Dall’inizio del 1907, James Joyce era di casa a Roma, in via Monte Brianzo, a Tor di Nona. Dalla sua precedente residenza romana pare fosse stato scacciato, forse a causa della sua frequente ubriachezza. Il 17 febbraio, uscì di casa e si diresse a Campo de’ Fiori, per seguire la manifestazione indetta in memoria del rogo che arse vivo Giordano Bruno.
Secondo Enrico Terrinoni, autore insieme a Vittorio Giacopini di Fantasmi e ombre. Roma, James Joyce e Giordano Bruno, edito da Luca Sossella Editore, fu una semplice casualità se lo scrittore irlandese si trovò ad abitare vicino all’ultima dimora del nolano, ovvero le Carceri di Tor di Nona. O, almeno, forse lo fu.
È da questo punto che parte quella che sembra essere, per prima cosa, un’autentica – e nel senso più profondo del termine – investigazione sul soggiorno romano di Joyce che, quattro anni prima, aveva pubblicato sul Daily Express una recensione di un libro di Lewis McIntyre dedicato a Giordano Bruno, in cui era citata la prison of Tower of Nona. Del resto, a Roma Joyce avrebbe avuto per la prima volta l’intuizione di scrivere Ulisse, e in questa città l’intreccio tra biografia, opera letteraria e storia di Giordano Bruno si uniscono in un inestricabile labirinto in cui Giacopini si addentra affrontandone i diversi livelli in un fitto contrappunto storico, linguistico, letterario. È una “caccia” a Bruno, e «alla sua ombra che aleggia in tutte le opere di Joyce». Ad esempio, il poor ass, il povero asinello che Joyce introduce nel libro terzo del Finnegan Wake rimanda all’interesse di Bruno per il simbolo dell’asino che affondava le sue radici in un filone letterario estremamente diffuso nella cultura rinascimentale (qui l’autore fa riferimento a Nuccio Ordine), giungendo all’Asinus aureus di Apuleio, per l’Asino di Machiavelli giungendo fino ad Agrippa di Nettesheim.
Nella seconda parte del volume, in cui si alternano le aperture figurative di Vittorio Giacopini, Terrinoni imbastisce un Joyce su Bruno: frammenti, che riporta testi estratti dall’epistolario, ma anche da libri, scritti e articoli di Joyce in cui compaiono tutti gli elementi in grado di gettare luce sul soggiorno romano e sul suo “stare intorno” a Bruno:
A Stanislaus -Roma, 16 febbraio 1907
Comunque sono un pesce fuor d’acqua. Mi piacerebbe tornare a Trieste perché mi ricordo delle sere che camminavo per le strade d’estate e ripensavo a certe frasi dei miei racconti. Sono stato ad ascoltare degli americani che discutevano di Giordano Bruno in onore del quale ci sarà qui una processione domani. Sembrano persone competenti ma odio l’accento.
Chiude il volume il bellissimo A Campo dei fiori di Vittorio Giacopini, tra l’altro un “racconto” del lavoro sulle immagini – a partire dall’iconografia obbligata, in prospettiva frontale, della statua eretta in memoria del nolano – utilizzate in intreccio con memorie personali e osservazioni tecniche per realizzare le sue tavole.