Proponiamo un testo inedito di Filippo Tuena tratto da Ti racconto una canzone, libro di Massimiliano Nuzzolo realizzato in collaborazione con Eleonora Serino, in uscita da Arcana Edizione.
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“Sto con lui”, gli aveva fatto capire la prima volta che s’erano incontrati. Una giustificazione non richiesta, che tuttavia lo incuriosì. Perché mai in una di quelle feste da ballo anni ’70, una ragazza carina, mentre si trovavano a bere qualcosa davanti al tavolo da pranzo – la tovaglia bianca ormai ciancicata, i piatti di cartone rosso (avanzi di qualche festa natalizia), la cuccuma grande della sangrila, e un paio di torri di tramezzini – perché mai, parlando con lui del più e del meno, avrebbe dovuto indicare un ragazzo distante, dall’altra parte del salone, intento a discorrere con una certa sicumera con un paio d’altri ganzi leggermente brilli. “Sto con lui”, aveva ripetuto mentre gli porgeva un paio di bicchieri di plastica che, secondo le sue intenzioni, avrei dovuto riempire a colpi di mestolo con quella sangrila macilenta e annacquata che troneggiava sul tavolo del rinfresco. Cioè, lei gli portava da bere, mentre quello – il ‘suo ragazzo’ – se ne stava a parlare coi compari del complessino che, apprese più tardi, si sarebbero dovuti esibire a festa inoltrata. Accadde infatti che a un certo punto, forse verso l’una di notte, qualcuno dicesse ‘suonateci qualcosa’. L’anno, adesso ricordava perfettamente, era il 1977, dunque, lui proprio un poco più che ventenne. Ventitre anni, l’età della bellezza impareggiabile. Lei forse neppure venti. Un baratro d’anni, in quei tempi. Lei dunque servizievole nei confronti del ragazzo, e lui, capitato alla festa per caso, portato non ricorda più da chi – maschio o femmina – che a un certo punto s’era dileguato o dileguata e l’aveva lasciato solo a sciropparsi l’evento notturno. Ora, appunto, annoiato e depresso, s’era sistemato vicino al rinfresco e distribuiva alcolici alle belle che s’avvicinavano.
Mentre con studiata lentezza distribuiva il bibitone, attento a non farlo uscire dai bicchieri, aveva posto ovvie domande – ‘come ti chiami’, per esempio, e un ancora più banale, ‘che fai?’ che voleva dire tutto e niente e che però lasciava spazio all’interlocutrice per troncare subito la conversazione o per svilupparla in maniera imprevista, a sua discrezione. Lei, buon segno, l’aveva sviluppata e gli aveva raccontato dei corsi di linguistica che seguiva all’università e lui, mentendo, aveva approfittato, buttando lì un diabolico ‘ecco dove ti ho vista: in facoltà’. Non era vero, lei era assolutamente nuova e fragrante, una specie di stella luminosa nella cupa serata che tra poco sarebbe terminata non prima del paventato concertino del ragazzo di lei.
Si scambiarono ancora poche parole, lei sorseggiando la sua sangrila, e opponendo tra sé e lui, il bicchiere colmo preparato per l’altro. Però sorrideva, con una certa complicità e se ne andò lanciando un amo: “ci si vede all’università, allora.” “Ci si rincontra, certo” rispose lui e aggiunse, tra sé ‘ormai ci riconosceremmo tra mille’. Allontanandosi, era evidente che lei sapeva che sarebbe stata osservata e lui avrebbe apprezzato l’eleganza della schiena, la perfezione delle spalle e la nuca scoperta dai capelli tagliati corti. In effetti, l’apprezzò più d’ogni altra cosa di quella serata, certamente più del concertino dell’importuno ragazzo, che seguì poco dopo.
Si disposero a cerchio, di fronte ai suonatori e quelli esordirono con qualche successo dell’anno in corso.
“They sat togheter in the park
As the evening sky drew dark”
cantava lui, con la voce che imitava quella di Dylan, neppure tanto male. Lei era seduta in prima fila, con ancora il bicchiere di sangrila in mano, e lo ammirava, allungando il collo, apparentemente perduta nell’adorazione – cosa che le riusciva perfettamente e che riusciva perfettamente a trasmettere a chi la osservava.
Quando tornò a casa lui la considerò un’occasione in ‘stand bye’, in attesa di sviluppi. Non troppo male, come bottino della serata.
La ritrovò l’anno dopo, nel 1978, al Fonclea, un locale dei Prati dove si ascoltava musica dal vivo. C’era anche ‘il ragazzo’, era sul palco e strimpellava, ancora una volta, Dylan:
“He woke up the room was bare
He didn’t see her anywere”..
Lei era seduta in prima fila e, come la volta precedente, lo ammirava piegando il collo, assorta nell’ascolto. Poi, voltandosi, gli sguardi s’incrociarono. E lui, lo sconosciuto, l’avventizio, il provvisorio fu trafitto come mai gli era capitato. Quasi tremò quando lei si alzò e gli si avvicinò.
“Ma non ci credo. Sei qui.”
“A Simple Twist of Faith.”
“Usciamo”, fece lei.
Salirono in macchina.
“Dove vuoi andare?” le chiese.
“Dove vuoi tu.”
“Va bene un ‘inclusive tour’?”
“Non so che cos’è ma va benissimo.”
La portò a fare un giro intorno all’obelisco vaticano e poi attraversarono la città fino all’Arco di Giano. Parcheggiarono proprio sotto l’arco – allora non era ancora recintato dalla ringhiera in ferro
Lui mise la mano nella tasca della portiera della Mini e prese una piccola bottiglia di whisky.
“Vuoi bere? Ho questa.”
“Un sorso andrà bene. Ma solo un sorso.”
“Passeggiamo?” le chiese.
“Non mi piace tanto passeggiare” rispose. Ma la serata era tiepida e il fiume poco lontano. Raggiunsero il lungotevere e si fermarono appoggiando i gomiti sul muraglione. In lontananza si vedeva la prua dell’Isola Tiberina.
“Vuoi bene a quel tuo menestrello?”
“Sì.”
“Quanto ne vorresti a me?”
“Che domande mi fai. A te ne vorrei in modo diverso. Ti dispiace?”
“Sì. Ma credo d’essere arrivato tardi.”
“Sì. Non ti spiego perché sei arrivato tardi, farei torto alla tua intelligenza se te lo spiegassi. Ma lo sai.”
“Perché, allora, sei venuta con me?”
“Pensavo che lo meritassimo. Che se non lo avessi fatto me lo sarei rimproverato. Ho fatto male?”
“No.”
“Che farai finita l’università?”
“Vorrei scrivere libri.”
“Pensi che racconterai di me?”
“Le storie accadono. Anche il modo di raccontarle, accade. Non lo so. Dovrei trovarmi un giorno nello spirito giusto per raccontare questa.”
“Non mi basta” gli disse.
“La regola è che gli uomini corteggiano le donne, fino a quando succede una di queste due cose. Che la donna dice di sì e allora fanno l’amore. Che dice di no e allora smettono di vedersi. Poi, col tempo, potrà accadere che, rincontrandosi, l’atmosfera sia bella comunque, perché il tempo è trascorso, perché le passioni hanno preso vie diverse.”
“Ma mi vorrai bene lo stesso?”
“Vorrò più bene alle donne che mi avranno concesso anche il loro corpo. Non te la prendere. Ma succederà così.”
“Te la prendi con me, adesso?”
“Forse.”
“Ricordi quella canzone, quella che cantava quando sei arrivato?”
“Sì.”
“Sai com’è l’ultima strofa?”
“No.”
La gente dice che è sbagliato
Sapere e sentire in maniera esagerata
Credo ancora che fosse la mia gemella, ma ho perso l’anello
Lei è nata in primavera, io sono nato troppo tardi
Diamo la colpa a una semplice scossa del destino.
Qualche anno dopo questi fatti, mentre lui lavorava a un racconto intitolato ‘Simple Twist of Fate’, in maniera del tutto casuale e inaspettata, è stata una semplice scossa del destino che lo ha riportato a quella sera e ha scritto questa storia.
*
Ecco, sarebbe finita qui, per come me la ricordo e per come penso se la ricordi lei. Ma l’ho rivista qualche tempo fa, di fronte alla sede della casa editrice per cui lavoro. – io me ne stavo appoggiato alla cancellata del giardinetto di ‘Nutrimenti’, a fumarmi la pipa. E lei passava lì davanti.
Proprio trent’anni e più di eclissi. E vite che si sono svolte secondo progetti imprevedibili, neppure troppo sfortunate, visto che quando ci siamo rincontrati ci siamo subito riconosciuti e abbiamo apprezzato il lavoro che il Tempo ha praticato su di noi. Neppure troppo male, neppure troppo. Direbbe Shakespeare, il tempo non l’ha sfiorata, né consunta. E ancora quel sorriso accattivante e quell’aria di sfida.
Lei mi hai confidato d’aver letto un paio di miei libri:
“Il primo per curiosità; il secondo perché m’era piaciuto il primo, ma mi è piaciuto di meno” ha aggiunto.
“E così hai smesso?” ho chiesto.
“Mi sono fermata”, ha salomonicamente sentenziato. “Ma adesso che ti ho rivisto, forse continuo.”
“Ti mando un pdf dell’ultimo, così vedi se ti piace.”
“Uh, è una buona idea. Apprezzo!”
Ci siamo guardati ancora qualche istante, in silenzio, mentre sentivamo crescere una specie d’imbarazzo. Lei osservava i tratti del mio volto e notava rughe, appesantimento, tessuti rilassati; io certi capelli bianchi che la tintura non era riuscita a nascondere. Ma cose normali, che accadono quando ci si ritrova dopo tanti anni. Poi è stato un attimo, e tutti e due, nello stesso preciso momento, e con la stessa intonazione abbiamo detto:
“Beh, ci siamo visti. Che bello! Non aspettiamo altri trent’anni.”
Un bacetto sulla guancia e lei ha proseguito e io sono rimasto sul marciapiedi, a fumare la pipa, e mi sono messo le mani in tasca, cosa che faccio quando sento qualcosa d’irrisolto o deludente. L’ho vista andarsene senza troppa fretta, consapevole che la stavo osservando. E si è voltata, proprio prima di scomparire dietro l’angolo della strada.
Un ragazzo della casa editrice mi è venuto vicino, accendendosi una sigaretta.
“Conosci quella signora” ha detto. “Hai visto come ti osservava?”
“Sì, l’ho conosciuta trent’anni fa. Quand’era una ragazza.”
“Una vecchia fiamma?”
“No, per niente. Ci siamo visti un paio di volte e una di queste volte mi ha detto una delle più grosse sciocchezze che io abbia mai sentito dire da una donna.”
“E quale?”
“Che un uomo e una donna possono conoscersi profondamente senza passare per il letto. Che anzi, certe volte è meglio non farlo, perché spesso il sesso allontana.”
“Cavoli, non dirmelo! E’ lei? Proprio lei? Quella del racconto di Dylan?”
“Sì. E’ lei. Curioso, no?”
“Parecchio. E glielo hai detto?”
“Che cosa?”
“Del racconto. che è la protagonista.”
“No, perché dovrei? E’ un’estranea. Avrebbe potuto essere molto più intima. Ha scelto lei di rimare lontana.”
“Ah, capisco.” Poi ha aggiunto: “E ti sembra una grande sciocchezza?”
“Mi sembra una stronzata. Prendi lei, forse se avessimo fatto sesso non ci saremmo persi di vista.”
“Forse invece vi sareste persi di vista, con o senza sesso.”
“Sì, ma avrei saputo perché era giusto perdersi di vista. E adesso mi ricorderei del suo corpo nudo. E invece devo immaginarlo, se ne avessi voglia. Ma neppure tanta, a dire la verità. Poteva essere una delle donne importanti della mia vita”
“E invece?”
“E invece è dietro tutte quelle che sono state più generose di sé stesse. A quelle che, almeno, hanno rischiato.”
“Sono tante?”
“Neppure tante, ma forse lei poteva starci benissimo.”
“Capisco. Mica poi molto. Son troppo giovane per incontrare un’antica fiamma dopo trent’anni, a meno di non considerare una o due compagne d’asilo. Tu però hai un po’ di rancore.”
“Puoi dirlo. Ce l’ho sul serio.”
Ha sorriso e spento la sigaretta sull’inferriata. “Beh, io torno. Devo correggere ‘ste bozze. Che palle. Come dice il finale della canzone? Una semplice scossa del destino…”
Ha sceso i pochi gradini del giardino e mentre stava per entrare nel portone mi sono girato e gli ho gridato, a voce chiara, perché intendesse e non dimenticasse:
“Non avere rimpianti, mai. Se puoi.”