“La folle tentazione dell’eterno” di Fernanda Romagnoli (Interno Poesia Editore, 2022 pp. 320 € 15.00), a cura di Paolo Lagazzi e Caterina Raganella, nota filologica di Laura Toppan e Ambra Zorat, contiene l’inattesa, preziosa e sorprendente raccolta poetica della poetessa. Accoglie l’orizzonte poetico, il riscontro consistente e incisivo dei versi, oltrepassa l’incomprensibile disinteresse e il cinico distacco del mondo critico letterario, offre, dopo il silenzio della dimenticanza, la rivisitazione della memoria, consegnando al lettore pagine dense e commoventi, il respiro di una voce autentica e importante del Novecento. La poetessa riscatta il richiamo tenace della vita e riconosce la capacità necessariamente coraggiosa ed evoluta di concedere alla scrittura una direzione espressiva dei contenuti interiori, una personale e originale autonomia di pensiero “A esistere, in balia/resto d’un nulla, un soffio, che non osa/neppure in sé chiamarsi “poesia”. Intuisce il contrasto emotivo, l’incerta sensazione di mancata corrispondenza con il proprio discorde contesto sociale, avverte il disagio dell’incompatibilità, scrive nel conflitto esistenziale della propria epoca: “…Fossi stata un poco più accorta./Avrei forse compreso l’avvisaglia/dei mezzi sorrisi, gli sguardi/di scorcio, titubanti”.
La poesia di Fernanda Romagnoli percorre l’inarrestabile inconsistenza dei sentimenti, indica un itinerario tormentato, adagiato lungo le struggenti vibrazioni dell’anima, avvicina la profonda consapevolezza delle proprie intuizioni elegiache al raccoglimento sensibile della memoria affettiva. Affronta la materia imperturbabile dello spirito, traduce lo squarcio dell’immensa volontà comunicativa, decifra la fugace, impalpabile caducità delle luci e delle ombre, relaziona il profilo segreto della realtà e dei sogni con la tenerezza del tempo e il dolore delle illusioni. ”Così a portata d’anima!/”Tu! Aspettami!”/Non udì. Sfavillò vuota la cruna./Anima – o forma umana:/ah, già svanita”. Fernanda Romagnoli celebra l’interpretazione dell’eterno e avvolge nella sua oscura ricerca interiore l’esitazione drammatica della finitezza umana, la fulminea malinconia dell’effimero, l’inquietudine romantica dell’assoluto. I versi inseguono la concentrazione idealista del proprio riscatto, animano la partecipazione estetica e affettiva dell’arco vitale e assicurano la corposità speculativa del misticismo. Contemplano la radice metafisica della parola, addensano la lusinga imprevedibile della passione e disgiungono la crudele, consumata discrepanza degli impulsi. “Il mio poco darei/per un unico verso che resti/testimonio di me, / un attimo posato sulla terra/ – lieve – come un coriandolo/ di questi”. Il libro risponde ai quesiti della realtà, attraversa il destino della poetessa oltre il suo ruolo di donna e gli strazianti rimpianti, nell’abisso della nostalgia, nel desiderio di relazioni sincere, nella smania di libertà. “A te, sull’altra sponda/ignaro, approderà col fiato mozzo/ questo tremante ramo/di me, scampato al viaggio”. Lo stile pungente e beffardo asseconda le sferzate del tragico nella musicalità dell’eloquenza, diventa la rigorosa conferma di un’infelice irrequietezza, raggiunge l’arrendevole ammissione della labile, molesta provvisorietà dell’esistenza in virtù di “la stigmata che in me sfolgora e dura”.
Rita Bompadre