Un libro che ho trovato senz’altro godibilissimo ma che, ai miei occhi, ha peccato di una problematica di fondo (chiaramente senza colpe dirette da parte sua): l’averlo letto successivamente a Che cos’è l’esoterismo di Bruno Bérard e Aldo La Fata (del quale già, tra le colonne di Satisfiction, ho proposto una recensione) e di conseguenza, dati gli argomenti per certi versi similari trattati, essermi ritrovato, per quanto involontariamente, ad effettuare un qualche confronto tra i due.
Infatti, se quello è un testo in tutto e per tutto esplicativo, fin manualistico in determinati suoi tratti (e ciò sia detto in senso assolutamente positivo: è normale che le infarinature, su ogni argomento di cui si voglia apprendere qualcosa, vadano fatte sui manuali), il cui scopo dichiarato è quello di mettere dei paletti fra ciò che è esoterismo e ciò che non lo è e mai lo potrà essere, questo – utilizzando il lessico alchemico che i due autori padroneggiano abilmente – sembra limitarsi alla prima fase, quella in cui i diversi elementi vengono versati nel calderone ed iniziano sì a putrefarsi prima, quindi a dissolversi ma faticando a raggiungere la fase di sublimazione e purificazione.
In Torino e il triangolo della Magia esoterismo e occultismo vengono considerati (e trattati) da sinonimi, quando invece il rapporto tra i due concetti è più di “filiazione bastarda”, essendo il secondo, da Aldo La Fata, considerato o presupposto o ultima ramificazione del cosiddetto falso esoterismo (ma con ciò non si vuol dire che le opere degli occultisti – specialmente di quelli che furono insigni studiosi: ne cito due a titolo d’esempio, e cioè Papus ed Eliphas Lévi – non vadano lette, studiate, in fin dei conti addirittura assimilate, non fosse altro che per avere contezza che gli autori in questione esoteristi non lo sono!); ho d’altra parte molto apprezzato la giusta considerazione data a Carl Gustav Jung e a Mircea Eliade, trattati da pari loro (e furono veramente molto) ma senza attribuzioni o titoli non corrispondenti al vero delle proprie personalità di studiosi: Jung uno psicanalista che cercò di ricomprendere nel suo ambito specifico di studi (quella psicanalisi – tante volte definita non erroneamente ma neppure così correttamente – psicologia analitica o “del profondo”) i concetti alla base dell’Opus alchemico; Eliade una eccellente figura di filosofo e, in quanto tale, specialmente fenomenologo ma anche storico le cui opere in tema sono assolutamente consigliabili ad ogni appassionato di studi alchemici. Apprezzabili anche la dotta e puntuale dissertazione circa la figura del misterioso alchimista Fulcanelli (ieronimo dietro il quale ancora non si sa quale nome proprio si nascondesse), nonché la considerazione del rapporto fra Evola e Guénon, che, lungi dall’essere stato simbiotico e idilliaco, pur nel rispetto reciproco (e nel riconoscimento, da parte del primo, di un certo qual rapporto di filiazione dal pensiero del secondo) andò sempre più differenziandosi nel corso del tempo, anche nella considerazione dell’Opera all’interno dei propri sistemi di pensiero, che è ciò che più interessa il saggio di Perucchietti e Lamberti.
Ma sicuramente al di là di del lungo cappello introduttivo su alchimia (che non è una pre-chimica, bene fanno i due autori a ribadirlo ad ogni piè sospinto!) in particolare e scienze occulte in generale sta il fulcro vero del saggio, ossia la precisa e puntuale descrizione di Torino dal punto di vista misterico: la città che fu capitale sabauda e prima capitale del Regno d’Italia, infatti, si ritrova ad essere vertice di due triangoli assai particolari, magici nel “vero” senso della parola; vertice del triangolo della magia bianca assieme a Lione e Praga, ma anche di quello della magia nera con Londra e San Francisco, particolarità che ha fatto affibbiare al capoluogo piemontese l’intitolazione di “capitale della magia”. E davvero gli autori ci accompagnano in un viaggio (reso più facile al lettore da un’accurata scelta di immagini, fotografiche e non, in china) tra i punti salienti della Torino magica, fra i luoghi pregni di energie positive e quelli invece emananti cattive vibrazioni; ma, per una lettura forse più attinente al proposito iniziale (conscio o meno che fosse) degli autori, si potrebbe utilizzare il libro addirittura come una vera e propria “guida turistica nei misteri”, da consultarsi in loco gambe e zaino in spalla!
Quindi un libro alla fine della fiera consigliato, che però, agli occhi di chi scrive, manca di un’identità precisa: dalla dissertazione “alta” del viaggio alchemico che è stata, a suo modo, la fondazione di Torino (e che può essere la rifondazione della città operata interiormente, quindi a partire dalla rinascita alchemica di sé stessi) si passa, nel giro di poche pagine, alle descrizioni “macabro-pop” degli efferati atti criminali dei membri della Family di Charles Manson, delle vicende della coppia forse più di imbonitori di gonzi che altro John Dee/Edward Kelley (anche se Dee, almeno fino all’incontro con l’altro personaggio, fu almeno un ottimo studioso di scienze occulte, per quanto giammai un esoterista), fino alle feste dei baroni Rotschild in maschere cornute simil-Moloch.
Probabilmente i libri essenziali alla mia formazione continueranno ad essere altri, ma, a non aver letto questo, ora come ora saprei qualche cosa in meno, dunque già ciò basta a farmelo risultare simpatico e a consigliarne la lettura, ma, preferibilmente, a chi abbia le spalle coperte da altre letture più specifiche nello stesso ambito, in modo da riuscire a districare agevolmente il gomitolo che gli si parerà scritto dinnanzi.
Alberto De Marchi
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Enrica Perucchietti, Gianluca Lamberti, “Torino e il triangolo della Magia: viaggio alchemico alla ricerca della Pietra Filosofale”, Edizioni FacciamoFintaChe, 2024, 210 pagine, 21 euro