In tutte le epoche, in tutte le stagioni della vita, due sono le domande che tormentano l’essere umano: come dovremmo vivere e cosa significa morire.
La seconda è una domanda impossibile, chiunque conosca la risposta non è in grado di tornare a raccontarcelo eppure, forse proprio per questo vuoto di senso, è fonte di atavica ossessione.
La prima invece di risposte ne ha infinite e la difficoltà sta proprio in questa orda che ci travolge. Quando ci fermiamo a riflettere su come vivere, stiamo già vivendo con la sensazione di non farlo pienamente.
Enrico Macioci in Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia, edito da TerraRossa, lascia che sia un bambino a porsi queste due domande. Francesco ha sei anni, il suo migliore amico Christian scompare negli stessi giorni in cui Alfredo Rampi cade dentro un pozzo, a Vermicino.
La scomparsa di Alfredo diventa tragedia collettiva, che apre ad un modo nuovo di condividere il dolore.
Macioci scrive:
Questa è più la storia di Christian Creoli che di Alfredino Rampi, credo (o perlomeno è la storia di entrambi); ma è anche la storia della loro, della mia, della nostra generazione. È altresì la storia della tv del dolore, della comunicazione del dolore, della civiltà che ha rimosso la morte spruzzando dolore ovunque.
Perché la nostra è la civiltà della comunicazione di massa, la compartecipazione del dolore è più forte di ciò che lo provoca. Quasi non è necessario sapere cosa sia l’atto scatenante, importa condividere le emozioni, riuscire a provare qualcosa per conto di qualcun altro che funge da filtro.
Il piccolo Francesco, travolto dalla scomparsa dell’amico, comincia a farsi le domande più scomode e incombenti che riguardano lo stare al mondo.
Si chiede se Christian sia morto e cosa dovrebbe significare, ma soprattutto come dovrebbe comportarsi lui, nei confronti dell’amico, delle autorità e degli adulti di cui si fida sempre meno.
Esiste un patto, che i due amici hanno stretto: costruire una base spaziale nel ventre di una dolina. Non bisogna parlarne con nessuno, è un giuramento.
Francesco – che il padre si ostina a voler chiamare Francio – si domanda se deve rompere quel patto, o mantenere la parola data. Capisce quanto sia difficile scegliere il meglio e la fatica che comporta la colpa.
La storia di Alfredo incombe, la televisione diffonde le immagini: Pertini; il Papa; la trivella; le parole del ragazzo, il suo invito allucinato a sfondare la porta ed entrare nella stanza buia. Il suo, così ingombrante, diventa il riflesso distorto di questo vuoto più piccolo perché Christian e Alfredo hanno la stessa età e sono scomparsi negli stessi giorni. Uno però diventa il simbolo di un mondo che è cambiato, che ha perso una qualche ingenuità di fondo per cui ai ragazzi era lecito andare in giro da soli.
La storia di Christian, invece, è più inquietante, o meglio si ha la sensazione, alla fine, che qualcosa di più spaventoso sia avvenuto e forse proprio perché avviene dentro una zona d’ombra dove la luce non è arrivata. Un pozzo, come quello che ingoiò Alfredino, ma più freddo, più sordido.
Macioci scrive:
Nel giugno del 1981 ci limitammo a guardare l’imbocco del pozzo che aveva inghiottito Alfredo Rampi. Guardavamo l’occhio stolto di un pozzo artesiano e speravamo, dolcemente perversi e drammaticamente ingenui, di continuare a guardarlo per sempre e di non doverlo guardare mai più.
Christian riemerge, solo apparentemente illeso. Il ragazzino sembra avere un’aura raggelante. C’è qualcosa di non detto che lo allontana. Macioci non lo dice e, per questo, ci lascia incapaci di tirare un sospiro sollevante.
Pierangelo Consoli
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Enrico Macioci, Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia, TerraRossa edizioni 2022, Pp. 108, euro 14,00.