Siamo tornati sulle onde rock di “Versilia Rock City”, il debutto narrativo di Fabio Genovesi che giovanissimo scrittore di Forte dei Marmi pubblicò con la piccola casa editrice “Transeuropa”. Un romanzo che ancora oggi consiglio, che se rileggi a 20 anni di distanza ancora ne senti la forza tra le pagine, tra le mani, tra le righe suono distorto di un assolo rock che allora sembrava stonare come la bandiera nera di un Pirata piantata in una spiaggia di una Forte dei Marmi di solito villeggiata dai reduci della nostalgia, da quelli che alla vita danno bandiera bianca e si fanno cullare nell’utero materno di un mondo che non esiste più.
Quando andavo io, dopo l’età della ragione perché prima siamo vittime degli eventi, ero un villeggiante con alibi: seguivo il maestro Giangiancarlo Vigorelli, che ha scoperto tra gli altri Pasolini e il pittore Ligabue e dalla moglie, l’artista Carla Tolomeo, allieva di De Chirico e oggi famosa in tutto il mondo per le sue sedie scultura. Fu proprio al Forte che incontrai per la prima volta quello che vedevo come un ragazzino. Portai con me Fabio Genovesi da Vigorelli e iniziammo a passare pomeriggi e serate a parlare di libri e scrittura, sulla veranda dell’unico cottage inglese, con tanto di parco e erba tagliata (all’inglese), che sia mai resistito in tutta la Versilia. Ricordo ancora la prima presentazione a Milano, in un locale che si chiama “Frida” ed è all’Isola. Io e uno sconosciuto Genovesi fiero di essere a Milano, nel centro del mondo. Da lì Genovesi ha preso il volo: pubblicato da Mondadori con un successo dietro l’altro. Un successo che secondo me lo affaticò: nei suoi libri successivi si sentivano troppi interventi “editoriali”, quasi che Genovesi fosse costretto a giocare quel ruolo lì, quello del giovane ragazzo per bene e spesso quella camicia di forza culturale gli andasse stretta. Lui che era cresciuto con me e con “il Nesi” (così chiamavamo e si chiama in confidenza ancora oggi lo scrittore Edoardo Nesi), era cresciuto con il rock e traducendo Hunther Thompson, il più geniale scrittore americano del ‘900. Impossibile che quell’ironia così feroce fosse persa tra romanzi dove erano i lettori a essere “esche vive”. Lessi un piglio di scatto con “Morte dei Marmi”, il geniale pamphlet scritto da Genovesi su come vivono i turisti i fortemarmini. Poi Fabio Genovesi, “il Genovesi”, ha avuto molti scatti in avanti. Sino a questo “Cadrò, sognando di volare”: una meraviglia di capolavoro che ti ci rimani dentro per settimane, anche a libro finito, e ogni tanto torni a rileggerne delle frasi quasi per essere sicuro che le frasi siano ancora lì, nella loro eterna bellezza, nel loro eterno significato. E le trovi e magari dopo le sottolineature vai avanti e lo leggi come fosse la prima volta. Più che il romanzo dell’anno, questo è un romanzo da anno.
E’ un romanzo che racconta la storia di un giovane uomo che vuole diventare scrittore, che cresce in una Forte dei Marmi inedita, perché raccontata dal punto di vista del figlio dell’idraulico di quello che rimane comunque un paese; ed è il romanzo di questo ragazzo che a fine anni ’90 devo assolvere il servizio militare e sceglie di fare l’obiettore di coscienza ed è mandato come educatore in una scuola gestita da frati francescani ma…non ci sono i ragazzi, non ci sono gli scolari, troppa descolarizzazione e paesi inerpicati sopra le Alpi Apuane troppo disabitati. Ed è anche il romanzo dell’ascesa di Marco Pantani, il “Pirata” e delle sue gare cicliclistiche che sembrano le urla di un odisseo capace di diventare il mito di Ulisse orme quello di nessuno. Che forse è la stessa cosa. Un romanzo raro, possente, pieno di rimorsi e speranze, di sogni e vendette, d’ingenuità e di fatica. Un romanzo che vale una vita. Il che è davvero raro oggi da leggere. E da vivere.
Gian Paolo Serino
Recensione a Cadrò, sognando di volare di Fabio Genovesi, Mondadori, pagg. 298, euro 19