Il 20 agosto 1968, facevano il loro ingresso entro i confini della Cecoslovacchia 12 divisioni corazzate, 12 divisioni motorizzate e 2 di paracadutisti, tutte appartenenti al Patto di Varsavia. Obiettivo dell’azione militare è quella di spegnere ogni velleità, ogni chance di sopravvivenza del cosiddetto ‘socialismo dal volto umano’ il cui simbolo era stato Dubcek allora segretario del partito comunista, colui che più di altri era stato il massimo assertore della svolta che intendeva ripristinare una parvenza di sovranità nei confronti dell’URSS, liberalizzare l’economia quel tanto da farla emergere dall’asfissia della stagnazione, permettere il multipartitismo e l’osservanza dei diritti umani, il rispetto della libertà di stampa e ciò senza rinunciare ai presupposti del socialismo e alla fedeltà verso l’URSS. Gli esponenti del partito comunista favorevoli a Dubcek furono subito imprigionati, alcuni fucilati, Radio Praga fu occupata. Alla fine del giorno seguente a Praga si conteranno 19 morti (100 in tutto il paese). Già durante la mattina del 21 la folla era adunata attorno ad un uomo di mezza età, magro, quasi emaciato che arringava la folla senza sosta, l’uomo era stempiato, il volto pallido come se avesse passato molte notti insonni, indossava una giacca bianca logora, scarpe da ginnastica e dal piedistallo della statua di San Wenceslas si poteva coglierne l’urlo quasi stridulo e arrochito dallo sforzo di farsi sentire tra lo sferragliare dei cingolati e le grida i fischi di scherno rivolti di continuo contro gli occupanti, uno poteva intuirne la deplorazione nella voce, a volte questa voce diveniva rabbiosa dalla frustrazione, a volte era invece come colta dalla commozione, tornando alla veemenza poco dopo quando denunciava il sopruso il tradimento l’orrore storico dell’invasione in atto.
A qualche metro di distanza frotte di giovani esterrefatti affrontavano i tank a mani nude, esposti ai tiri dei cecchini appostati nei palazzi. Quell’uomo si chiamava Emil Zátopek e rappresentava ancora nel 1968 un simbolo assoluto della Cecoslovacchia e il più rinomato campione dello Sport che il mondo avesse conosciuto dal 1948 a tutti gli anni ’50. Uno degli atleti più possenti, più straordinari che abbiano mai solcato la pista di atletica, colui che non a caso sarebbe stato soprannominato “la locomotiva umana”.
Era nato nel 1922 in Moravia, settimo figlio di un carpentiere. La famiglia è poverissima. Passa l’infanzia in una scuola disciplinare professionale a Zlin, divenendo apprendista in una fabbrica di scarpe. Erano gli anni dell’occupazione nazista quando lo inducono a correre scoprendo che ha un vero talento nella corsa. Lui non ne aveva voglia, ma scopre che correre non gli costa alcuna fatica. Sebbene avesse uno stile scomposto, braccia troppo alte, testa basculante, tronco piegato all’indietro, spalle oscillanti, la faccia una smorfia di estenuazione, malgrado sputi di continuo e si lamenti mentre corre con accelerazioni e decelerazioni inspiegabili, alla fine dell’occupazione tedesca è il più forte fondista ceco. Entra a far parte del ricostruito esercito cecoslovacco e diventa un convinto comunista sino a scalare la gerarchia del Partito.
È il 1948 l’anno del suo debutto internazionale alle Olimpiadi di Londra.
A Londra porta con sé una chitarra perché gli piace cantare, Emil è un giovane entusiasta, empatico col prossimo, pronto al riso e alla battuta, curioso. Un’eccentrico che adora la vita. È sposato con Dana Ingrova che vincerà ad Helsinki l’oro nel giavellotto. I suoi allenamenti quotidiani sono massacranti. Inventa una tecnica di allenamento che consiste nella ripetizione ad libitum di allunghi, adotta la tecnica dell’iperventilazione, ma è anche capace di correre per ore, Emil pare non sentire la fatica, la corsa gli è connaturata, si direbbe.
Tuttavia il suo battito a riposo non supera i 50, la pressione del sangue è negli standard, è un essere normale, alto 1,82 per 72 chili di peso. Non è a causa dei geni ereditati che è diventato il fondista più forte di tutti i tempi, tutto il merito va caso mai ad un temperamento eccezionale, ad una volontà implacabile e allenamenti massacranti che compie con qualsiasi tempo, persino in mezzo alla neve. Certamente è un fenomeno, presto il Partito lo porta ad esempio nel disegno dell’edificazione socialista, in verità Emil è già amato da un intero popolo.
A Londra conquisterà la medaglia d’oro nel 10000 e quella di argento nei 5000. Ma sarà nel 1952 all’Olimpiade di Helsinki che il suo mito sarà consacrato: sarà l’unico nella storia delle Olimpiadi a vincere 5000, 10000 e la Maratona, e ciò nello spazio di sette giorni. Una impresa incredibile e ancora ineguagliata. Nel corso degli anni straccerà ogni record, vincerà ogni competizione, è sopra gli altri, un Re che tutto il mondo onora.
Ritorniamo ai giorni della Primavera di Praga, dopo la restaurazione e l’epurazione di Dubcek, Emil verrà cacciato dal partito, il suo nome verrà cancellato dalla memoria collettiva sino al 1990 anno in cui Victor Havel lo riabiliterà. Sino a quella data Emil Zatopeck sarà costretto a lavorare fuori da Praga, persino in miniera, lontano dalla sua famiglia, con gli anni il regime attenuera’ le misure contro di lui, servendosene per le traduzioni visto che conosce perfettamente sei lingue.
Nella memoria rimarrà incisa la sua figura allampanata e furente in piazza Wanceslaw, il coraggio con cui arringò senza soste la folla, inducendola a resistere, forse la gara più importante di tutte nella sua vita, quella in cui il suo spirito di abnegazione raggiunse l’apice dello sforzo.
La locomotiva umana ci lasciò nel 2000 senza troppi strepiti, quasi di soppiatto. Qui rendiamo onore alla sua grandezza.
Marcello Chinca Hosch