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ESTRATTO G. Sartori, P. Morelli, M. Magliani, Animali non addomesticabili

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Scritto a sei mani da Giacomo Sartori, Paolo Morelli e Marino Magliani (con appunti in coda di Paolo Albani), Animali non addomesticabili (Exorma, 2019, pp. 279, euro 16,50) è un libro da leggere un po’ per volta o da tenere per i momenti in cui si ha bisogno di “qualche pagina di respiro”. Sono racconti spesso ironici, divertenti, ma che permettono piccole pause di riflessione e consapevolezza. Siamo sicuri che quegli animali che troppo spesso abbiano antropomorfizzato non ci possano mostrare un altro modo di vedere le cose? Giacomo Sartori scrive tredici brevi racconti che ci restituiscono le voci di altrettanti animali, dalla vedova nera al Thalarctos maritimus. Paolo Morelli, nei suoi ventitre divertissement, li fa parlare con dialetti e lingue diverse. Marino Magliani è presente invece con soli due racconti, ma piuttosto lunghi, nei quali narra la storia del cane Cobre e di suo figlio.

Pubblichiamo tre brevi estratti per incuriosire il lettore.

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ANIMALI FUORI CAMPO – GIACOMO SARTORI

POLIPO

«È morto?» domanda la ragazza che fa le parole crociate.

«Non lo so, si direbbe proprio di no» risponde il ragazzo con la coda di cavallo, chinandosi sull’acquaio con il naso arricciato. Tiene la sigaretta verso l’interno del palmo, e stringe le labbra come se fosse preoccupato per qualcosa. Non sembra molto a suo agio.

Lo zio per parte sua se ne sta rannicchiato sul fondo del lavandino metallico, senza muoversi di un millimetro. Gli manca da matti l’acqua, ma tiene duro. Ha gli occhi aperti, sa che deve a tutti i costi tenerli spalancati.

«Te lo ha detto il pescatore che va sbattuto cinquanta volte contro gli scogli appuntiti, sennò a cuocerlo diventa duro come un sasso» riattacca la ragazza con i capelli molto corti.

«Sbattilo tu cinquanta volte contro gli scogli appuntiti, se ne hai tanta voglia» polemizza lui.

«Sei tu il grande cacciatore subacqueo, mica io» mette lì lei, alzando le spalle.

«Sei tu la grande cuoca» dice lui.

«Io so cucinare i polipi morti,non quelli vivi» ribatte lei.

«Tieni presente che è anche lui un essere vivente, una creatura che soffre come te e me» aggiunge dopo aver ripreso in mano le parole crociate, già assorta in una nuova definizione.

Stava facendo una pennichella, lo zio, quando si è sentito strattonare con violenza per la testa. Come quando sei sorpreso da una grossa onda, e se non sei svelto a reagire ti ritrovi venti metri più in là. Stringendo i denti è riuscito a rimanere aggrappato per qualche secondo alla roccia, alla fine però ha dovuto cedere. A catturarlo era stato uno di quei tipi che l’estate si vedono passare con maschera e fucile subacqueo, e che ti fanno pensare a pescespada miopi. Questa volta sono proprio spacciato, si è detto. […]

Il ragazzo rimette lo zio nel sacchetto di plastica, e si avvia senza dire niente alla volta del mare. Dopo qualche istante di incertezza lei lo segue. Rimanendo però qualche passo indietro, e come pensando ancora alle proprie parole crociate. Arrivato sugli scogli lui estrae lo zio dal sacchetto e lo lancia verso il largo. Prima di immergersi lo zio si volta a guardarli: vede che adesso lei gli prende la mano, e lo tira verso la villetta in affitto. Lo sapevo che dovevo tenere gli occhi aperti, si dice.

Sarà la cinquantesima volta che ci racconta la stessa vicenda, lo zio, e alla fine si fa una delle sue risate da orco marino. Noi lo ascoltiamo ogni volta con la bocca spalancata, perché se c’è uno che sa raccontare bene le storie che fanno paura è proprio lui. Mentre parla mima con i tentacoli fino al più infimo dettaglio, sembra proprio di avere davanti tutta la scena. Capacissimo di essersela inventata di sana pianta, burlone com’è, la sua avventura del lavandino metallico, intendiamoci. Proprio come il fatto dell’acquario: mica lo ha mai confermato nessuno che abbia davvero passato un anno in un ristorante di lusso. Mentre sei lì che lo ascolti non puoi però fare a meno di crederci, dalla paura quasi te la fai sotto.

ANIMALI PARLANTI – PAOLO MORELLI

Pudori di una giovane vongola napoletana

Chill’ che io proprio non riesco a capire, è chisto fatto strano degli spaghetti. Anzi nemmeno lo saccio a chi so sti spaghetti, né come sono fatti, però non sento dire altro che spaghetti cu le vongole, spaghetti cu le vongole, come sono bbuoni!, come stanno bene insieme!, si sposano meravigliosamente!, lo sento benissimo, perché nell’acqua i suoni si propagano meglio. Allora io me ne sto acquattata inta ’a sabbia, distintamente co’ la lingu’ e’ fore, quando sento tutte chist’ barche chiene chiene ’e gente in mutande, che parla e parla di quanto stanno bene insieme gli spaghetti e le vongole, è ’nu sfizio!, è ’na goduria!, so’ meglio pure de ’e cozze! E io questa cosa non la metto in dubbio, ’e cozze vuoi mettere… chill’ svergognate!… Ma possibile che io soltanto non ne sappia niente, io che sono la diretta interessata, e anche ben disposta e aggraziata direi, che se me li presentassero chist’ signure spaghetti non farei certo complimenti, certo non mi farei pregare per un’amicizia, e anche qualcosa di più se la fortuna vuole, e invece non saccio manco chi so’, e come so’ fatt’ chist’ spaghetti, che secondo loro dovrei conoscere, e anche starci così bene insieme, che non c’è paragone!, dicono loro, è ’nu paradiso orientale! Sono alti, lunghi, neri, bianchi, gialli? So’ simpatici, sanno cantà?

Ma insomma, pe’ ’a Maronna, come so’ fatte?

È un’ingiustizia e una maldicenza, quanto è vero che songo ’na vongola verace, chi dice che io sto così bene con gli spaghetti dovrebbe pensarci due volte, lo dico a tutto tondo, non si butta a mare l’onore di una vongola signurina a chisto modo. E poi, con nu poco ’e prezzemolo sento dire!… Ma con tutto il rispetto e prima di tutto, ma chi cazz’è ’sto prezzemmolo?, e lu peperoncino sento dire!, chi sarebbe costui? È ’nu straniero? è ’nu principe forse? è ’n attore int’a lo cinematografo?

Ma certamente non si mette a repentaglio l’onorabilità di una signurina senza farle nemmeno sapere, lasciandola del tutto all’oscuro, sul fondo, mentre di lei si dicono tali sconcezze, prima fai bollire gli spaghetti, poi riscaldi le vongole con tale prezzemolo e talaltro peperoncino sento dire!, poi mescoli tutti insieme inta ’na padella come fosse ’nu canapè, come fosse ’n’orgia o ’nu baccanale, vergogna!

IL CANE E IL FIGLIO DEL CANE – MARINO MAGLIANI

Il figlio del cane e le colline

Ora non c’è davvero più in giro nessuno. Dev’essere a quest’ora, di buio e silenzio, che mio padre e mia madre si sono incontrati. E scusate se torno su queste cose.

Vi dà fastidio riconoscere la mia voce, vero? Immaginate quando riuscirete a sottoporci a trapianti, l’esperimento dei denti umani al posto dei canini, le mani come estensioni degli arti. Cosa faremo quando ci regalerete un cervello? Vi adoreremo o vi odieremo?

Distinguo i miei passi nel risciacquo, se mi fermo mi pare di mineralizzarmi, divento la cantilena dei rumori sotterranei del molo.

Passato il faro non ci sono più barche, a ponente manca persino il muraglione frangivento. Mi sdraio sotto una panca. La fine del molo è la fine del mondo, ma bisogna vederla all’alba, quando gli scogli proseguono immersi, mi hanno spiegato, e la voglia di gettarsi a cercare il segreto per cui s’è venuti quassù prende di brutto. Provo a farmi un sonno. Il cielo brucia. Rivedo mio padre, le zampe su questo scoglio slavato e odorante di alga, giunto al confine dei sogni. A questo punto ha capito che è meglio voltarsi. La Corsica laggiù, il posto dei sogni ecc. Io le mie poche invenzioni strane le ho sempre sognate sdraiato all’ombra del melo, nell’orto, annusando il recinto.

Ho fame, non sono abituato a cercarmi da mangiare sul molo. Sul molo non c’è nulla, bisognerebbe aspettare gli umani con panini, pizzette, le cose che comprano al chiosco.

Torno in città. La sensazione di essere stato via, e nello stesso tempo di non essere mai partito. Mi rendo conto di una cosa: non sono salito sul molo per vedere se non finiva, ma solo per guardare cos’aveva visto lui. Dicono che si fosse fermato a cercare qualcosa di commestibile tra la gioventù, in uno spiazzo dove i giovani di giorno si tuffavano e la sera arrivavano coi motorini. Cercava le bucce di anguria cui è possibile togliere un ultimo morso per dissetarsi. Non s’era accorto dello scooter che manovrava nello stretto, la marmitta gli ha scuoiato un fianco, e per calmare il dolore s’era gettato a bagno. Gli umani ridevano.

Marino Magliani è nato in Liguria. Tra i suoi romanzi: Il collezionista di tempo (Sironi) e Quella notte a Dolcedo (Longanesi), L’esilio dei moscerini danzanti giapponesi (Exorma), Prima che te lo dicano altri (Chiarelettere). Per Exorma ha tradotto Sudeste di Haroldo Conti.

Paolo Morelli (1951), è nato e vive a Roma. Tra le sue pubblicazioni: L’arte del fallimento (Sossella), Racconto del fiume Sangro (Quodlibet), Caccia al Cristo (Derive Approdi), Il trasloco, Er ciuanghezzù, Vademecum per perdersi in montagna e Da che mondo è mondo (Nottetempo), Né in cielo né in terra (Exorma).

Giacomo Sartori (1958), è nato a Trento. Tra le sue pubblicazioni: Tritolo (il Saggiatore), Anatomia della battaglia (Sironi), Sacrificio (peQuod), Cielo Nero (Gaffi), Rogo (CartaCanta), Sono dio (NN Editore).

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