Il 13 agosto 1935, Ernest Hemingway scriveva a Ivan Kashkin, traduttore di poeti inglesi e americani, oltre che di Hemingway, Conrad, Caldwell, stevenson e Faulkner.
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Ieri, mentre con eleganza e minimo clamore superavo l’ultimo tratto di una sbornia di due giorni del tutto immeritata, mi è venuta l’ispirazione di cercare riferimenti all’alcol nelle lettere di altri. Qui di seguito, disposti in modo disordinato, i risultati. Noterete un paio di cose: in primo luogo, che molte di queste lettere grondano dolore, rimpianto e imbarazzo; in secondo luogo, che la maggior parte di esse sono state scritte da uomini. È forse perché gli uomini hanno meno controllo sul consumo di alcol e/o sono particolarmente paranoici e pieni di sensi di colpa dopo aver bevuto? Non saprei dirlo.
(Vi prego di bere in modo ragionevole).
P.P.S.
Lei non beve? Ho notato che parla con leggerezza della bottiglia. Bevo da quando avevo
quindici anni e poche cose mi hanno dato più piacere. Quando si lavora duramente tutto il giorno con la testa e si sa di dover lavorare di nuovo il giorno dopo, cos’altro può cambiare le idee e farle correre su un piano diverso come il whisky? Quando si ha freddo e si è bagnati, cos’altro può riscaldare? Prima di un attacco chi può dire qualcosa che ti dia il momentaneo benessere che fa il rum? Non mangerei mai di notte, così come non berrei vino rosso e acqua. L’unico momento in cui non fa bene è quando si scrive o si combatte. Bisogna farlo a freddo. Ma mi aiuta sempre a sparare. Anche la vita moderna è spesso un’oppressione meccanica e il liquore è l’unico sollievo meccanico. Fatemi sapere se i miei libri fanno soldi e verrò a Mosca, troveremo qualcuno che beve e berremo le mie royalties per porre fine all’oppressione meccanica.