Da diversi anni Erskine Caldwell era finito in un cono d’ombra, e il suo nome iscritto alla lunga lista dei grandi americani del Novecento dimenticati o fuori catalogo.
In questi giorni una piccola ma gagliarda casa editrice milanese, De Piante, lo ha riportato in libreria con la sua opera prima, Il bastardo. Caldwell lo pubblicò nel 1929; nello stesso anno uscirono Addio alle armi di Hemingway e L’urlo e il furore di Faulkner. Come Faulkner, Caldwell raccontaErskine Caldwell. la società arcaica del Sud (era nato in Georgia, Faulkner nel Mississippi) i suoi retaggi culturali, dal patriarcato al senso dell’onore e al razzismo, ma con un tratto perfino più crudo, più estremo. Caldwell sguazza nell’orrido e nella depravazione fregandosene di censure e di scandali. Il bastardo è Gene Morgan, uno sbandato nato da una prostituta e allevato da una “negra” in una capanna, giù a Lewisville. Caldwell lo fa ciondolare da un oleificio a una segheria tra donne di malaffare e adultere. Tutto il romanzo, che è brevissimo, meno di centocinquanta pagine, è un torbido duello maschio femmina con ammiccamenti, gelosie, liti furibonde, provocazioni, abbandoni. Le donne ne escono malissimo, oggi un tipaccio controcorrente come Caldwell verrebbe crocifisso da femministe e cultori del woke. Caldwell procede per sottrazione, la sua prosa è carta vetrata: asciutta, senza orpelli, moderna come quella dei coetanei più noti. Il suo ritorno in libreria è tra le poche buone notizie di questo 2024 povero di lettori e di romanzi decenti.
Angelo Cennamo