Ieri sera ho commesso un errore. Stanco, pensavo di riuscire a cominciare un libro di Felipe Polleri.
Grande studio su Baudelaire. Mi sono addormentato con il libro sul comodino. Alle 5 e 45 di oggi, mi sono svegliato con il libro che mi chiamava. Non mi sono lavato i denti, la faccia, non ho preso il caffè. Leggevo, con il sole che si riscaldava, che inondava la stanza, leggevo come sonnambulo e intanto il cielo cambiava, i miei figli si alzavano dal loro letto e si intrufolavano nel mio, il mondo intorno cambiava e io ancora, senza destarmi sul serio, leggevo.
Alle sette il libro era finito.
Cento pagine sono rimasto immerso in un incubo meraviglioso, uscendo e entrando dalla vita di Baudelaire, dentro orizzonti verdi, con le strade di Parigi, dentro sale da conferenze in Belgio, stanze vuote e poi piene, dove il Diavolo si divertiva a invertire i posti dei presenti, a farli scomparire. Baudelaire umiliato, offeso, malato.
Polleri scrive un racconto storico, frammentato, dove cambiano le soggettive, un racconto allucinato, un labirinto di ombre, pieno di valigie, di chiavi, di cianfrusaglie.
Se fosse un film, il Grande studio su Baudelaire sarebbe un film di Jarman, fatto di quadri, con poca azione, molta fotografia. Le pagine di Polleri sono piene d’immagini, sono ritratti, si passa da una situazione all’altra, da un frammento della vita del poeta all’altra.
Una volta, parlando con Ariel Luppino, uno scrittore argentino amico di Polleri, mi disse che a lui interessano solo i libri extra-terrestri. Mi disse anche che Grande studio su Baudelaire era un libro geniale e io, che adesso posso leggerlo grazie a Wojtek Edizioni, grazie a Loris Tassi che lo ha tradotto, posso capire cosa intendesse Luppino, che la sua espressione extra-terrestre, andava intesa in maniera letterale oppure letteraria e cioè che questo libro di Polleri non racconta qualcosa di “Terrestre” ma qualcosa che avviene in un terreno extra-terrestre, in un luogo che non è sulla Terra ma altrove. Esiste come una parallasse in queste pagine per cui, ci sembra di muoverci, anche se rimaniamo fermi dentro il nostro letto e non riusciamo a staccarci dalla lettura e ne veniamo assorbiti, dragati, spostati in un posto diverso che forse è la morte o quella vita che non vediamo, che però esiste e solo, talvolta, grazie a certi scrittori grandissimi e sensibili, noi riusciamo a intuire. Mi succedeva con Cortázar, di trovarmi altrove mentre leggevo, di avere la sensazione di poter scorgere dietro il velo della realtà e sentire che c’era qualcosa di diverso altrove. Mi succedeva con Cortázar perché Cortázar era un gatto, aveva gli occhi da gatto e forse lo è anche Polleri, un gatto, forse anche Polleri vede quello che non vediamo e ce lo racconta nelle sue pagine extra-terrestri.
Se avessi avuto più tempo, ti avrei scritto una lettera più corta, disse Luis Enrique che di mestiere allena squadre di calcio, dopo averci giocato a calcio, dopo aver perso una figlia piccola e questa frase, che un poeta forse non avrebbe saputo concepire così bella, mi ha fatto pensare che la grazia ci coglie di una sorpresa maggiore quando la troviamo dove non immaginavamo. Polleri parte da una ghigliottina e nella vita di un uomo morto, di un poeta, di un maledetto, di un sedotto, di un malato, dentro l’incubo di un avvilito, trova la bellezza del polpo che per difesa, secerne inchiostro e poi scompare.
Pierangelo Consoli
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Felipe Polleri, Grande studio su Baudelaire, Wojtek Edizioni 2024, Pp. 100, Euro 16.