Acrobatico e precisissimo – non c’è acrobata che non lo sia – Enrico Terrinoni si muove sul filo sonoro che varca il silenzio e lo fa risuonare di echi che si propagano nel vuoto sotto di lui. Un piede davanti all’altro e la corda suona, vibra e suona. Attraversando il silenzio, il suo mare inconoscibile. «Il suono e la sua assenza sono le radici profonde del nostro universo irriducibilmente verbale. Partecipano della sua nascita e preludono alla sua fine. Il binomio suono-senso è il corrispettivo testuale dello spazio-tempo einsteiniano. Non si esce dal suo dominio. Le opere che leggiamo ci dominano parlandoci, permettendoci di scegliere di volta in volta come essere lette, come assegnare al proprio fruitore questa o quella voce, punti di vista da cui ricreare il mondo che sperimentiamo ogni giorno».
Acrobata musicale e Caronte al contrario, traghettatore che ci riporta le parole perché non muoiano ma continuino a parlare, rinascendo ogni volta grazie a quell’opera sonora di rilettura; spericolato traduttore del Finnegans Wake di Joyce – solo per dire del compito ai limiti dell’impossibile che sta portando a termine insieme a Fabio Pedone – Terrinoni è ora in libreria con Oltre abita il silenzio (Il Saggiatore, 2019, pp 220, euro 24), sottotitolo: Tradurre la letteratura. Per riportarla al letterario, lo «sguardo continuo al di là del muro, un anelito di libertà», contrapposto alla letteratura, alla sua canonizzazione e divisione in generi.
Fondamentale e imprescindibile è allora l’erranza, quella doppia faccia che è viandanza per i sentieri d’ombra che siamo («L’oscurità è nella nostra anima» diceva Joyce- come Giovanni della Croce diceva la notte oscura), per coglierne una traccia e tradurla, per forza di cose mutandola, riportandocela indietro, visto che vita e letteratura si somigliano per la continua trasfusione che avviene dall’una all’altra e perché l’una e l’altra sono mutamento. «Trasformare l’anima in inchiostro tipografico vuol dire tradurla e mutarla, ma anche formarla e forgiarla, in entrambi i sensi, cioè plasmarla e contraffarla», in un giro e in uno sforzo perenne di perifrasi e avvicinamenti: la vertigine dell’uomo come essere interpretante abitato dal linguaggio e accerchiato dal sogno, entrambi da forzare e interrogare affinché ne esca una voce, un segno che abbia un fine, non solo una fine, e che ci parli di noi, strappando terreno ai personalismi. «Valicare i limiti del nostro linguaggio equivale a spingere un po’ più in là il perimetro del cortile della prigione che quello stesso linguaggio ci ha edificato attorno; perché il confine si rivela essere accettazione di una fine connaturata, ma al contempo un invito a superarla».
Terrinoni non crede dunque alla intraducibilità dei testi, ma alle loro possibilità e ai molteplici modi in cui quest’operazione può essere condotta, arbitrariamente forse, ma solo se pensiamo «alla necessità di un equilibrio tra l’arbitrio e l’essere arbitro».
Un esercizio comunque ermeneutico che Terrinoni, ribaltando la nozione di classico di Calvino, porta oltre, dicendo che «ogni opera non può mai cessare di dire quel che doveva dire». Ma deve essere rimodulata, cioè riletta e quindi interpretata e trasformata. Portandola ad essere quasi-la-stessa-cosa anche se in una materia diversa. Traducendo si cambia ogni singola parola del testo perché il risultato, teoricamente, non cambi. Un’operazione matematica e un travaso di sangue. La sua circolazione. Necessaria. Anche dal punto di vista pedagogico, secondo Terrinoni: «La disposizione all’apertura dovrebbe essere il primo insegnamento da impartire in una fantomatica scuola dell’obbligo del futuro che includa la traduzione tra le sue materie principali. Non solo essere critici e disposti ad accogliere il dubbio, ma anche rivelarsi disponibili a trattare i dubbi in quanto possibilità. La traduzione vive di questo, dell’esitazione».
E l’esitazione conduce al doppio risvolto dell’erranza: l’errore. Ma sbagliando s’impara, dice il proverbio. Portando l’interpretazione a un livello più ardito, forse acrobatico, ma consapevole e coraggioso. Mettendola in comunicazione.
In questo caleidoscopio sapiente di figure che si rincorrono e mutano l’una nell’altra, solo due esempi per dire quanto la traduzione sia parabola di una vita e della vita, cioè comparazione e similitudine per rendere chiaro un argomento oscuro (dal greco παραβαλλω) e dunque parola: John Florio e Bobby Sands.
Al primo è stato spesso associato il nome di Shakespeare, alcuni hanno creduto che fosse lui l’autore dei drammi del Bardo. Non fu lui, ovviamente. Ma quel che è certo è che Florio, italiano, scrisse il primo dizionario italo-inglese (A Worlde of Wordes) e tradusse i Saggi di Montaigne, lui italiano ripeto, dal francese all’inglese, inaugurando una riflessione proto-traduttologica che chiama in causa Giordano Bruno, secondo cui «ogni scienza nasce dalla traduzione». Il che significa – passando per gli esempi e i giri che Terrinoni fa (fino a Joyce) per chiarirci il concetto – che il sapere va comunicato, “reso comune” anche se «non esiste un sapere troppo comune; più è comune, il sapere, meglio sarà. Ma poi, chi non sarebbe geloso di un’amante tanto prostituita? E già, ma quest’amante è come l’aria, il fuoco, l’acqua: più la respiri più si raffina; più copre, più riscalda; più la assaggi, più ti è dolce. Sarebbe inumano racchiuderla in una coppa, e una ruberia bella e buona tenerla segretamente nascosta», come parafrasa Terrinoni.
Il secondo fu poeta e attivista dell’IRA in Irlanda del Nord, eletto in parlamento nel 1981 mentre il suo corpo si consumava per uno sciopero della fame su un letto dell’ospedale carcerario The Maze, il labirinto. I compagni rimasti in cella gridarono in coro «Il nostro giorno verrà». Dice Terrinoni: «Il suo fine vita fu tradotto in un grido di libertà perché la sua era stata una vita-con-fine: al confine, con un fine, e con una fine; la quale, però, fu un inizio di quel futuro da lui immaginato ma ancora del tutto sotto i nostri occhi. Eppure, a quel finale dobbiamo la rinascita, qualche anno dopo, di un processo di pace in Irlanda del Nord».
Ecco i molti modi di tradurre la letteratura, il letterario. Ecco i molti modi di tradurre la vita. Funambolicamente.
Oltre abita il silenzio.