Francesco De Gregori per Emons aveva esordito leggendo “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad considerato uno dei romanzi più significativi della letteratura. Ritorna ora a rileggere un’altra delle figure più importanti ovvero Franz Kafka. E lo fa con un romanzo rimasto incompiuto , uno dei romanzi forse più “positivi”, se è giusto usare questo aggettivo quando si parla della complessità del mondo kafkiano. La scelta questa volta è caduta su “America o il disperso”. Per cui il consiglio per chi leggerà questa intervista è quella di considerare Francesco De Gregori l’appassionato lettore che “spiega” in questa veste le ragioni di una scelta di un romanzo forse poco conosciuto ai più.
Ha detto di considerare America il romanzo più positivo dell’opera kafkiana. Come mai?
Trovo la positività nella scrittura, la scrittura è molto meno cupa, meno contorta di quella che tutti conoscono di Kafka, come quella de “Il castello” o soprattutto ne “Il processo” o anche in certi racconti. Trovo che qui la sua scrittura sia molto aperta, molto colorata. Credo che questo dipenda dal fatto che sia un opera giovanile di Kafka, il suo stile probabilmente si andava consolidando in una direzione ma ancora non l’aveva completamente presa quella strada. Direi che qui io trovo una certa luminosità che non trovo poi non ci sarà negli scritti successivi. E anche la storia, non è un romanzo di formazione, è la storia di un ragazzino, un ragazzino che cerca di farsi strada sgomitando ricevendo dei colpi, degli insulti, risultando quasi sempre sconfitto tranne che in questo finale apertissimo che Kafka ci lascia Per esempio le note finali del libro che sono poi quelle del teatro naturale di Oklahoma, sono una visione aperta, gioiosa, primaverile. Questi angeli che suonano la tromba, questa scritta enigmatica “Tutti sono i benvenuti”. Non sappiamo che fine avrebbe fatto il protagonista, Kafka non ce lo dice, anzi “ce lo vuol dire o non ce lo vuole dire”? Trovo insomma tutti questi elementi di positività e trovo anche un certo umorismo nelle descrizioni, ad esempio se pensiamo alla figura di Brunelda.
Il romanzo ha una scrittura positiva ma tutto nasce da una punizione che Karl, il protagonista subisce, quindi da un’esperienza negativa
Questo ragazzino è un perseguitato e da questo non si scappa, però vive le sue avventure con un candore , con forte senso di rettitudine, di moralità, mentre il personaggio di K. ne “Il castello” è un personaggio più problematico, forse questo sta da addebbitara alla giovane età di Karl Rossman (il protagonista) forse perché va a sbattere su un continente giovane, appena nato, che combatte anche con un forte senso dell’umorismo. E’ un ragazzo che si fida degli altri, a volte fa malissimo come nel caso dei due personaggi di Robinson e Delamarche, ma comunque si fida e si fiderà fino alla fine. La visone finale di questo treno, questa immagine del treno che corre nel West, è un immagine che ho visto in tanti nei film western, che rappresenta l’America delle possibilità, l’America del riscatto, l’America dell’emancipazione.
L’America come terra promessa o mera incarnazione dell’illusione?
In Kafka è tutto un doppio taglio diciamo. Intanto Kafka in America non c’era mai stato e la descrizione che ci fa è figlia sia di letture sue, sia anche del racconto di coloro che erano emigrati .Non è una America che Kafka vive di prima mano, ma la descrive comunque con grande precisione perché la New York dei grattacieli è quella vera ancora oggi. Passeggiando per Manhattan si riconosce l’America che descrive Kafka. Basta pensare a quell’immagine dell’ingorgo dove le macchine sono tutte bloccate e per attraversare la strada bisogna attraversarle, la descrizione di una società già industrializzata che tiene al suo interno ingiustizie sociali e anche di questa Kafka riesce a parlare, facendoci vedere le manifestazioni, facendoci vedere gli scioperi. Lo definirei un libro meraviglioso, se penso a tutta la scena del comizio notturno per strada, l’uomo con l’altoparlante, la folla intorno che ondeggia, che lo porta su, poi alla fine lo lasciano lì perché non conta più niente. E’ un America a doppio taglio, ci sta sia in controluce la drammaticità dell’immigrato che viene schiaffeggiato e c’è anche l’America come bacino, scrigno di opportunità di riscatto.
Spritualismo kafkiano e la religione, e come cerca di rappresentarlo Max Brod, amico e curatore degli scritti di Kafka.
Kafka era religioso, era di appartenenza e praticanza ebraica, ma più che l’aggettivo religioso credo che gli si addica l’aggettivo spirituale. In Kafka c’è una spiritualità, un senso di trascendenza che non è codificabile nell’appartenenza religiosa che pure c’era. Nei confronti di Max Brod siamo debitori fino alla morte, però parla da amico postero, quindi dobbiamo fare tesoro delle cose che racconta ma non dobbiamo prenderle come oro colato.
Preferisce il titolo “America“ o “Il disperso” ? Quest’ultimo forse si “adatterebbe” meglio al racconto…
Sicuramente si, credo anche fosse il titolo del capitolo iniziale che Kafka ci ha consegnato. Però come lettore io sono affezzionato al titolo “America” perché è con questo titolo che io ho conosciuto il libro la prima volta che l’ho letto. Avrò avuto circa ventanni, e ci sono arrivato come terza o quarta lettura di Kafka… Alla fine lessi “America” che in realtà tutti mi dicevano che era il più “brutto” mentre io alla fine proprio di questo mi innamorai. Tipo “l’abbigliamento del fuochista” è figlia di questo amore.
Vedi Rossman, disse Robinson …quando uno è sempre trattato come un cane, alla fine pensa di esserlo davvero “: che valenza ha questa espressione vista su Karl?
Appartiene al personaggio di Robinson, non potrebbe mai appartenere al personaggio di Karl Rossmann perché per quanto Rossman venga trattato come un cane lui non pensa mai di esserlo, lui ha questa moralità forte, questo senso di umanità fortissima. E’ trattato come un cane, ma rimane ragazzo. Rimane uomo, rimane un soggetto spirituale, un soggetto ordinato nel senso più nobile del termine, sa distinguere sempre il bene dal male”.
Che differenza ha trovato nel leggere prima “Cuore di tenebra” di Conrad e ora “America” di Kafka?
Quello di Conrad veramente è un libro , una storia, dove non c’è scampo, non c’è riscatto. La descrizione dell’orrore, un orrore contemporaneo, descritto con grande capacità profetica da Conrad in quegli anni, ma non è un libro aperto come “America” che definisco così al di là del finale che è aperto, mentre se pensiamo alla chiusura di Cuore di tenebra è un libro che si chiude con un ulteriore menzogna quando il narratore che torna dice una bugia all’innamorata di Kurz nascondendogli la drammaticità della vera morte, del vero finale. Quello di Conrad è un libro che non lascia spazio a nessun tipo di ottimismo.
Una volta in un’intervista parlando di Hemingway …
Hemingway è uno scrittore fondativo in tutta la narrativa americana e per chi è venuto dopo di lui. La sua narrativa è alla base, perché è una scrittura apparentemente anche semplice, ma che conosce proprio il senso del ritmo, della narrazione … ho divorato tutto Hemingway, ecco diciamo che l’ho scoperto prima di conoscere la densità e la profondità di scrittori come Kafka o Celine. Anagraficamente ho inziato a leggere Hemingway che avevo quindici anni. La letteratura americana che io amo moltissimo viene da lì insomma.
E’ vero che canterà con Dylan sul palco del Lucca Summer Festival
Con Dylan c’è la possibilità di fare questo concerto condiviso, dove io farò il primo set e Dylan farà il secondo. Ma non condividendo o facendo alcun tipo di interazione con Dylan. Mi fa comunque molto piacere, Dylan e De Gregori sullo stesso palco, lo stesso giorno.
In un’intervista ha dichiarato di avere paura della vecchiaia…perchè?
Si ho paura della vecchiaia, della malattia e della morte come tutti, non credo di aver detto nulla di trascendentale. In realtà mi sento molto giovane, non volevo fare un proclama, solo che non posso dire mi fa paura l’Isis o le buche di Roma o il traffico. Mi fa paura il destino umanissimo di tutti di noi, che è la decadenza, e in prospettiva la malattia, il dolore, la separazione, la morte. Forse in quell’intervista l’ho detta in maniera molto esplicita, molti fanno finta di non pensarci o dicono di non avere paura di tutto questo. Se è vero li invidio molto, ma non credo che siano sinceri quando dicono di non avere paura.
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Piccola fine di un inizio
De Gregori occupa un posto centrale nella mia testa “ . Come ben si potrà capire da quanto dice la mia breve biografia qui su Satisfiction, l’importanza che la sua musica ha nel mio modo di essere , nel come demolisco e ricostruisco la mia vita sui miei 33 anni, mi trova per la prima volta a non avere metafore e modi per scriverne come sono solita fare. L’ho fatto una volta, sempre qui, con la speranza che lui non avrebbe mai potuto leggerlo. Avevo sempre detto che non volevo conoscerlo,e di tante volte che l’ho incontrato più o meno sono sempre scappata. Finchè poi ad avercelo davanti, in un luogo che nell’entrare mi sembrava quasi avere l’apertura di una tenda da circo , beh non sono potuta scappare, ho sempre amato il circo. Non volevo conoscerlo, ma abbracciarlo si, quindi diciamo che ho aspettato che il circo venisse in città solo per me. Perché l’abbraccio comprendeva tutto : il corpo si affida alle mani , c’è tutta un’ estensione , la testa dà la partenza, il cuore ci mette la benzina ed è tutto rappresentare uno slancio di vita e verso la vita. E poi me lo sono ritrovata ad un tavolo, mentre nel surrealismo totale, nell’intervistare il fratello, dovevo staccare il mio sguardo e la mia attenzione da lui e avere un blocco di ghiaccio nel petto. Non ho detto molto, non sono brava a parlare . Anche il giorno di questa intervista, poi alla fine non ho detto nulla che andasse oltre l’argomento trattato. L’ho rivisto la sera dopo, e non ho avuto né la fermezza né forse il coraggio di salutarlo. Purtroppo non ci riesco. Lo vedo è ho una razionalizzazione dei sentimenti che mi sembra necessaria per il rispetto che porto alla sua musica, alla sua persona e alla mia. Però quando l’ho intervistato mi piaceva ascoltarlo, mi piaceva confrontarmi con lui. Ed ho pensato che quell’abbraccio avesse fatto il percorso inverso, dalle mani al volto, dal volto alla parola. Quindi tutto questo per dirgli grazie, perché tanto sono sicura che ricomincerò a scappare di nuovo.