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Francesca Scotti anteprima. Shimaguni. Atlante narrato delle isole del Giappone

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Se non siete mai stati in Giappone, un ottimo modo per esplorarlo senza muoversi da casa è leggere Shimaguni: Atlante narrato delle isole del Giappone, l’ultimo libro di Francesca Scotti, oggi in libreria illustrato da Uragami Kazuhisa (Bompiani, 2023, pp. 160, € 25).

Francesca Scotti ha pubblicato racconti e reportage su diverse riviste italiane e straniere. Con Bompiani ha pubblicato i romanzi Ellissi (2017) e Capacità vitale (2019).

Shimaguni è un libro che esplora spazi, ambienti e sensazioni, e in un certo senso funge anche da guida per comprendere le diverse isole, dove gli stessi spiriti dei luoghi, i ‘kami’, accompagnano il lettore: “Quando è la voce degli spiriti della Natura a risuonare questo non significa che l’isola sia abitata solo da loro, ma che è la loro voce a essere la più nitida e lo stesso vale per tutti gli altri.”.

Infatti, l’autrice spiega: “reali sono le isole – storia, natura, geografia, cultura –, immaginaria è la loro esplorazione. Umana è la protagonista, trascendenti le sue guide: spiriti della Natura, della Tradizione, della Battaglia, della Devozione, dell’Assenza che conoscono profondamente le isole sin dalle origini e ne custodiscono i segreti e l’energia”.

E così, a Ganryū-jima, possiamo rivivere il leggendario duello tra Sasaki Kojirō e Miyamoto Musashi al tramonto dell’epoca conosciuta come ‘Età degli Stati Combattenti’ e vedere i due guerrieri immortalati da due statue, proprio prima del colpo finale in cui Musashi sconfisse l’avversario utilizzando un remo intagliato come ‘bokken’ (spada di legno).

Oppure a Takeshima possiamo conoscere le sette divinità della fortuna: “Si dice che durante i primi giorni dell’anno si trasformino in marinai e che, a bordo della magica nave takarabune, dotati di una magica serie di oggetti, approdino sulla terra per portare buona sorte agli umani”.

E ancora possiamo godere della splendida natura di Torishima: “Questa è l’isola degli uccelli marini. Qui l’albatro dalla coda corta e quello dalle zampe nere, l’urietta crestata e la procellaria di Tristram vivono protetti e portano avanti la loro stirpe”.

Shimaguni è un Atlante poetico che consente di sperimentare il Giappone, un ‘paese arcipelago’ (in giapponese ‘shimaguni’), nei suoi dettagli, lontano dalle metropoli e dai comuni punti di vista mediatici.

La penna di Francesca Scotti, nel suo atlante “fatto tanto di terra quanto di mare”, accompagna il lettore in un’esplorazione meravigliosa e inedita alla scoperta dell’arcipelago del Sol levante.

Carlo Tortarolo

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IŌTŌ

Concentrati su questa immagine: una spiaggia nera, compatta. Il velo bianco delle onde la raggiunge delicato, indugia, poi si ritrae come una carezza, un conforto. Vogliamo cominciare con la quiete perché, al contrario, i fatti che stiamo per rievocare sono sanguinosi.

Le onde che hai visto sono quelle della spiaggia di Iōtō dove si è consumata una delle battaglie più cruente del Pacifico. Il nome Iwo Jima ti risulterà più familiare, gli americani infatti, basandosi su una mappa navale dell’epoca Meiji che riportava “Iōjima”, la chiamarono così e solo quando l’isola tornò al Giappone dopo l’occupazione fu di nuovo usato il suo antico nome Iōtō.

Sulla sua sabbia vulcanica sono caduti migliaia di soldati giapponesi e americani. Ora è lei a custodire i loro spiriti e la loro storia. Ma cominciamo dall’inizio che è poi una fine, quella della seconda guerra mondiale, quando era già chiaro che il Giappone avrebbe conosciuto la sconfitta. Se fino a poche settimane prima gli scontri si svolgevano lontano dalle isole principali, il conflitto si stava adesso avvicinando sempre di più e l’obiettivo degli americani era proprio la piccola isola a circa milleduecento chilometri da Tōkyō. Vista la disparità delle forze in campo era chiaro a tutti – e a noi ancor prima – che i giapponesi non avevano alcuna speranza di vincere neanche questa battaglia. Non potendo ritirarsi, gli uomini comandati dal generale Kuribayashi Tadamichi avevano ricevuto l’ordine di resistere il più a lungo possibile e infliggere agli avversari perdite tanto consistenti da costringerli a rivedere i loro piani di invasione.

Gli americani, convinti che i giapponesi avrebbero tentato di impedire lo sbarco opponendo una strenua resistenza sulle spiagge, avevano così sottoposto Iwo Jima a un intenso bombardamento navale durato tre giorni: suolo squarciato, sollevato, ribaltato, crateri che si aprivano cambiando e trasformando la fisionomia dell’isola.

Kuribayashi invece aveva deciso di usare una strategia insolita e che si rivelò efficace: fortificare l’isola scavando gallerie e rifugi sotterranei dai quali combattere il nemico. Gli uomini agli ordini di Kuribayashi, al riparo sotto terra, attendevano pazienti il nemico.

Quando i marines misero piede sulla sabbia nera, in principio incontrarono solo la resistenza della natura: i passi pesanti affondavano nel suolo troppo soffice, i mezzi arrancavano, gli equipaggiamenti erano difficili da spostare. Solo quando la spiaggia fu ingombra di uomini e armamenti, i giapponesi aprirono il fuoco. E ciò che successe dopo siamo certi che, con orrore, lo immagini: il rosso del sangue sulla sabbia di Iwo Jima. Quelli che seguirono furono giorni e notti di scontri intensi; lanciafiamme, fucili, cannoni, granate che portavano via migliaia e migliaia di vite. Il rosso del sangue sulla terra di Iwo Jima, la feroce insensatezza della guerra.

Sebbene il suo corpo non sia mai stato identificato, siamo sicuri che il generale Kuribayashi riposi da qualche parte sull’isola, forse proprio in una delle gallerie da lui fatte scavare.

Iōtō è disabitata dall’estate del 1944, quando la popolazione civile è stata fatta evacuare a causa del conflitto. Da allora, gli unici residenti sono sempre stati militari – del resto siamo convinti che nessuno desidererebbe vivere in un luogo intriso di tanto dolore. In occasione delle cerimonie commemorative alcuni partecipanti possono visitarla, così come i discendenti degli isolani che vogliano omaggiare i defunti.

Qualcuno dice che la sabbia di Iōtō sia maledetta, infestata dai fantasmi dei suoi morti – solo una parte delle migliaia di corpi lasciati dalla battaglia è stata ritrovata, e le ossa dei caduti sono diventate per sempre isola. È questo il motivo per cui secondo alcuni quando si visita Iōtō è poi prudente liberarsi da ogni più minuscolo frammento, per evitare di portare con sé spiriti inquieti. E dunque, prima di salutarti, vorremmo che tu pensassi ancora una volta a quelle onde delicate e bianche che accarezzano lievi la spiaggia. Così da placare, anche se solo per qualche istante, il suo dolore.

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