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Federico Pacini. Non andare troppo lontano

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Se posso essere certo di una cosa nella mia vita, è di non aver mai visitato in via assoluta l’entroterra toscano.

Non conosco quello fiorentino, figurarsi quello senese e grossetano, immortalati fotograficamente da Federico Pacini nel suo volume Non andare troppo lontano (Editrice Quinlan).

Per chi come il sottoscritto nulla ne sapesse, li “annusiamo” attraverso l’introduzione al volume fatta da Marco Giusti. Il critico cinematografico, essendoci nato, li indica come elemento “familiare”. Ma a colpire è il suo definirli “un mondo un po’ triste e lontano, fatto di anni e anni, magari di secoli di povertà, dove non era passata nessuna rivoluzione, nessuna Unità d’Italia e tutto era uguale dal Seicento”.

In questa definizione pare immergersi Pacini, che all’entroterra senese-grossetano strappa una ottantina di scatti.

Sono immagini a colori, soprattutto su pellicola negativa di medio/grande formato, ma anche qualcosa in digitale e catturato con lo smartphone. Per l’autore senese, non è tanto lo strumento ad aver valore quanto il penetrare nell’universo delle “piccole cose di cattivo gusto” e di nessuna importanza, facendo così risaltare il kitsch inconsapevole che permea i luoghi e, quindi, la nostra società.

È per loro tramite che Pacini porta avanti la sua tesi, già presente in Purtroppo ti amo, volume edito nel 2013.

Tutto l’amore che Pacini ha per la sua terra, per l’umanità che la abita, sta nell’avverbio “purtroppo”. Da lì prende le mosse questo nuovo reportage, per farsi riflessione sul contemporaneo. Un po’ quello che Roberto Grossi fa per quanto riguarda Roma e il suo circondario, ma attraverso i graphic novel.

Contattato via mail, Pacini scrive che «Siena, ma tutta la Toscana in genere (forse l’Italia?) vive in una bolla derivante da un passato artistico glorioso. Noi toscani siamo nati nella “bellezza”. Però, se vogliamo andare avanti, è necessario in qualche modo decostruirlo questo passato, per non esserne vittime».

Le immagini di Non andare troppo lontano fanno proprio questo. In più cercano di produrre coscienza del quanto catturano e perimetrano. Ci provano spingendo anche sul pedale dell’ironia o, più correttamente, su una aspra iconicizzazione della realtà che vira verso il grottesco. Perché tali sono molti ritratti e molte delle situazioni inquadrate da Pacini.

Potremmo dire che il vero amore non sopporta lo sfacelo dell’oggetto amato, e lo indica seccamente, senza tatto.

Pacini è spiccio nell’indicare, mettiamola così. Però sa qual è l’essenza del reale nel contemporaneo, sa metterla in pagina, farla parlare.

È proprio nel montaggio sequenziale delle foto che affiora il suo ragionamento critico verso il soggetto amato.

Basterebbe guardare la ricorsività delle icone del sacro, la volgarizzazione del loro contenuto nel momento in cui vanno a giustapporsi ai “disordinati arredi urbani”. Oppure il legame tra le foto di un daino, di alcuni cinghiali morti e quella, successiva, delle salsicce messe a rosolare su una griglia. La morte (noi) che nutre se stessa.

Ecco che amore, realtà e grottesco si incrociano.

Li troviamo comunque già nella foto di apertura: un gallo che se ne va libero lungo una strada, voltando il posteriore alla macchina fotografica. Un gallo senza pollaio, viene da pensare. Un gallo che ha preso spavaldamente una strada senza sapere perché, probabilmente senza capire dove lo porterà.

Far comprendere luogo e contesto, far sì che la realtà venga detta, è quanto Pacini propone per tutto il volume, componendo una partitura che scorre compatta fino alla foto in chiusa.

Lì una vecchia Fiat 1100 è letteralmente assediata dalla Natura, quasi che la volesse possedere per poi cancellarne la memoria fisica.

È proprio con questo scatto finale che ci si rende conto di quanto la Natura sia la vera proprietaria della bellezza. Presente in buona parte delle immagini proposte da Pacini, ne incarna l’ideale eterno. Non si sbaglia però a definirla “leopardianamente intesa”, ovvero indifferente agli sforzi e alle richieste dell’umano.

Così nei relativamente pochi scatti in cui l’artista ritrae l’umano all’interno del territorio, spesso la Natura è l’elemento che incombe.

L’uomo fa parte del luogo in cui viene ritratto, vi staziona al pari dei suoi manufatti. Potremmo definirlo, con un gioco di parole, l’agente agito. Ha lavorato sulla Natura, ora è quest’ultima a lavorare su di lui.

È probabile sia per questo che nelle immagini non compaia alcuna pietas, non vi sia retorica del dolore né dichiarato trasporto.

Affermazione pericolosa. Però è attraverso questa assenza che pensiamo il “passato artistico” del territorio riveli la nostra odierna inanità. Abbiamo piegato il paesaggio naturale alla nostra idea di estetica, ma la Natura non ha mai smesso di incombere su di noi con la sua indifferenza, sottolineando la bellezza intrinseca di cui è proprietaria. Ora circonda il genere umano per obnubilarlo.

L’anziana seduta sotto la pensilina in attesa del bus, quasi a inizio libro, con tutta la vegetazione attorno a farle da corona ne è aperta metafora. Che si ripete più avanti, quando incontriamo la statua di un ragazzo anch’essa assediata dal rigoglio della vegetazione in un giardino. Ed è così anche nel ritratto di un ragazzino, mani in tasca, piantato su una striscia d’asfalto, affisso sulla quinta di una selva di alberi. Si potrebbe elencare ancora, fino a incrociare un’altra pensilina di autobus dove l’umano svanisce, letteralmente, lasciando dietro di sé unicamente alcuni suoi manufatti.

Morale senza mai essere moralistico, feroce senza essere gratuito, lo sguardo di Pacini si muove con forza verso una idea di narrazione che insegue per la fotografia una stratificazione cinematografica. Come quella presente nelle pellicole dei fratelli Coen. «Con i loro tratti ironici, grotteschi, infarciti di un cinismo che è fondamentale per aprirci al loro immaginario» scrive l’autore, «riescono a elevare il locale a universale».

Come loro, Pacini mette in quadro una narrazione di luoghi periferici, capace di proiettarsi nell’universale, di farsi mondo, di darne ragione senza però diventarne complice o perdonarlo.

Sergio Rotino

Recensione al libro Non andare troppo lontano di Federico Pacini, Editrice Quinlan 2022, pagg. 100, € 24,00

 

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