Cantautore e autore amato da un comune sentire intergenerazionale, Francesco Guccini, con “Così eravamo – giornalisti, orchestrali, ragazze allegre e altri persi per strada” si è ritagliato il privilegio di raccontare quella generazione del dopo-guerra, la sua, che a metà strada tra la guerra e il boom economico ha avuto la possibilità, o forse direbbe lui sardonico, l’illusione di immaginarsi un mondo diverso, un mondo a propria dimensione, dove i sogni possono diventare realtà.
E’ partito dalla sua Modena, una provincia di quell’Italia che ancora ha negli occhi e nella testa gli anni della guerra. Francesco Guccini, classe 1940, con tutta la famiglia è sfollato a Pavana la città dei nonni, ma alla fine del conflitto fa ritorno a Modena ed è qui che muove i suoi primi passi. I passi di un giovane uomo con la testa nel futuro che ha sempre però negli occhi l’Appennino Tosco-Emiliano della sua infanzia.
E’ questa sua dualità: muoversi con la testa in avanti, ma avere gli occhi e lo sguardo ben saldi nel passato, a fare di Guccini, un poeta sia che canti o che scriva le sue storie. “Così eravamo” cinque racconti ispirati ad accadimenti, storie come le chiama lui dalla “Piccola città” di una delicatezza a volte ricamata di ironia. Non c’è nostalgia nelle parole di Francesco Guccini, ma la capacità di intravedere in queste storie a loro modo minimali, la struttura della Storia con la S maiuscola.
Anche l’arco temporale dei cinque racconti ha una sua ragione e una sua valenza di frammentazione del racconto. Dal 1952 al 1963. E su questi due racconti viaggia la scrittura di Guccini. Il primo racconto intitolato “Colombini” dal nome di un compagno di classe delle medie prematuramente scomparso. La classe non andò al suo funerale, forse non era previsto dal Regolamento scolastico… “Andammo invece alla Festa degli Alberi, il mattino del 21 novembre… Poi là, nell’allora vasto piazzale di fronte alla chiesta di Sant’Agnese, in piedi, con un vento di rovaio proveniente da nordest, diritto dalla Slovenia e dalle doline del Carso triestino senza incontrare barriere di Appennino, un vento crudo che segava la faccia e faceva tintinnare le orecchie come fossero di cristallo, a vedere piantare uno striminzito abete …” E il quinto e ultimo racconto “Un portacenere rosso” il servizio militare di un giovane Guccini poco più che ventenne. Sottotenente nell’Ottantaduesimo Reggimento Fanteria Torino, attestato nel Nordest d’Italia da dove sarebbe potuta arrivare chissà, forse una pericolosa invasione di Tito. E’ il 1963. L’ironia di Guccini è palese nel descrivere quelle assurde regole militari di una Italia che sembra non ricordare più come avesse perduto la guerra e a quale prezzo; poi la storia cambia e il giovane militare incontra una ragazza che lavora in una osteria di un paesino ai più sconosciuto, ma dove risuona lontano il ruggito sordo quello che sarà ricordato mesi dopo come la tragedia del Vajont … “Mi chiesi, al di là dell’entità della tragedia, di cui allora ignoravamo l’intera portata, se la ragazza del bar ce l’avesse fatta, se fosse sopravvissuta alla grande mortifera onda assassina o se, come la maggior parte dei suoi concittadini, se ne fosse andata, fosse scomparsa”.
Nel mezzo: un ragazzo dei monti che vuole imparare a fare il mestiere di giornalista, la grande epoca delle balere, le gare amatorie goliardiche, figure che, a volte, paiono quasi uscire da un film di Fellini, dove lo sguardo di Francesco Guccini si posa con disincanto e un sorriso disarmante.
Maria Caterina Prezioso
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Così eravamo/Francesco Guccini/Giunti/ pp.172/18,00 €