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Francesco Marangi. Angeli di sale

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Naturale, oserei dire fisiologico mentre si sfogliano queste pagine, andare con la testa alla primigenia definizione di «definitivamente dannato», tanto cara a Faulkner quanto a gran parte della sua opera. Un marchio di stile e pensiero che, da spauracchio del singolo, nell’opera dello scrittore statunitense diventa monito di un intero albero genealogico. Una maledizione della terra, forse, o più semplicemente una predisposizione genetica, un’attitudine naturale di certe famiglie disgraziate che, improvvisamente fagocitate dalla luce, altro rifugio non sembrano trovare che non risieda nella forma di un dolore antichissimo.

Di medesima luce si viene invasi, stravolti, violati fin dall’incipit anche nell’opera di Marangi, finalista alla XXXV Edizione del Premio Italo Calvino e protagonista del quarto titolo della nuova collana Interzona diretta da Orazio Labbate.

Angeli di sale si presenta dunque come una folgore che non concede salvezza, un’allucinazione patriarcale che si consuma tra colline di materia ruvida, frastagliata, in cui l’acqua si infrange testarda e fantasmi di una mitologia arcana tornano a reclamare il proprio tributo di sangue. L’affronto si compie tra mare e terra, in un perpetuo conflitto la cui energia diventa innesco per una deflagrazione di corpo e psiche. Un tribunale senza inquisitori, luogo d’eterna dannazione la cui topografia ostile rimanda ai gironi ben più noti, dove perdere la ragione appare cosa di poco conto rispetto a posare il piede stanco in una landa la cui aria “gronda di sale” e il mare ha “una voce di cataclismi e suppliche”. Qui il tempo ha smarrito le sue coordinate, il luogo non necessita il vincolo ad un singolo nome, ci troviamo nei pressi di un paese di poche anime in qualche luogo sperduto della costa ligure, un antro di terra il cui mito s’è insozzato della schiuma verdastra di alghe, conchiglie e animali accumulati sulla riva.

«Rimaniamo in ascolto, gli occhi spalancati su un sipario di strapiombi e pinete, lingue di luce nascondono per qualche secondo il vuoto. Sul fondale si muove qualcosa di immenso che giace sepolto da secoli, le correnti girano sotto la pressione della sua potenza, il suolo rabbrividisce e uccelli si alzano in volo dagli alberi. È l’inizio e la fine di ogni cosa.»

Muoversi in questo luogo di confine non è cosa semplice, ancor più duro è firmarne la tregua dopo aver dedicato l’anima e le forze di una vita a prenderne le distanze. L’illusione di potersi salvare in terra straniera è tale fino al momento in cui tocca tornare a fare i conti con il proprio passato. Pietro è il soggetto del rimpatrio ma errato sarebbe pensare a questo romanzo solamente come al racconto di un ritorno. L’opera di Marangi è un organismo dalle molteplici escrescenze e ancor più vaste appendici. Sandro, Bruno, Clara, Maria, Enrico sono le voci di una confessione corale in cui ogni ruolo è scandito solo fino a quando non subentra la maledizione della carne. La vicenda è cosa di poche righe: un padre ormai incapace di prendersi cura dell’azienda familiare, una sorella, due fratelli, orfani di madre, accomunati da una morsa di rancore che si mangia ogni convenzione e un senso di colpa ben più grande a gravare su tutti quanti. Storia di famiglia e di corpi sopravvissuti, violati, celati nelle viscere di una parabola le cui pulsioni e violenza primitiva sembrano trarre energia da quella stessa spinta primordiale di cui sono mossi gli elementi più basici. Bestie e uomini si fanno simili quando il gesto è mosso dal bisogno e in questo arrancare nell’esistenza si avverte un senso di precario sfinimento che rimanda alle parole del Fenoglio più disilluso ma, se in quel caso l’amarezza traeva nerbo dalla situazione lavorativa e politica del contesto, in questo nonluogo mediterraneo la cui sabbia pare fatta della stessa sostanza delle ossa frantumate, la “gravità del dolore” è una chimera il cui sangue sgorga dai crocifissi degli inferni personali di ciascuna delle voci qui presenti.

«È questo posto; qui ho imparato a stare immobile. È il mare che mi si ferma nelle ossa, mi scorre nelle vene. Fuori non mi muovo ma dentro sono una spirale di fondali e fosse oceaniche, contengo un doppio, una copia esatta di quello che mi circonda. Sono gravida ma non posso partorire, nel vuoto del mio ventre si nasconde il mondo che verrà.»

In questo confessionale collettivo imbastito dall’autore nessuno sembra uscirne illeso, neppure l’indole di un disabile smarrito la cui unica colpa par essere quella di essersi affidato alle voci, quelle stesse che, in certi frangenti si ha quasi l’impressione si diano affanno per unirsi, diventare monologo congiunto, strette a forza in un asfittico cilicio domestico, marchiate a vita da spine irte di una rabbia che trova conforto nella sola volontà di ricongiursi alla terra.

«Un giorno sarò qui seduto e non ci sarà più nessuno fuori dalla terrazza che parla. Un giorno sarò cenere portata sui fondali e forse capirò meglio quello che la terra vuole dirci. A volte mi viene da pensare che la terra sono tutti i nostri cari, tutta la gente sepolta e dimenticata che ci parla con le parole della terra.»

La scrittura di Marangi è materia nobile, già matura, nonostante l’esordio, una furia corrosiva che si muove per suggestioni e sciabolate espressioniste. È la mano di chi ha ben chiara l’impronta che vuol dare alla sua opera se non alla sua intera carriera, una consapevolezza stilistica a cui altri giungono dopo svariati tentativi ma, nel giovane autore genovese, sembra essere caratteristica innata. Si resta inermi e incantati davanti all’immensità di questo baratro umano, generato da una prosa che non ha bisogno di affidarsi agli svolazzi di trama, che lascia da parte i colpi di scena (seppur qualche rivelazione nell’arco narrativo sarà presente) o le facili convenzioni stilistiche: ci troviamo al cospetto di uno scrittore che, a parer di chi scrive, si è già guadagnato il suo posto nella narrativa di classe superando la prova più ostica: rendere sublime la sofferenza.

La buona letteratura, in questo si conferma maestra.

Stefano Bonazzi

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Angeli di sale

Francesco Marangi

Alessandro Polidoro Editore

16,00 euro — 288 pagine

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