“Battiato, chi è costui?”. Modificando il tempo verbale e mutando l’oggetto del pensiero, ricalchiamo l’interrogativo manzoniano che si pose Don Abbondio sul filosofo scettico Carneade di Cirene. E, se il curato faticò a trovare risposta, noi possiamo perlomeno dirci confusi.
Nato a Ionia (allora Riposto) in provincia di Catania, il 23 marzo 1945, Franco (all’anagrafe Francesco) Battiato è per alcuni un compositore classico e/o musicista d’avanguardia prestato alla musica cosiddetta leggera, per altri un filosofo, un mistico utilizzante la forma canzone per far passare i propri messaggi. Egli probabilmente – nietzscheanamente parlando autore di una musica “per tutti e per nessuno” – dirà d’essere tutto questo, ma al contempo nulla di ciò.
L’agile – e al contempo denso – libello curato, cesellato da David Nieri per Edizioni Clichy e intitolato Franco Battiato. Dove camminano le aquile, è una collazione di citazioni (non affatto sfociante nello sterile citazionismo) estrapolate da interviste a e da canzoni dell’artista siciliano, attentamente giustificate – con perfette indicazioni di derivazione e datazione – dal curatore. Ad aprirlo una trentina di pagine opera del Nieri dove, partendo da una sua personale esperienza di vita introdotta dall’interrogativo posto in apertura a questa recensione (l’ingresso, nella discoteca di casa sua, de La voce del padrone – per inciso il primo album in Italia ad aver superato il milione di copie vendute – nel 1982, ossia un anno dopo la sua uscita su etichetta EMI), cerca di stendere una biografia letteraria del cantautore/compositore/mistico soprattutto, ma anche regista (è del 2003 l’apprezzato e apprezzabile Perdutoamor, esordio dietro la macchina da presa a cinquantotto anni, proseguito poi con diversi altri lavori più o meno pregevoli, più o meno apprezzati). Immaginiamo non vi sia pretesa alcuna di esaustività, ma non certo per manchevolezze del Nieri, quanto piuttosto per l’impossibilità di delineare con precisione una tale (o tali?) personalità.
A sua volta anticipata – come è prassi fare per chiunque abbia detto/fatto qualche cosa che valga la pena di fissare – da una cronologia della vita, delle opere e delle azioni del nostro, la breve ma intensa carrellata biografica lambisce ogni punto. Si va dagli inizi come autore di canzoni sentimentali, d’amore (perché erano quelle per cui “pagavano di più” e il giovane Battiato, trasferitosi dalla natìa Sicilia a Milano nel 1964, doveva pur mettere in tavola almeno un pasto caldo al giorno!) alla sperimentazione d’avanguardia (sulla quale molto influì la frequentazione col compositore tedesco Karlheinz Stockhausen) con incursioni nei territori del progressive – evidenziate dalle partecipazioni ai Festival del Parco Lambro di Milano organizzati dalla rivista Re Nudo, di Andrea Valcarenghi – degli anni Settanta. Ancora, si va dall’approdo a un cantautorato più o meno impegnato, più o meno mistico (soprattutto grazie alla frequentazione letteraria con le opere di René Guénon, Gurdjeff e di diversi maestri sufi), alla stesura di vere e proprie opere (tra le quali, Gilgamesh del 1987 e Telesio del 2011, le più autenticamente liriche).
Nella manciata di pagine introduttive Nieri non lascia nulla al caso – è proprio per questo che abbiamo parlato di cesellatura – e ci spiega il significato della titolazione del volumetto: camminare è ovviamente, per le aquile, “un’azione innaturale: l’aquila deve volare, per avvicinarsi al cielo e carpirne i segreti”. Quindi Battiato da umano si offre di seguire col proprio cammino il volo dei rapaci e di rendere noi edotti (per quanto possibile comprendere, a noi e lui) dei segreti del mondo sopraterrestre. Sì, perché Franco Battiato ha sempre tenuto in altissimo conto il ruolo di “ponte”, ruolo che non ha mai nascosto di saper – e voler – svolgere, tra musica leggera e colta, tra Sud e Nord, tra Occidente ed Oriente.
E poi: è vero che Battiato non ha mai voluto inserire la politica nelle proprie canzoni? L’autore, e noi con lui, rispondiamo sì, ma anche no. Sì perché il nostro non è stato mai un “cantautore politico” alla Guccini o alla (primo) De Gregori, per citarne due soltanto. Ma la risposta diventa no se si tiene conto che le tematiche scelte da Battiato, anche se considerabili “standard” (come può esserlo la politica per un cantautore di un certo livello), lo sono sempre alla sua maniera, cioè tenendo conto dell’oltre piuttosto che del qui ed ora. Due sole volte è sceso esplicitamente in campo (e non alludiamo certo alla breve esperienza – tra 2012 e 2013 – da Assessore al Turismo della Regione Sicilia), con Povera patria (1991) e con Ermeneutica (2004): ascoltare per credere!
In conclusione, un godibilissimo libretto, arricchito da numerose immagini in bianco e nero del protagonista assoluto dello scritto, e dal formato comodissimo: lo si può infatti tenere in tasca e attingervi centellinando poche pagine al giorno. Solo ragionandolo potremmo infatti, forse, capire che – come canta Franco Battiato in New frontiers del 1982 – “l’evoluzione sociale non serve al popolo, se non è preceduta da un’evoluzione di pensiero”. Sarà per questo che viene da molti inserito nel novero dei pensatori antimoderni?
Alberto De Marchi
Recensione al libro Franco Battiato. Camminando con le aquile, (a cura) di David Nieri, Edizioni Clichy 2019. pagg. 130, € 7,90