Cosa hanno in comune Kubrick e Caravaggio? Come in ogni accostamento, se lo si vuole estrapolare, un elemento condiviso da due mondi, seppur diversi, in un modo o nell’altro si riesce a farlo. La reazione che ne nasce è un “Oh, sì, e chi ci aveva pensato! Sei un genio!”. Ebbene, non qui. Non si sondano i mondi rinascimentali e postmoderni in modo forzato, le tramature degli accostamenti non sono slabbrate. Cambiano gli argomenti, cambia il punto di vista.
Quello che l’autore, il bravo Francesco Fiotti, mette in campo non è nulla di scontato né nulla di cervellotico. Semplicemente si circondano le vite, le opere e i pensieri di Kubrick e di Caravaggio e li si considera per strade totalmente innovative.
Ebbene, considerando quello sguardo, che contempla i due geni impregnati della realtà a loro contemporanea, anche a un osservatore poco attendo saltano agli occhi le strade di cui sopra. Beninteso, qui non si sminuisce il lavoro dell’autore, la cui genialità sta nel trovare il giusto punto di vista affinché le fila vengano tirate in modo quantomeno naturale. Banalizzando, è come se Fiotti si fosse alzato in piedi sul banco, come gli studenti del professor Robin Williams, e avesse potuto dare uno sguardo totale alle opere, alla vita dei due interpreti dell’arte.
Ardito, coraggioso e rischioso: con tali aggettivi definirei l’accostamento posto in essere (e sì, due possono essere sinonimi, sebbene con intensità semantiche differenti) da Fiotti, perché i personaggi che vaglia sono mostri sacri nel contesto delle arti nelle quali operano.
Kubrick indubbio regista di spessore, innovatore e perfezionista nell’arte filmica. Caravaggio genialità e sprazzi d’ombra, innovatore nel gioco delle luci, nell’utilizzo del colore, campione nell’arte della sua epoca.
Il rischio di banalizzare è alto, soprattutto se si pensa che il cono di luce che illumina i due Maestri è sicuramente molto sottile, si annusa un pericolo di caduta rovinosa, di analizzare dettagli troppo minuti che non considerano il complesso. Ebbene, questo problema non sale a galla.
Quanto preso in esame ha sempre e in ogni capitolo salde radici nella biografia e nella visione d’insieme di Caravaggio e Kubrick. La scansione dei capitoli ne è testimone. Si prendono in esame le opere d’arte, quindi i film e i dipinti e se ne analizzano gli aspetti considerando i due – artisti della fuga del reale – tenendo i piedi ben saldi nel loro tempo e nei loro spazi.
Chiaramente una immagine nel suo complesso non basta, chiaramente un fotogramma non può aiutare più di tanto e allora si passa al dettaglio, alla minuzia pittorica, alla storia che sta dietro ogni singolo fotogramma.
Si tratta di analisi per temi, non di analisi stilistiche, poco importa il tratto, la pennellata per Caravaggio. L’attenzione per lui viene posta nelle figure di contorno. Di quelle che, se Francesco Fiotti non ce le descrivesse, nemmeno sapremmo che sono state dipinte lì e, soprattutto, non ne sapremmo il motivo.
Per quanto riguarda il regista, invece, il tema cambia leggermente. Certamente sono analizzati alcuni dettagli delle inquadrature, alcuni elementi che vi entrano non senza un motivo che non sia stato pensato con minuziosa attenzione. Ma sono prese in esame anche il taglio dell’inquadratura, la sequenza, il montaggio.
Va quindi sottolineato come il linguaggio preso in esame non sia un linguaggio parlato o scritto. Non ci sono analisi dei dialoghi nei film di Kubrick, non ci sono le scritte dei dipinti a parlare con l’interlocutore; lo spazio viene lasciato in tutti i sensi all’immagine, al visivo.
Ciò che viene considerato, la forma più basilare di comunicazione, quella attraverso lo stimolo visivo, qui diventa il metodo meno immediato, ma più efficace per aprire a mondi altri, significati che vanno oltre la semplice fissazione dell’immagine in retina.
È proprio qui che fa capolino il punto dolente di tutto il saggio di Fiotti.
Che sia una scelta editoriale o meno poco importa, ma che le immagini siano presentate al lettore in bianco e nero, toglie molto alle osservazioni che sono descritte nel saggio. Si può riscontrare nell’immediato solo per certi versi quanto Francesco Fiotti spiega: fanno perdere forza ai ragionamenti. Il lettore può essere portato a decifrarne il sottotesto come fa l’autore per tutte le centoquaranta pagine o pensare che le riflessioni non abbiano completo riscontro nella realtà. Sebbene queste due ipotesi, ad avviso di chi scrive, siano del tutto inverosimili, rimane il fatto che proporre i dipinti di Caravaggio in bianco e nero possa considerarsi uno sgambetto a chi il saggio l’ha scritto.
Lorenzo Bissolotti
Recensione al libro Kubrick e Caravaggio. Sabotatori del reale di Francesco Fiotti, Mimesis 2021, pagg. 141, € 12,00