“A beautiful nothing” di Enrico Terrinoni (Blu Atlantide edizioni, 2024 pp. 288 € 18.50) esce nelle librerie l’8 maggio. Il libro promuove il carattere profetico e sensitivo di una trama coinvolgente, ripercorre l’enigmaticità delle relazioni letterarie, influenza magistralmente l’erudito richiamo culturale e il magnetismo inesplicabile, analizza la profonda cognizione e le coincidenze significative dell’itinerario oscuro e sconcertante dei protagonisti, alle prese con un mistero indecifrabile, collegato alla permanenza dello scrittore James Joyce, all’inizio del ventesimo secolo, a Roma, con la figura occulta del filosofo Giordano Bruno. Enrico Terrinoni offre la natura cabalistica e criptica dei contenuti, allestisce una sublime e conturbante narrazione, dipinge l’atmosfera allegorica ed esoterica delle interpretazioni, decifra il ruolo impenetrabile del cammino iniziatico, esegue l’inestricabile sortilegio della vicenda. Il libro possiede la seduzione dell’alchimia rivelatoria, connette la pulsione emotiva nell’inesplorabile e suggestiva intuizione del senso di morte, trascina la direzione della concezione trascendente, temporale e psicologica nel labirinto di intense riflessioni e suggerimenti di sapienza. L’autore indaga l’estensione imperscrutabile di ogni fascinazione verso l’universo magmatico, onirico e inquietante, evoca l’incantesimo della letteratura come fonte ascetica di illuminazione, persuasione del pensiero sentenzioso, ammaliante destino della crittografia.
L’incontro premonitore tra i protagonisti, il vecchio professore universitario e i suoi tre allievi, conferma il potere divinatorio e visionario della trama che abbraccia l’efficacia fatale della loro ricerca, intorno a un inintelligibile mistero. Enrico Terrinoni conduce la sua personale e intima inchiesta attraverso la suggestione eroica ed eretica di Giordano Bruno, associando il rilievo recondito della scrittura in James Joyce in affinità con l’intelletto e la spiritualità laica del filosofo, trova la chiave di lettura del romanzo nell’essenza decodificata dei segni e dei messaggi, nel tramite dello svolgimento disvelativo della funzione introspettiva, scopre l’attrazione per le congetture ermetiche, nella lungimirante possibilità di ridefinire il sentiero del caos intorno al vincolo meditativo della psiche. Il romanzo dispiega la celebrativa ed erudita capacità della memoria, nella mistificatoria eredità di convertire i dettagli apparentemente irrilevanti della storia in sconvolgenti confessioni, definisce il ritratto meticoloso e riservato dell’interesse simbolico verso un’emblematica tessitura nascosta e sotterranea, sottintesa a tutto ciò che non si distingue palesemente, ma che espone il retaggio dell’ispirazione nell’abisso della coscienza. L’opera di Enrico Terrinoni è un accattivante e impressionante esordio narrativo, condensa il brivido delle ossessioni noir e il presentimento dei sospetti nell’irresistibile e disorientante stupore intorno al dogma inenarrabile, sigillo di realtà velate. Enrico Terrinoni illustra l’ambigua e sfuggente implicazione sulle ipotesi oracolari, commenta il disorientante e insospettato smarrimento nella regione dell’inconoscibile, assegna alla filosofia e alla cosmogonia le finalità esegetiche per scrutare il margine dell’immaginazione. “A beautiful nothing” racchiude quel “bellissimo niente” nel ritrovamento delle “trame che non si vedono”, dove i simulacri di originari e invitanti culti e le ombre di strane e pericolose sette eclissano la vocazione metafisica delle parole nel rimando spettrale all’inaccessibile segretezza.
Rita Bompadre
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«Ti racconto una storia», disse il vecchio professore, palpeggiando la bottiglia di vino cileno, e incrociando lo sguardo del ragazzo che involontariamente era apparso per un attimo smarrito.
«Siamo a casa Joyce, a Dublino. Nel 1881, metà gennaio. I genitori hanno appena perso un figlio. Il primogenito. Gli era stato dato il nome del padre. Come Amleto. L’anno successivo nascerà il primogenito, ovvero lui, James. L’usurpatore. Tre mesi dopo quella nascita, due politici di spicco verranno assassinati daun commando di rivoluzionari repubblicani irlandesi detti Gli invincibili. A Phoenix Park, forse il parco più grande d’Europa. Il primo era il segretario di Stato inglese, il secondo il sottosegretario permanente, ovvero il vertice dell’amministrazione britannica in Irlanda. Stavano passeggiando vicino alla residenza del viceré. Nel parco dedicato alla fenice. Quello della casa vicino al cimitero.Mi segui?».
Lui annuì. Mentendo.
«È lì che sono ambientati entrambi i libri, quello del principe invisibile e quello del Maestro, che rivanga la storia di uno strano assassinio dublinese. Ma il bello è che leggerli in parallelo potrebbero svelare un altro omicidio avvenuto qui a Roma. Un omicidio di cui non sappiamo niente».
Il giovane sembrava più confuso che mai, ma chiese al professore di continuare. Non voleva però che proseguisse anche la confusione. Agognava punti fermi, paletti.
«Il misfatto indicibile, l’atto intorno al quale ruotano i loro libri», disse il vecchio, «si svolge in quel parco, il parco degli assassini. Nel bel mezzo del nulla, dove non c’era niente».
Niente, nulla. Di nuovo, pensò lui. Curioso come… Poi ebbe un sussulto di lucidità, di quasi profezia. Gli parve d’aver intuito qualcosa senza sapere cosa. A volte gli capitava di raccogliere un filo d’oro dal selciato polveroso, una trama che poteva portare da qualche parte.
«Un libro che inizia con un omicidio irrisolto, è sempre la firma di un autore. Due buchi in testa», commentò il vecchio.
«Ma cosa c’entra questo con Roma?», domandò lui, cercando di fare il punto e sfuggire alla confusione di prima così da non esserne inondato.
«C’entra eccome». Dopo un breve silenzio, capì di dover fornire qualche dettaglio: «È qui a Roma che l’assassino uccide».
«Uccide chi? Chi è l’assassino? Chi la vittima?».
Il vecchio schivò la domanda diretta e proseguì per la propria strada.
«Il banchiere apparteneva a un ordine di cui sappiamo poco. Te ne ho accennato. L’Ordine di San Fiacre, fondato da un irlandese figlio di madre italiana, di cui conosciamo ancora meno. Uno che per vivere manteneva reliquie, cripte, piccoli cimiteri. Non ne sappiamo molto perché è un personaggio sfuggente. Una persona che compare e scompare. C’è e non c’è. Riappare in documenti di tempi diversi. Abbiamo anche delle sue immagini. Capelli radi, un fisico enorme. In un certo senso è come se io l’avessi visto, è come se… Ma non importa. Torniamo all’organizzazione che questo tipo strano a un certo punto fondò. Si tratta di un ordine laico, secolare, ma legato alla Chiesa. Controverso, aperto, diremmo oggi, a tante diverse propulsioni. Alcune delle quali erano un po’ al limite».
«Al limite di cosa?».
«Certi suoi membri finirono coinvolti in storie strane, in sparizioni non spiegate, o non spiegate del tutto. Un ordine che, come quelli teosofici, amava pensare di avere anche funzioni sociali. Hai presente sicuramente il più importante, guidato da Madame Blavatsky. Ricordale, queste iniziali, e associale ai numeri. La sua stretta collaboratrice, Annie Besant, divenne la prima donna presidente dell’Indian National Congress nel 1917. L’anno dopo l’insurrezione di Dublino. E il Maestro aveva un suo scritto teosofico a Trieste».
Prese un sorso e lo fissò negli occhi. Lui notò un qualcosa di diverso in questo suo comportamento. Non lo faceva mai.
«Il segreto dei suoi libri gira intorno a lettere, numeri, e al loro rapporto. Come nella gematria cabalistica»..