.

La volgare esibizione di becero materialismo.

La nostra personale protesta da perdigiorno – parola di sublime bellezza – contro il dogma contemporaneo del fare e strafare. Infatti, finiscono tutti strafatti. Manifesto ozioso contro il lavorismo compulsivo. Il vero padre dei vizi è il pensiero comune, l’assoggettamento all’algoritmo tiktoktico di vite effimere e superficiali. Noi siamo contro il dovere imposto per un riscatto ludico dell’esistenza. Il tempo realmente perso è tutto quello che non dedichiamo all’imparare a vivere.

Bisogna ricrearsi – vi ricordate l’ora della ricreazione a scuola? – e rinascere nella bellezza, nell’arte, nella cultura, nell’amore, i nostri unici alleati in questa fugace esistenza. Come diceva il grande scrittore, e filosofo di vitaccia, Charles Bukowski nel libro Panino al Prosciutto: La gente era limitata e diffidente, tutta uguale. E io devo vivere tutta la mia vita insieme a questi coglioni, pensavo.

Bisogna disfare, de-creare, disonorare, fallire, come filosofeggiava Emil Cioran. Non fare niente se non vedere le ore passare. Sempre meglio che cercare di riempirle.

Roberto le, e si, riempie di luce, nuvole, onde, suoni, sfumature, lampi, stelle, spiriti, incantesimi. Nella sua Alicudi abbraccia quel sentire collettivo invocato da Diefenbach, artista del panteismo tedesco e anche lui esule isolano in quel di Capri nel tardo Ottocento.

La sua ultima mostra, la personale Jeunesse d’Amour ha inaugurato l’8 giugno 2024 a Villa Lysis, Olimpo caprese dell’assoluto e dissoluto Barone Jacques Fersen, sulle vette del Tiberio, dimora che prende il nome da Liside, Lys, l’adolescente ateniese, candido come un giglio (le fleur de lys), del dialogo giovanile di Platone: Villa Lysis. La dimora, riflessa di luce divina, è anche il mondo, l’universo spirituale del suo fondatore, il luogo eterno, transtorico dell’amore assoluto e del dolore, un eremo senza tempo. (Da I Misteri di Villa Lysis – Testamento e Morte di Jacques Fersen di Fausto Esposito, Edizioni La Conchiglia, anche splendida libreria di Capri.)

Prima di partire alla volta di Capri per (ri)congiungermi all’amato Roberto, il nome Fersen mi ricordava solo il Conte Fersen del cartone animato Lady Oscar … Confesso di non sapere. In parossismica ansia da prestazione intellettuale, perché sull’isola sarei stata ospitata dal maestro nella storica dimora di Casa Moneta insieme a nomi prestigiosi del mondo dell’arte, mi sono attaccata al web cercando di colmare alcune delle mie abissali lacune nel fantozziano tentativo di non sfigurare al cospetto di siffatta raffinata congrega. Ancora un po’ e mi scrivevo pizzini da nascondere sotto il tavolo! Ridendo, quanto mi piace ridere, mi sono rivista nel Woody Allen di Tutti Dicono I Love You quando invaghitosi dalla bellissima Julia Roberts, esperta del Tintoretto, il nostro Woody finge una conoscenza profonda del pittore, apprendendo alla carlona qualche aneddotica informazione (Ah il Tintoretto … Le sue fulminee pennellate … I chiaroscuri … Le esplosioni di colore … Nato nel 1518 solo per morire nel 1594…). Inarrivabile!

Come se non bastasse l’ansia intellettuale, nella gita a Capri si è inserita anche l’ansia estetica perché soggiornando per lunghi mesi a Stromboli il massimo dell’eleganza calzaturiera che posso sfoggiare sono le Birkenstock! In panico da prestazione fescion, la milanese che è in me – perché posso lasciare Milano ma Milano non mi lascia mai (in pace!) – già mi vedevo sudata e scompigliata al porto di Capri, invaso da allucinanti masnade di day-tripper, con tanto di bandierina e auricolare, alla frenetica ricerca del mitologico sandalo caprese. Che avrei acquistato a cifre folli pur di non sfigurare nel bel mondo locale. Mi è bastato vedere le stradine inerpicate dell’isola dell’amore per abbandonare qualsiasi velleità modaiola e tenermi ben saldi ai piedi i terribili, seppur comodissimi, sandali tudesc.

Salita sulla funicolare, insardinata in una bolgia dantesca di sbarcaroli selfiecenti, sono stata espulsa nel cuore di Capri davanti alla leggendaria Piazzetta. Se mi fossi fermata a fare una story assai instagrammabile, sarei perita calpestata dall’atroce turistificio. Fortuna mia avevo quale nobile guida l’eterea Luisa Brancaccio con elegantissimo compagno, dietro ai quali ho arrancato con in spalla il mio zainetto da viaggi low-cost – quelle horreur! – al quale in un mismatch di high & low ho abbinato borsetta batik acquistata alla boutique di Gioacchino a Stromboli. Absolute Fantozzi. La cui clip della gita a Capri con la Signorina Silvani mi è stata inviata dal perfido maestro per schiantare ogni mia pretesa di eleganza!

Il tempo di salire e abbandonare a valle lo squallore di chi “visita” un luogo solo per immortalarsi a favore di social media, e ho iniziato a respirare la magia di Capri. Gli anziani seduti all’ombra che guardano curiosi chi passa, la signora Maria con la quale ho scambiato due chiacchiere ristorandomi a una fontanella, il 92enne Vincenzo dagli occhi tonalità Grotta Azzurra che ancora fa il farfallone con le turiste, il panorama mozzafiato, le botteghe alimentari, le americane con i sandali gioiello…

Giunta al Tiberio, zona elevata, ho avuto privilegiato accesso a Casa Moneta, che dicono essere la casa più infestata di spiriti dell’isola (che gioia!), percorrendo un bellissimo viale con colonne doriche che attraversa l’ampio giardino. Mi sono sentita come Cenerentola al ballo!

E nemmeno essere stata sistemata nella stanzetta della serva, ma con tanto di bagno en suite, ha scalfito il mio entusiastico stupore! Anzi, mi sono sentita profondamente onorata e lusingata di essere stata invitata dall’amico Roberto a celebrare un momento così importante della sua carriera artistica. Per quanto, per un attimo, abbia temuto di essere stata coinvolta in qualità di collaboratrice domestica. Ma come?! Io, la Contessina Ortensia Vien da Bellano, nome d’arte che avrei voluto sciorinare invece di essere presentata come Falli Felici dal malevolo maestro ai suoi blasonati ospiti.

L’allegra combriccola di Casa Moneta annoverava anche amici conosciuti durante le passate mostre, tra cui Valentina Rippa, deliziosa “curatrice dell’impossibile, una roccia con la grazia di una piuma”, come la descrive Roberto, insieme alla sua adorabile famiglia. C’erano musicisti e danzatori. Curatori d’arte. Scrittori. Un ensemble di persone, non personaggi, davvero irresistibili. Cullati dal fresco vento che spazzava tra gli alberi, inebriati di champagne – il maestro pasteggia solo a bollicine (io a Stromboli con il cartone di vino…) – deliziati dalla musica della bravissima Naomi, suonatrice irlandese, e dalla chitarra di Erlend, abbiamo avuto il sommo piacere di godere di una cena a lume di candela per pochi eletti, una ventina. Sdoganate le Birkenstock, anche perché impossibilitata dall’indossare décolleté che mi avrebbero fatto derapare al suolo, vestita con tutone di cotone rosa antico (molto Tenerone del Drive In), ho accolto gli ospiti con il mio proverbiale sorriso e spirito.

La missione impossibile era conquistare il plauso, giammai l’applauso, del temibile intellettuale Cesare Cunaccia, uomo di erudizione divertita, eleganza di pensiero e parola, spietato, sagace, spiritoso. Tra una gaffe e l’altra – oltre a flâneuse sono anche gaffeuse – ho fatto breccia sull’affascinante flâneur con l’unica carta che potevo vantare nel mio mazzo da barona (non nell’accezione di nobile, bensì di truffaldina): l’effervescente personalità!

Verso l’una di notte, ebbri di poesia, musica, arte, prelibatezze e sciampagna, ci siamo dati la buonanotte perché il giorno stesso ci sarebbe stata l’inaugurazione con tanto di performance danzante dei Satiri nella magnifica cornice di Villa Lysis.

C’è stata solo una nota stonatissima in quella magica serata ma la sorvolo citando la frase mantra di Forrest Gump: E su questo argomento non ho altro da dire.

Potevo leggere, nonché sentire, in Roberto l’ansia crescere per questo suo momento di meritatissima gloria. Un percorso partito nel 2017 con la prima mostra alla Biennale di Filicudi, un’altra isola, celebrato ora nella villa di uno dei suoi idoli di vita, il travagliato ambiguo “diverso” Barone Jacques Fersen, che si immolò all’amore e al dolore, invischiato in un vortice autodistruttivo culminato nell’abuso di oppio e cocaina che lo portarono alla morte nel fumoir, la stanza dell’oppio, che fece costruire nelle viscere della villa e dove Roberto ha scelto di allestire, in suo onore, la mostra Jeunesse d’Amour.

Mi ha detto che a ogni chiodo che appendeva alle pareti sentiva la presenza di Fersen, temeva il suo giudizio, quasi impaurito di molestarne lo spirito … io credo, invece, che il Barone sia rimasto ammirato e innamorato delle opere di Roberto, dell’opera vivente che è lui stesso. Una comunione di amorosi e dolorosi sensi li unisce. Entrambi esuli, l’uno di Capri, l’altro di Alicudi, uniti non solo da isolitudine ma da (in)sofferenza e diversità.

Come ha scritto Roberto nel catalogo3 dedicato alla mostra:

Jeunesse d’ amour nasce come chiusura di un cerchio. Devo, con la mente, ritornare molto indietro nel tempo, ad un me stesso bambino, per individuare il momento in cui la parola ‘ Isola’ divenne perno intorno a cui cominciò a girare la mia vita. Fu l’idea stessa di un luogo staccato dal mondo ad attrarmi, l’isola mi sembrò fin da subito non solo un luogo geografico denso di fascino ma anche un obiettivo di vita. Il perché di questo desiderio di fuga credo fosse dovuto sia ad un’infanzia assai infelice ma soprattutto alla romantica bellezza di Capri. Ci sono persone che restano folgorate davanti ad un Caravaggio e, da lì in poi, fanno dell’ Arte il loro campo di ricerca, altre che scoprono di amare le macchine con i motori potenti e diventano piloti o collezionisti di Ferrari, a me è successo di sentire una corrispondenza d’ animo con l’isola azzurra, con gli scogli circondati dal mare, con le navi in porto, le scalinate segrete, il rumore del proprio respiro mentre si arriva al mare.

Un lungo peregrinare durato anni per cercare dove l’idea dell’esilio potesse avere una moderna applicazione. E fu sempre da Capri che partì questo percorso, più precisamente dalle pagine di un libro che fu colpo di fulmine, ‘L’Esule di Capri’ di Roger Peyrefitte. 

Ed ora questa mostra si propone come gioco di specchi, due isole a confronto, Donna Capra e Donna Ericusa, mineralogicamente diverse eppure unite da uno stesso sguardo enigmatico sul mondo. Entrambe sono luoghi estremi, verticali, montagne dove il mare è spesso uno sfondo sul quale si muovono sirene e poeti, pirati e amanti della solitudine. 

Mi sembra che la mia strada debba ripartire da queste rocce bianche, da questa realtà che guardo con occhi che la trasfigurano. Non vedo nulla di quello che mi circonda, colgo solo i particolari che riconosco, le tracce che non sono svanite.

Ma, del resto, a chi piace la realtà? A me no.

La sera dell’inaugurazione mi sono incamminata verso la rocca di Capri unendomi a un flusso di gente attirata fino alla sommità di Villa Lysis, immersa in uno spettacolare scenario naturale, incantata dall’estro armonico del “pittore magico” e commossa dalla miscela di leggenda e fantasia che aleggiava nell’atmosfera. Il bel mondo di Capri, ma anche di Roma, Napoli, Palermo e isole varie, si è raccolto per ammirare e farsi contagiare dall’arte sciroccata e buffonesca di Roberto. In mostra c’erano cinquanta opere caratterizzate dalla pittura narrante di Roberto, che attinge dalla storia e dalla mitologia, con riferimenti alle tradizioni, ai riti pagani ed esoterici, ai sogni, ai viveurs della mondanità caprese, tra leggende e frivoli personaggi, in un mix di sacro e profano.  

Ecco quindi la Marchesa Casati Stampa con il fidato leopardo e un pavone blu, il sadico De Sade, la temeraria principessa Pignatelli, Matermania, i Faraglioni, la Torre dell’Orologio, il Bar Tiberio, Casa Malaparte, la Grotta Azzurra, Punta Tragara e altri luoghi universalmente famosi che non potevano sfuggire alla virtuosità dell’artista.

Scesa nelle Sale della Fumeria, gremite di gente, il vapore creato ad arte avvolgeva la stanza e le opere a ricreare simbolicamente il fumo dell’oppio, croce e delizia del Barone. Peccato non fosse oppio vero… Onirica e surreale è stata la video installazione in cui è ripresa la performance realizzata dall’artista con la comunità di arcudari, ispirata al sentire collettivo di cui Diefenbach fu il fautore nell’isola di Capri.

Assolutamente suggestiva e struggente è stata la performance di danza contemporanea I Satiri della prestigiosa Compagnia Virgilio Sieni che ha visto protagonisti i danzatori Maurizio Giunti Jari Boldrini, accompagnati dalla poetica musica della violoncellista Naomi Berrill.

Mentre tutti prendevamo posto a sedere sulla scalinata di Villa Lysis per assistere in stupefatto silenzio alla performance, in rapita ammirazione del panorama caprese, è successo il miracolo: non ho MAI usato il telefono, non ho ripreso nulla, non ho selfiezzato, non ho storyzzato … Perché mi sono lasciata incantare dalle note di musica e dai passi di danza, grata di essere presente e di vivere dal vivo e dal vero un’emozione così toccante che mi ha mosso a lacrime. Protetti dalle lenti scure degli occhiali, i miei occhi si sono inumiditi di meraviglia e bellezza, di poesia e arte, di natura e amore. Tale era la gioia commossa di sentire tutto avvolgermi, avvolgerci, quasi trasportata nel secolo scorso quando questo luogo era stato consacrato all’amore e al dolore.

Ho sentito l’amore e il dolore di Roberto/Fersen, la sua sperdutezza, la sua solitudine, la sua arte.

Ho scansato come meglio ho potuto il chiacchiericcio, le pablic relescions, la mondanità da opening, ossia tutto quello che stonava con il sentimento sublime che stavo vivendo. Avrei voluto isolarmi per lasciare marinare nel mio intimo la meraviglia che mi pervadeva. Tuttavia the show must go on e ho seguito per le stradine dell’isola una fiumana di bella gente invitata nella prestigiosa villa a Via Tragara di Michele Pontecorvo, presidente regionale del FAI Campania, dove sono stata addirittura riconosciuta – ah che brivido di vippismo! – da eleganti donne napoletane.

Tuttavia sentivo desiderio di escapismo, di percorrere in solitaria le viuzze, di ascendere verso la casa degli spiriti a riposare i sensi e ho fatto un’uscita alla chetichella, che il mio astrologo Marco Pesatori dice essere specialità del Cancro, il mio segno zodiacale. Compiuta la fuitina notturna, ho iniziato a ripercorrere in salita la strada, senza mai perdermi, e quando ormai ero “al sicuro” mi sono imbattuta in un ridanciano tavolo di raffinati ospiti di Roberto che mi hanno “costretta” a bere copiose dosi di limoncello caprese!

Rientrata ebbra e stralunata nella storica dimora, ho assaporato in gaudente solitudine l’incanto dei due appassionati giorni nella magnifica isola dell’amore. Silenziosa ho ammirato i sinistri quadri di casa, con l’udito ho cercato di sentire gli spiriti e il passato radicato. Ahimè nemmeno uno spirito porcello a molestarmi. Stremata mi sono lasciata cadere nel sonno nella mia stanzina. Con il cuore in subbuglio per l’ammirazione e la felicità di vedere un intimo amico realizzare il suo sogno e di essere premiato per la sua arte.

La mattina dopo mi attendeva la partenza ma mai avrei potuto lasciare Capri senza fare una capatina nella splendida libreria La Conchiglia, anche casa editrice, che ho svaligiato nutrendo l’anima e la curiosità. Altro che sandaletti. O tramezzini al porto al costo di 18 euro.

Il viaggio continua. Di vita. Di arte. Di eros.

E seguirò il nostro Roberto in capo al mondo.

Purtroppo sì, caro maestro, questa è una promessa e una minaccia.

Immensamente illuminata, fintanto luccicata, dalla tua arte di vita, Contessa Schifanoja di Alicudi.

Roberta Denti

1  (FONTE ARTRIBUNE)

2 Ringrazio la splendida Donatella Bernabò per aver presto “in prestito” la sua poetica descrizione del mondo onirico di Roberto. Leggetela qui https://www.donatellabernabo.it/il-favoloso-mondo-di-roberto-di-alicudi/

3 Roberto di Alicudi: Jeunesse d’Amour Edizioni Editoriale Scientifica (disponibile alla Libreria La Conchiglia di Capri, sull’e-shop della casa editrice e su Amazon) in versione bilingue italiano/inglese. Ve lo consiglio sia per le immagini delle opere scattate da sia per i magnifici testi a cura di Roberto di Alicudi, Valentina Rippa, Cesare Cunaccia, Luisa Brancaccio e Alfredo de Dominicis (l’editore) da me confuso più volte con il nome Renato, dalla sua deliziosa moglie Renata! Con contributo anche di Michele Pontecorvo Ricciardi Presidente Regionale FAI Campania e Vicepresidente di Ferrarelle Società Benefit.

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