Esce ad aprile 2019, nei cinquant’anni di Stonewall e la nascita del Pride, Due pub, tre poeti e un desiderio (Marcos y Marcos, 300 pagine, 16 €), ultimo romanzo in forma di docu-fiction di Franco Buffoni.
In una prosa elegantissima, estremamente colta senza diventare autoreferenziale, inclusiva senza strizzare l’occhio e dalla temperatura stilistica calda, Buffoni ci accompagna per i meandri più piccanti delle vite di tre poeti fondamentali, nelle officine di tre personalità geniali che hanno fatto della vita un’opera d’arte e dell’arte un monumento alla vita. Il tragitto che percorrono le loro esistenze segue la linea della condizione omosessuale per due secoli.
Tre poeti. Il libro rivela una contro-biografia, fatta di episodi privati, aneddoti pressoché assenti dalle biografie ufficiali di tre uomini, tre poeti tra i più rappresentativi della modernità: Byron, Wilde, Auden. Buffoni crea un fil rouge tra i protagonisti, fino a definire una figura ideale unica, quella del poeta omosessuale anglosassone, che vive la frizione tra la propria condizione e la società, dalle condanne a morte alla gogna, di inizio Ottocento, al carcere duro di fine secolo, fino alla rivolta di Stonewall nella seconda metà del Novecento. E da qui definisce il profilo di una persona (dall’etimo latino) unica e trina, BWA appunto, come l’acronimo dei tre cognomi, nato nel 1788 e morto nel 1973. «Le loro date di nascita e di morte si susseguono come il loro successo, il loro esibizionismo e il loro fascino». La storia (story) personale, eccentrica, fuori dagli schemi prestabiliti dai costumi del tempo, e per questo morbosamente studiata, emulata da generazioni e generazioni di scrittori e dandy – i tre poeti erano vere e proprie celebrità- viene abilmente intrecciata con la storia (history) del movimento omosessuale.
Due pub. White Swan di Vere Street a Londra, il primo. L’8 luglio 1810 il reverendo John Church sta celebrando un matrimonio tra due uomini. Irrompe la pulizia, accusando tutti i presenti di sodomia. Processo immediato, gogna, pratica usata soprattutto per i “colpevoli” di sodomia (ne parla molto approfonditamente lo stesso Buffoni ne Il servo di Byron, uscito per Fazi nel 2012) due esecuzioni capitali e condanna a carcere duro, con seguito di suicidi collaterali, cambi di cognome ed espropri famigliari. Byron era in Grecia in quel periodo ma sapeva bene che il prezzo da pagare per l’omosessualità in Inghilterra era la vita o nei casi più fortunati, la fuga prima della condanna, in particolar modo se benestanti. Nel libro si trovano vari intellettuali e personaggi famosi dell’epoca, costretti alla fuga per non finire nel patibolo.
Il secondo pub è lo Stonewall Inn al Greenwich Village. Il 27 giugno 1969 entra la polizia per il consueto controllo ai locali gay ma invece della solita routine, della remissività nei confronti delle forze dell’ordine, due transessuali lanciano ai poliziotti una scarpa con tacco a spillo. Il giorno seguente tornano in 400 poliziotti ma li aspettano 2.000 persone, agguerrite, nella prima ribellione della storia del movimento di liberazione omosessuale, all’urlo di “gay power”. Nasce il primo pride.
Un desiderio. Amare. Amare liberamente. Amare liberamente una persona dello stesso sesso.
Il vero protagonista del libro si può condensare solo in questo desiderio. Lo sviluppo delle vite dei poeti invece è tradurre questo desiderio in fatti nascosti ai riflettori, ritradurlo in versi ma celandone la natura, per non incombere nella condanna della società, tanto ammaliata dal genio quanto pronta a rigettarne l’omosessualità.
Leggendo il libro, non mi sono percepito come un lettore seduto sul divano, ma non so come, mi sono ritrovato nel mio bar preferito, con un signore elegante, distinto, Franco Buffoni, che mi invita al suo tavolo, mi offre un whiskey sour, poi un cocktail a base di gin, e un altro, altri, fino a perderne il conto, mentre mi racconta il suo desiderio attraverso la vita di tre poeti che amo. Una volta arrivati alla fine, chiudo l’ultima pagina e rivedo quel signore che mi sorride, io devo andare e lui rimane lì, ad attendere un’altra persona, un altro lettore. Mi saluta cordialmente e ringrazia dell’ascolto. Nella strada di ritorno ripenso ai tre poeti e una volta a casa, accendo il pc, metto su il Manfred di Byron, eseguito da Carmelo Bene, con le musiche di Schumann; poi prendo Childe Harold e ritorno in Albania con la mente, sfoglio le pagine di Wilde, le lascio aperte per andare da Auden, a chiedergli la verità sull’amore, e ormai all’alba, mi addormento con la sua Lullaby.
Ogni volta che voglio ritornare in quel bar, riprendo in mano Due pub, tre poeti e un desiderio.