Un inedito intimo e bellissimo di Giulia Contini (è uno pseudonimo) che per la Festa della mamma ci ricorda una volta in più l’importanza delle madri, nel bene e nel male, l’importanza di starsi vicini, di riuscire a sentire l’altro e la sua anima. Non tutto può essere rose e fiori nelle storie d’amore più grandi, come quelle tra madri e figli, così come non sempre il lieto fine potrà essere scontato, ci sarà sempre tuttavia una favola o una filastrocca a ricordarci i bambini che siamo stati e gli adulti che grazie a quei bambini siamo diventati.
Giulia Contini è una scrittrice romana, autrice del romanzo di recente pubblicazione per Bompiani intitolato La stanza dei canarini.
Silvia Castellani
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Era una casa molto carina
Senza soffitto senza cucina
Poco dopo che sono nate le gemelle a mia madre è stato diagnosticato il morbo di crohn. Ci siamo accorti che qualcosa non andava un giorno che eravamo tutti in macchina. Era primavera, faceva caldo e per tornare dal mare avevamo fatto la Salaria. La Salaria è più bella della superstrada ma adesso non la fa più nessuno perché è piena di semafori e ci metti il doppio del tempo. Avevamo i finestrini aperti. Mi ricordo le maniche corte della camicia di mio padre e gli occhiali da sole enormi di mia madre. Mi ricordo che guardavo fuori dal finestrino il verde degli alberi e il giallo delle case.
E mi ricordo che all’improvviso mia madre ha iniziato a urlare.
“Oddiooddiooddiooddio noncelafaccio noncelafaccio noncelafaccio”.
Mio padre le dice “Stai calma stai calma che adesso arriviamo a casa.”
“Oddio mamma oddio mamma oddio mamma non ce la faccio” urla mia madre aggrappandosi al cruscotto, allo sportello, alla maniglia, alle maniche corte della camicia di mio padre.
E lui che prova a correre, ma la Salaria è una lunga curva unica senza corsia di sorpasso rallentata dalle macchine agricole che trasportano covoni.
E mi ricordo la voce di mia madre che si fa sempre più acuta, gli oddio oddio oddio sempre più stretti e poi il silenzio.
Arriviamo a casa. Mamma corre dentro.
Babbo ci libera dai seggiolini e poi lava la macchina.
Era il 1985.
Non è più stata felice mia madre. Io non me la ricordo.
Doveva essere solo un episodio e invece è diventata la routine.
Ogni volta che ci muoviamo da casa.
Saliamo in macchina, usciamo dal cancello, ci immettiamo sulla Salaria e mamma si sente male.
Torniamo indietro, mamma scende e corre in bagno.
Poi torna in macchina, usciamo dal cancello, ci immettiamo sulla Salaria facciamo 500 metri, un chilometro, mamma si sente male. Troviamo un benzinaio, accostiamo, mamma corre dentro cercando un bagno. Torna in macchina. Ripartiamo. Facciamo un altro chilometro e la scena si ripete.
Finché mamma non inizia a piangere, le gemelle iniziano a piangere, a me viene da piangere e dico: “Mamma, torniamo a casa”. Perché mi sembra l’unica soluzione, ma non è la soluzione.
Appena torniamo in garage a mamma passa tutto e questo la fa disperare ancora di più. La fa impazzire la certezza che basterebbe riaccendere il motore per tornare a stare male e questo la fa sentire invalida.
Prova a sdrammatizzare mio padre: che vuoi che sia? C’è chi sta peggio. Tu devi solo andare in bagno, che vuoi che sia?
E io lo odio quando dice così perché lui non c’è in quel momenti.
Lui non c’è quando rimaniamo da sole in un bar con mamma che non torna. Quando si dispera perché ha finito i fazzoletti di carta nella borsa. Quando grida che vorrebbe morire perché quella non è vita. Lui non c’è quando inizia a tremare tutta al volante della macchina e tu hai 6 anni e non sai guidare, non puoi portarla via, non sai tranquillizzare le tue sorelline e non puoi scappare da nessuna parte.
Lui non c’è.
E io lo odio perché non capisce che così non ci aiuta.
Sono tranquilla solo quando c’è zia Franca. Perché stranamente quando mamma è in giro con lei, anche se è agitata, dopo un po’ si calma e noi riusciamo a fare tutti i giri che dobbiamo senza correre in bagno.
“Mamma come è possibile?” – le chiedo. Lei ci pensa e dice: “Perché tua zia parla così tanto che mi distrae”.
L’ho capito in quel momento cosa avrei voluto fare da grande.
Salvare mamma raccontando storie.
L’ho salvata tante volte parlando in continuazione senza fermarmi mai.
Non è mai più stata felice mia madre.
A un certo punto però è stata grata. Ma non è la stessa cosa.
La gratitudine non è come stare bene, perché presuppone la dipendenza.
Si è grati per un farmaco che fa passare il dolore, per il sereno dopo la pioggia, per il cibo che stiamo per ricevere. Amen.
Mia madre non lo sa che ho scritto un libro.
E io non lo so se ho fatto bene a non dirle niente. Perché l’amore è il bene e il male che ci diamo.
Lei non lo saprà mai delle belle recensioni, dei racconti pubblicati, dei trafiletti sui giornali, dell’ufficio stampa felice, delle mail carine di Bompiani, di chi mi scrive in privato dicendo “Che bello, mi hai fatto emozionare”.
Però non saprà nemmeno che da qualche parte ho scritto di lei come se fosse il cattivo di una fiaba. Non saprà nemmeno che mi ha fatto male quando faceva più male. Non saprà che non ho mai smesso nemmeno per un attimo di amarla, ma che da quel giorno non posso più sentire la canzone che mi cantava quando avevo la febbre da bambina.
Era una casa molto carina
Senza soffitto senza cucina
Non si poteva entrarci dentro
Perchè non c’era il pavimento
Non si poteva andare a letto
in quella casa non c’era il tetto
Non si poteva fare pipì
Perchè non c’era vasino lì
Ma era bella, bella davvero
In via dei matti numero zero
Ma era bella, bella davvero
In via dei matti numero zero
Lei non lo sa.
Perché mamma non è mai più stata felice.
Tranne quando sta con me.
Quando sta con me riesco a farle credere che andrà tutto bene.
E io di questo sono grata.
Giulia Contini