L’incipit del programma più seguito: “Attenzione! In questo programma vengono utilizzate parolacce e volgarità in generale / se siete particolarmente sensibili a certi argomenti / vi consigliamo di non ascoltarlo! (Lo zoo di 105, 29 ottobre 2019, Radio 105).”
Direttive radiofoniche: “Ai patrioti ricordiamo che la consegna è ora di resistere, organizzarsi e sabotare le linee di comunicazione tedesche […]. Zona di Firenze. Quando verrà il giorno dell’offensiva in massa i patrioti riceveranno istruzioni e mezzi dal Quartier generale del gen. Alexander e dal Comando Supremo Italiano”.
La creazione della lingua: “In quegli anni, De Mauro, sulla scia appunto di Migliorini, afferma che la radio non crea la lingua “a suo arbitrio”, ma asseconda le tendenze della lingua comune, che nel Novecento è elaborata soprattutto nelle grandi città”.
Una rivoluzione culturale: “La radio è stata protagonista attiva dei cambiamenti politici, sociali e culturali che si sono realizzati in Italia nell’arco di un secolo (dal fascismo alla Resistenza, alla Repubblica) e insieme ne ha dato testimonianza e diffusione, creando un tessuto comune fatto di personaggi famosi, di musica e parole, di informazione, intrattenimento e pubblicità”.
È in libreria L’italiano della radio di Francesca Cialdini e Nicoletta Maraschio (Carocci editore 2024, pp. 140, € 13,00).
Francesca Cialdini è ricercatrice in Linguistica italiana presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. I suoi studi si concentrano sul Cinquecento, sulla storia della grammatica e sulla lingua utilizzata in radio e cinema.
Nicoletta Maraschio, professoressa onoraria di Storia della lingua italiana all’Università di Firenze e membro dell’Accademia della Crusca, si occupa di linguistica italiana, sia antica che moderna, e dei linguaggi della radio e del cinema.
Il volume ripercorre cento anni di storia della radio in Italia, analizzandone l’evoluzione politica, sociale e culturale. Esplora come la radio abbia creato un linguaggio comune attraverso musica, parole, informazione, intrattenimento e pubblicità.
Il libro si concentra sull’importanza della parola trasmessa nella storia linguistica italiana, fino ad arrivare alle innovazioni legate all’era digitale e alle nuove tecnologie.
La radio, definita da Marshall McLuhan, un mezzo “caldo”, è analizzata non solo come strumento di intrattenimento e informazione, ma anche di trasformazione linguistica e sociale. Le trasmissioni, con differenti gradi di improvvisazione e dialogicità, hanno mostrato un forte impatto sull’uso del linguaggio comune, rilevabile nei registri lessicali e nella sintassi. La nascita delle radio private e l’introduzione di nuove tecnologie come i podcast e la radiovisione, hanno ulteriormente influenzato l’uso linguistico, ampliando il repertorio linguistico a disposizione.
Arricchito da una vasta bibliografia e da analisi contenenti dati e riferimenti cronologici, il libro non solo evidenzia la metamorfosi linguistica della radio, ma la inserisce nel contesto più ampio dell’evoluzione dei media. Una lettura imprescindibile per chi è interessato agli studi linguistici, storico-culturali e alla mediazione socio-culturale attraverso la lingua.
Carlo Tortarolo
#
Se guardiamo all’Italia linguistica contemporanea come a una grande struttura architettonica, una sorta di palazzo a più piani, restiamo colpiti dalla ricchezza degli elementi che la compongono, tante varietà che si intrecciano e si sovrappongono: italiano, dialetti, lingue di minoranza. Limitando lo sguardo all’italiano, ne potremo cogliere il carattere multiforme. Gli italiani regionali sono ancora ben riconoscibili soprattutto nella pronuncia, l’italiano della scienza e della tecnica è sempre più diffuso, quello popolare, semplificato nella grammatica e nel lessico, si espande presso tutti i ceti sociali e lo stesso si può dire dell’e-italiano della comunicazione via internet e dei social. Una posizione rilevante occupa certamente in questa struttura complessa e stratificata l’italiano trasmesso, ossia il parlato pubblico mandato in onda dalla radio (e dalla televisione). Si tratta di una varietà che ha avuto un ruolo determinante nel processo di italianizzazione novecentesco e continua a occupare un grande spazio nel presente panorama linguistico italiano, anche per il suo carattere trasversale che incrocia tutte le altre varietà del repertorio. In particolare, il trasmesso è strettamente connesso, in un rapporto continuo di dare e avere, proprio con quell’italiano neostandard (o dell’uso medio) che sta al centro dell’architettura attuale e che per molti aspetti affianca e spesso sostituisce l’italiano standard della tradizione (Sabatini, 1985; D’Achille, 2010; Berruto, 2012; Antonelli, 2016).
Solo da qualche anno la radio si può anche vedere, ma il parlato radiofonico, rispetto a quello televisivo e cinematografico, è stato caratterizzato fin dalle origini per essere solo suono, per interessare in modo ampio, intenso, ed emotivamente coinvolgente solo uno dei nostri sensi: l’udito. Le orecchie non si chiudono, a differenza degli occhi. Le orecchie sono sempre aperte ad accogliere una varietà linguistica del tutto nuova, diversa dal punto di vista comunicativo sia dal parlato in presenza (il parlato faccia a faccia, il parlato-parlato nella teorizzazione di Nencioni, 1983), sia dallo scritto. Si tratta di un’oralità secondaria (Ong, 1986), un parlato a distanza, che grazie alla tecnologia elettronica (dal telegrafo senza fili di Marconi alla radiofonia diffusa in digitale e via web) riesce a superare ogni barriera spazio-temporale, proprio come lo scritto, per rivolgersi a una massa indeterminata di ascoltatori, conservando tuttavia tutti gli elementi tipici del parlato, a cominciare dalla volatilità del messaggio.
L’ascolto radiofonico, che inizialmente era collettivo e poi familiare (come successivamente sarebbe stato quello televisivo) è diventato nel corso del tempo (a cominciare soprattutto dall’affermazione del transistor nel 1956) sempre più individuale.