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Faezeh Mardani e Francesco Occhetto. Poeti iraniani dal 1921 a oggi

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Ordinare la molteplicità, sistemare materiali sparsi sulla base di canoni che hanno subito variazioni sincroniche e diacroniche, affrontare un argomento accademico senza la pretesa di essere esaustivi ma con compostezza teorica, offrendo un ampio ventaglio di autori che fanno parte di una vera e propria comunità poetica che condivide radici profonde . Quest’antologia ospita storie di vita, dà l’avvio alla sistemazione organica di una materia complessa, spesso trascurata in ambito accademico, fatta eccezione per la tradizione letteraria persiana classica. Un libro utile nel suo tratteggiare un panorama storico e poetico partendo dal 1921. In quell’anno un  colpo di Stato colpo di stato militare porta al potere Reżā Khan Pahlavī  (proclamatosi poi scià nel 1925 e segnando l’inizio della dinastia dei Pahlavi). Il carattere autoritario del regime caratterizza il paese fino alla rivoluzione islamica del 1979 e l’ ampio programma di modernizzazione economica e sociale (la cosiddetta rivoluzione bianca) non riesce a smantellare le strutture del governo autoritario. In questi anni l’epurazione culturale attraverso l’espulsione e l’allontanamento di intellettuali scrittori e poeti non allineati, è drastica come la crescente repressione dei diritti femminili Gli otto anni di conflitto con l’Iraq (dal 1980 al 1988) non fanno che rinsaldare le fondamenta del regime. Non stupisce allora che a partire dagli anni Duemila, complici i mass media, malgrado l’inasprimento della censura politica e morale, scrive Faezeh Mardani nel capitolo introduttivo, la diffusione della poesia iraniana cresca in modo esponenziale.

Ci si trova dunque in un corpo a corpo con una produzione poetica che dalla Poesia Nuova allo Spazialismo, presenta autori e rami maestri del grande albero poetico iraniano con i suoi punti di svolta e di convergenza dettati da quei numerosi e sconvolgenti mutamenti politici che fanno da sfondo all’evoluzione letteraria di quel paese che, nell’immaginario collettivo è ancora concepito da molti come il mondo delle cupole celesti e dei lussureggianti giardini. La conoscenza occidentale della letteratura persiana, infatti, si ferma, per molti lettori non esperti in letteratura orientalistica, a quegli autori classici oggetto di numerose e diffuse traduzioni (come āfe, Rūmī, ʿAṭṭār, uno dei più famosi mistici persiani Sadī, ecc). Questa selezione antologica assume pertanto una sua valenza sistematica in quanto riunisce importanti voci del novecento poetico iraniano corredato da chiarissime note bio-bibliografiche di introduzione per ciascun autore. La curatrice mira a conservare nient’altro che il totale rappresentativo della poesia di una corrente o di un’epoca in un particolare che, fin da Aristotele, deve fornire al contempo una norma da seguire – una poetica – e un pugno di modelli – gli autori – che ne siano il buon riferimento e in cui le leggi generali prescritte si siano già manifestate come pratiche storiche. Emergono dodici poeti, che, ognuno a suo modo, hanno dovuto sia fare i conti con la tradizione classica, sia affrontare la necessità di un rinnovamento tematico e linguistico per trasformare la poesia delle origini, portata nel tempo ad una progressiva estrema astrazione dalla realtà. Nimā Yuschij fu il primo a liberarla dagli stilemi classici ma senza rinnegarli, per cercare una nuova musicalità , una nuova armonia dettata da nuove sperimentazioni tematiche e formali. Quella fase coincide con l’inizio di un periodo di pressione e difficoltà per il Paese che trova una testimonianza nei versi di Ahmad Shāmlu, uno dei più convinti sostenitori delle innovazioni stilistiche e tematiche di Nima e il continuatore per eccellenza della “poesia nimaiana”. Politicamente impegnato, Shāmlou loda nella sua poesia i compagni di lotta protestando velatamente contro l’autoritarismo. Con la nascita della Repubblica islamica e la successiva epurazione culturale degli anni ottanta, continuerà a scrivere nonostante le persecuzioni dell’élite culturale iraniana costretta ad emigrare negli Stati Uniti ma non potrà pubblicare in patria. L’ultima parola /la feci scorrere sulle labbra /come il sangue assurdo delle vittime /al mattatoio/ o il sangue di Siyavosh/ (il sangue di ogni giorno prima che sorga il sole /quando ancora manca molto all’alba /che forse mai nascerà […]( da L’ultima freccia nella faretra , così come dicono, pag 45 ).

Anche Mehdi Akhavān Sāles, definito “il nostalgico aedo delle rovine” si considera politicamente e civilmente impegnato al punto da mettere in versi eventi storici come il golpe del 1953 o la Rivoluzione bianca del 1964.Tutto ciò che ho composto e scritto ha avuto a che fare con la necessità del mio tempo. Sono fermamente convinto che la poesia e l’arte debbano affondare le loro radici, sempre, nelle problematiche del momento in cui nascono e nutrirsi delle stesse, così l’esito sarà un’opera viva che durerà nel tempo (pag 67). Approccio inedito rispetto alla tradizione persiana è invece quello di Sohrāb Sepehri che inaugura un nuovo modulo compositivo contaminando il patrimonio prosodico e retorico persiano con le nuove istanze poetiche europee, in particolar modo il surrealismo, il simbolismo e quello dei poeti nuovi come Eliot, Yeats, Kavafis, ecc.

[…] Puoi guardare al tuo mondo /con gli occhi vitrei di una bambola meccanica /Puoi dormire in una scatola di ruvido panno, il corpo impagliato adorno di pizzi e perline, /e alla pressione di un dito invano gridare : Come sono felice! : sono gli ultimi versi di Bambola Meccanica di Forugh Farrokhzād, unica poetessa iraniana presente nell’antologia, la più nota a livello internazionale che ha incarnato l’inarrestabile desiderio di libertà delle donne nelle sue  cinque raccolte di versi, banditi per decenni nel suo paese. Il suo percorso esistenziale è stato breve, costellato di emarginazione, privazione, disprezzo, delusioni ed amarezze subite a causa della sua coraggiosa militanza . La sua poesia ha sfidato il tempo e il regime ed influenzato la produzione di giovani autori dalla seconda metà degli anni sessanta ai giorni nostri. Ha portato una luce e un’aria nuova nella poesia, altre visioni e respiro: […] Nel paese dei nani /il criterio del giudizio /viaggia sempre sull’asse dello zero /Perché dovrei fermarmi? Io obbedisco ai quattro elementi /e lo statuto del mio cuore non può/essere redatto dai ciechi del governo locale […]. (da È solo la voce che resta).

A compattare le varie personalità che sfilano nell’antologia è lo spirito con cui compiono la loro ricerca e la loro idea della letteratura, mai tesa verso un protagonismo fine a se stesso. L’intenso fervore del rinnovamento tematico e stilistico nell’ambito della Poesia Nuova, nel decennio degli anni Sessanta del Novecento, determina l’apparire di alcuni movimenti di rottura con i dettami nimaisti. Bijan Jalāli appartiene a questa nuova generazione e adotta uno stile compositivo influenzato dai nuovi movimenti come lo Spazialismo o Altra Poesia, caratterizzato dalla presenza di quel sottile confine tra tenebra e luce di una poesia tutta interiore (La notte è i nostri occhi bendati/quando guardiamo /alle addobbate luci della nostra anima). Dall’esperienza della Nouvelle Vague poetica iraniana da lui fondata si aprirà la nuova stagione dello Spazialismo, rappresentato da Yadollāh Royāi , il cui approccio è fortemente influenzato dalle avanguardie e scuole filosofiche occidentali . Alla perfetta fusione tra classicismo e modernismo approda Mohammad-Reza Shafiei Kadkani capace di “intarsiare” sul complesso e scivoloso tavolato della poesia di stampo modernista , versetti e citazioni classiche che anziché risultare stucchevoli ne illuminano il portato sperimentale (pag 253) ma è soprattutto la produzione poetica di Seyyed ‘Ali Sālehi , teorico di fama internazionale, a rappresentare il rapporto di fedeltà e rottura con la scuola nimaista, perché i tempi sono diventati maturi per la nascita di una poesia più incisiva a livello stilistico. Nei primi anni del duemila i giovani poeti iraniani vissuti per lungo tempo sotto il peso della censura troveranno in lui lo stimolo giusto per avvicinarsi a nuovi esperimenti linguistici e dare nuova vita alle parole affrancandole da ogni limite artistico. Il contesto politico culturale che portò l’Iran verso la rivoluzione del 1979 fu segnato dalla strenua militanza di letterati, artisti ed intellettuali convinti del ruolo catalizzatore e trasformatore dell’arte. In questo quadro storico Ziyā Movahhed, definito “filosofo in versi”, sostiene che la filosofia, la logica e la matematica sono fenomeni di natura creativa che possono suscitare profonde emozioni e produrre sentimenti autentici ed universali (pag. 312) Ma la poesia è anche esperienza della meraviglia delle parole che nascono dopo il silenzio. Dopo un remoto silenzio /stanotte ritorno alle parole/per tingere di verde e di rosso /il basilico e i ravanelli del mio orto/per spolverare piega su piega /il cipresso del mio giardino […] (da Dopo il silenzio, pag. 331).

La stagione del rinnovamento formale trova nell’opera di Abbās Kiarostami nuove forze e nuovi flussi creativi provenienti dalla rielaborazione, fusione, contaminazione tra le arti. La sua poetica cinematografica lo rende noto a livello internazionale e influenza fortemente il suo linguaggio lirico. Hāne-ye dūst koǧast è il lavoro che iniziò a far circolare in Occidente il nome del regista, a richiamare su di lui l’attenzione della critica e a correggere per qualche verso l’immagine dell’Iran data dal regime dell’āyatollāh Khomeini. I suoi versi sono brevi, nessuna rima. Poesie essenziali per descrivere con un linguaggio universale la vita di tutti i giorni Dalla feroce sorte/il rifugio è poesia/dalla crudele amata/il rifugio è poesia/dalla palese tirannia/ il rifugio è poesia ; e ancora: In un campo minato / a centinaia /gli alberi in fiore. A chiudere l’antologia è Garous Abdolmalekiān che pubblica ventenne la sua prima silloge I colori sbiaditi del mondo dipingendo le inquietudini e le aspettative dei giovani iraniani. Ma è con Trilogia del Medio Oriente che giunge alla maturazione del suo percorso letterario con una scrittura contratta, fulminante , che porta a galla l’attuale commedia umana: Avevano legato le sue mani /per non fargli scrivere poesie/ma la sua ombra sul muro /era poesia! L’avvento di Internet segna una nuova stagione culturale e sociale per il paese. La rete è l’unico luogo dove si può far sentire la propria voce. l’Iran, che già aveva affrontato il blocco di internet nel 2019, in seguito alla rivolta causata dall’uccisione di Mahsa Amini, vede interrotto l’accesso alle piattaforme digitali da parte dellle autorità della Repubblica Teocratica ; nonostante ciò la diffusione di materiale culturale non si arresta . Il paesaggio emotivo del popolo iraniano è attraversato dal vento della poesia come arte principale, dalla forte connotazione identitaria . La meta finale della poesia è la conoscenza –afferma Abdolmalekiān- Se non ci fosse stata la poesia una parte del mondo sarebbe rimasta nelle tenebre, senza poter essere scoperta […].

Rossella Nicolò

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Poeti iraniani dal 1921 a oggi a cura di Faezeh Mardani e di Francesco Occhetto

Mondadori, pagg. 416, euro 24

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