di Matteo Samuele Chamey
Franco Trentalance, ex pornodivo (felice) ma soprattutto uomo, essere umano. Oggi scrittore, coaching, cultore di teatro, appassionato di enogastronomia, intrat(tiene) conferenze sulle tematiche dell’antiaging, dilatando le sue disamine dai pendii scoscesi del successo personale e della seduzione. Da fiero indagatore degli anfratti dell’umanità, lo conobbi circa 15 anni fa in quel Mi-Sex (nota fiera erotica del settore pornografico, in caduta libera, ancora sotto l’egida di Riccardo Schicchi, nda) così brillantemente glorificato a teatro puerile delle sconcerie di massa. Maurizia Paradiso troneggiava vanesia dall’alto della sua notorietà consolidata, pur scrutando all’orizzonte la caduta dell’impero..dal pero! Ragazze qualunque ne subivano la fascinazione rumoreggiando come una scatoletta di tonno appena aperta, la Vittoria Risi muoveva i suoi primi tacchi ed esisteva ancora l’Atlantique di Viale Umbria. Tutto ruotava col lubrificatore appropriato per le occasioni e dietro la patina dell’unguento succulento già si animava il fermento del disvelamento: sono una persona non sono una santa. Le ragazze qualunque (di prima) mi sussurravano desideri impropri per l’occasione, si passava dal “voglio tornare a studiare fisica nucleare fra un paio d’anni” a “qui non conosco nessuno ma il mio ragazzo si”. Mi innamorai di questa umanità dolente e latente, al punto da improvvisarmi fotografo e reporter per il Delta di Venere (portale del settore, oggi defunto, nda) al fine di abbracciare i sorrisi e le verità sopite di persone davvero autentiche. Franco è tra questi e lo dimostra col suo ultimo romanzo L’Origine delle Tenebre, uscito per i tipi di BookRoad e scritto a quattro mani con Gianluca Versace (volto televisivo di Canale Italia). Svestiti i panni del porno-supereroe, il nostro ha intrapreso una proficua carriera d’autore di horror-thriller dai risvolti maniacal-psichiatrici, proiettandosi in prima persona in una sorta di viaggio virtuale nel corpo dei personaggi principali sceneggiati. Tra coppie sposate mutilate, torture alla Eli Roth e richiami ancestrali al passato, Franco alias Martin Graf si ritrova a vagare per l’Italia ricostruendo pezzo dopo pezzo un puzzle contorto fatto di indizi inquietanti e suggestioni investigative: l’assassino lascia sempre sul luogo del delitto un dvd senza custodia che ha come protagonista il famoso attore. L’idea di fondo dell’autore è quella di interrompere una catena del male che trova fondamento nella genetica familiare, come a voler dimostrare che ciascun individuo può agire con uno sguardo radioso al futuro senza dover a tutti i costi pagare dei peccati altrui. La miscela funziona, lo scritto è sapido e incalzante, la curiosità del lettore ficcanaso trova pane per i suoi denti e la vena cinematografica è senz’altro appetitosa. Franco così dimostra di saper maneggiare la carne sia sul set che sulle pagine di carta, tessere trame dai vagiti spudorati e silenziare il luogo-comune dell’uomo-etichetta. Ci troviamo Kafka “un uomo potrebbe essere scappato dalle sirene cantando – come è successo a Ulysse – ma dal loro silenzio, sicuramente mai” e un pizzico di fumettistica adolescenziale (Kriminal , Diabolik, Le Storie dello Zio Tibia). Verrebbe da affermare che da risolutore della mascolinità decaduta sia transitato tra le fibbie strette dell’indagatore dell’incubo, ed è evidente che lo scavare in profondità lo contraddistingua da sempre come atto fisico e cerebrale. Le montagne dell’Appennino tra l’Emilia-Romagna e la Toscana sono il suo scenario prediletto, la solitudine degli spazi aperti, il campo visivo in espansione e la muscolature delle gambe di uno scalatore provetto solidificano mente e corpo scagliando dardi incantati sulle teste di ignari protagonisti delle cronache del territorio. Non siamo dalle parti del gotico-padano ma del ben più solido giallo all’italiana intriso di peccato. “La scrittura innesca empatia”, le fiammelle della chimica-cerebrale generatrici di fantasie e intuizioni. “Risolvere problemi”. Da uno degli uomini più miti e sorridenti che abbia mai conosciuto l’ovvietà assume i connotati della ricerca spasmodica della soddisfazione. Franco continua a stimolare le nostre fantasticherie vestendo i panni classici dell’ermetismo kafkiano, slittando dalle colline frastagliate di esistente mal celate. Non è solo la voce ad essere graffiante, l’uomo taglia e cuce le proprie tele col rischio concreto di intrappolarsi nello specchio delle proprie paure. Siamo uomini oltre le convenzioni, oltre ai selfie ci sono “scatti” di follia accumulata.