Ignazio Silone, Gabriele D’Annunzio, Benedetto Croce, Ralph Alfidi, Rocky Marciano, Madonna Ciccone, Ivan Graziani, John Fante, Sabina Santilli. Sono tanti i nomi che fanno rima con Abruzzo e tra questi c’è anche quello di Vito Taccone.
Ci parla di lui Federico Falcone nel volume di recentissima uscita per Radici Edizioni: Vito Taccone. Il camoscio d’Abruzzo.
La storia si apre con il racconto della provenienza del ciclista, delle sue origini a dir poco umili, in una terra martoriata dal terremoto prima e dalle due guerre poi, dalla fame nera che caratterizzò quegli anni senza risparmiare nessuno, nemmeno, naturalmente, la famiglia Taccone: madre, padre e cinque figli.
Si vive di espedienti – più o meno leciti – e Vito, terzo figlio, coltiva la sua passione per la bicicletta, la esercita, la accarezza, la accompagna verso quella che sarà una gran carriera. La carriera sportiva di un uomo rude, spesso litigioso, istintivo, ma vero. Sempre vero. Un uomo che:
«Ha saputo domare le cime più alte e faticose ma non un carattere a tratti ingestibile e sopra le righe».
E ancora:
«Il Camoscio d’Abruzzo, in cuor suo, sentiva di poter cantare la sua canzone, era pronto a tutto e non temeva nessuno, anche se avrebbe dovuto preoccuparsi del suo carattere, croce e delizia di una personalità contorta».
Inizia dunque il suo riscatto. Il riscatto di un uomo avvezzo ai percorsi in salita. Il riscatto da una vita amara che pareva essere senza prospettive e che invece gli si para davanti con onori e occasioni irripetibili. Vito scala le vette sportive così come quelle della vita quotidiana, con mani rudi di contadino marsicano, con l’anima di chi la fame l’ha vissuta sulla propria pelle, con lo sguardo di chi non vede confini e con il cuore di chi vuole farcela e deve farcela:
«Io vado alle corse come un rapinatore entra in banca. Ogni vittoria significa una cambiale in meno che mia madre non deve più pagare».
Nonostante gli incidenti di percorso, i lutti, gli imprevisti e i colpi di testa, Vito Taccone pedala forte.
Travolto negli ultimi mesi da un caso di profonda mala giustizia lotta ancora, ma stavolta non regge.
Ci resta la sua leggenda. La leggenda di colui che è diventato uno dei simboli di un Abruzzo forte e gentile, tosto e profondo, spontaneo e caparbio. A celebrare questa leggenda ci pensa la storia e ci pensa Federico Falcone in questo suo meraviglioso lavoro la cui scrittura si colloca a metà tra la cronaca e il romanzo.
Vito Taccone resta l’idolo di una terra che lo ha amato e lo ama, un campione eterno al quale noi lettori brindiamo, insieme a Federico Falcone e a Radici Edizioni, con un goccio di Amaro Taccone.
Flora Fusarelli