“Perché la mia ambizione non è quella di cercare il cuore delle cose,
ma il loro travestimento, il loro abito d’Arlecchino” (1)
Gesualdo Bufalino
E’ inutile, mi si creda, rimpiangere i maestri della grande prosa novecentesca; inutile sperare che il loro esempio serva a qualcosa visto che oggi, specialmente in Italia, si sono spalancate le cateratte del kitsch nazionaletterario di massa.
Un fiume di immondizia cartacea popolato da individui che con la letteratura non hanno nulla, ma proprio nulla, a che fare – comici, cantanti, registi, tennisti, magistrati, poliziotti, politici e politicanti, cuochi spadellanti e pennivendoli alla moda, calciatori spompati e illustri pompinare di regime, nonché gli immancabili fricchettoni e tromboni da salotti televisivi – al punto che l’odierna romanzeria nostrana assomiglia a un lurido e affollato vespasiano dove tutti i sedicenti scrittori d’Italia, nessuno escluso, si sentono in diritto di pisciare le loro idiozie da quattro soldi.
Sarà forse per questo, per questo magone che mi assilla, che l’altra notte, verso l’alba, ho udito nel sonno Giorgio Manganelli che sghignazzava. Sì, era proprio lui, impossibile non riconoscere quel suo vocione che saliva dal fondo di un sarcofago e mi gridava a pieni polmoni: “Smettila di illuderti, povero illuso! Tanto tu non conti un cazzo nel circo letterario nazionale, non ti accorgi di far ridere anche i morti?”
Fa presto a parlare lui, ho pensato, io però con la letteratura ci dovrei pur campare … Per dire, stamattina sono stato contattato da una delle tante scuole di scrittura che ormai proliferano qua e là come funghi, vorrebbero che oggi pomeriggio tenessi una lezioncina sulle sorti del romanzo. Mi hanno promesso duecento euro, iva inclusa, per parlare un’oretta davanti a una platea di ragazzi e ragazze in piena fregola romanzesca. La solita fregnaccia, insomma. Le solite fandonie da propinare agli allocchi di turno.
Ma è stato osservando le facce pulite, educate e perbene di quegli apprendisti scrittori immaginari che, ad un tratto, mi è tornata alla mente la voce sguaiata e vampiresca di Manganelli che avevo udito la notte scorsa. E così per placare e tacitare quel vampiro assetato di sangue, ho proposto a quei ragazzi assetati di letteratura di riflettere e commentare una dichiarazione di poetica formulata a suo tempo proprio dal grande Manga. Secondo il quale colui che intraprende un’opera d’arte dovrebbe innanzitutto saper “oscillare fino sull’orlo del tragico e distrarsene in tempo per conseguire il rapido lembo del ridicolo”; (2) Il che rappresenta, com’è evidente, un formidabile consiglio d’autore che ogni aspirante scrittore dovrebbe incidere a lettere di fuoco sulle proprie carni.
Contrariamente a quanto mi aspettavo, non ho ottenuto però alcun risultato. Tutti quei bravi ragazzi e ragazze, provenienti dalle migliori Scuole di Scrittura Creativa d’Italia, sono rimasti impassibili e le parole di Manganelli sono scivolate come l’acqua sulle loro facce annoiate.
Magari quel brontolone del Manga è un autore superato, mi sono detto, di cui costoro ignorano perfino l’esistenza. E poiché mi guardavano come si guarda un marziano piovuto per caso in mezzo a loro, a quel punto ho lasciato perdere Manganelli e l’ho sostituito con Ceronetti, di cui ho declamato questa sua profezia: “oggi il romanzo è morte che vive in un respiratore, un surrogato industriale. Si pubblicano romanzi come la Disney seguita a rovesciare nelle edicole di tutto il mondo i suoi topolini morti”. (3)
Dal momento però che anche quel provocatore di Ceronetti non aveva provocato alcuna reazione se non qualche risatina d’impazienza, allora ho deciso di interrompere la lezione e mi sono avviato verso l’uscita. Dopo di che, giunto alla porta, ho rivolto a quegli sbarbatelli la seguente minaccia: “Voi continuate pure a ridere di me e dei miei maestri, se così vi aggrada, sappiate però che la prossima volta io entrerò in quest’aula con un sacco pieno di topi e topolini … E sarà con immensa soddisfazione, vi assicuro, che lancerò quelle pantegane in faccia a voi e a tutti quelli come voi, che si illudono di diventare scrittori frequentando questi inutili e ridicoli corsi di scrittura”.
Francesco Permunian
- (1) Da un’intervista di Massimo Onofri a Gesualdo Bufalino in “Nuove Effemeridi”, V, n.18, 1992.
- (2) Dall’introduzione di Giorgio Manganelli a Frasario essenziale per passare inosservati in società di Ennio Flaiano, con uno scritto di Vanni Scheiwiller e una nota di Anna Longoni, Bompiani, 1993.
- (3) Cfr. La Stampa, aprile 1978
Francesco Permunian è scrittore che – ormai da tempo – si è lasciato alle spalle le lungaggini editoriali che l’hanno costretto a un’immotivata attesa di pubblicazione e riconoscimento; autore, tra l’altro, di Chi sta parlando nella mia testa (Theoria, 2018) – recensito per Satisfiction da Anna Vallerugo (http://www.satisfiction.se/chi-sta-parlando-nelle-mia-testa/) – di cui Andrea Caterini, in postfazione, scrive: «Risfogliando a ritroso tutti i suoi libri, ci accorgiamo infatti che, come narratore, Permunian è un Caronte, un traghettatore di anime dannate. Ma non si guardi a questa similitudine in negativo. Se Permunian traghetta dannati è per offrire loro un luogo in cui eternamente potranno abitare, un luogo insomma che li accolga, che li faccia sentire a casa. E quella casa è un artificio, misericordioso anche se mai curativo – ma profondo, insostenibile, cioè conoscitivo. Quel luogo è la letteratura».
E’ chiaro se leggiamo queste righe del suo antiromanzo: «Il petulante silenzio dei morti, che chiacchierano e litigano all’insaputa dei vivi, ecco come io spreco i giorni, in ascolto di voci e rumori che esistono solo nella mia testa. E nel frattempo, sperduto dentro un immane brusio di fantasmi, scrivo e riscrivo questo folle antiromanzo, questa maldestra registrazione di sogni e deliri scambiati un dì per idee e progetti. Contro il gelo, contro la stupidità, contro il silenzio, io rimango comunque avvinghiato alle parole. Solamente la parola può distruggere o salvare un uomo come me».
Da qualche giorno, Francesco Premunian è in libreria con Sillabario dell’amor crudele (ChiareLettere 2019), del quale parleremo a breve. «Un libro impudente e blasfemo, un feroce atto d’accusa contro l’oscenità della pedofilia cattolica». Ringraziamo ChiareLettere e Tommaso Gobbi.