L’arte di andare a passeggio è lo scritto che dà il titolo a una raccolta di materiali firmati da Franz Hessel, ora meritoriamente pubblicata da Elliot. Si tratta di una silloge, di una raccolta, appunto, di racconti, pagine di diario, riflessioni che, già di per sé, contengono – in qualche modo – una predisposizione “deambulatoria”. Hessel, infatti, si muove nella scrittura mai perdendo di vista il legame tra luoghi e scrivere, anche nella forma più schiettamente narrativa.
L’arte di andare a passeggio è quello che si può definire un breviario, la cui sinteticità è pari alla profondità della sua “programmaticità”: “Andare a spasso non è né utile né igienico, è un atto di presunzione, come – secondo Goethe – fare poesia”.
Il flaneur di Hessel è un individuo che usa il reticolo stradale, le pulsanti connessioni nervose di boulevard, piazze, lungofiume come un enorme rete a cui abbandonarsi sì, ma mai nel senso “irrelato” proprio del Baudelaire parigino. L’abbandono è contemplativo e, in più, una sorta di esercizio mentale, in cui l’arte di camminare non impone luoghi sconosciuti né belle località, ma osservazione profonda degli edifici, dei negozi – con le storie che potrebbero nascondere o contenere – ricordando che “La strada è dunque una specie di libro. Leggila. Non giudicare. Non scegliere troppo in fretta ciò che è bello o brutto. Lasciti ingannare e rapire dalla luce, dall’ora e dal ritmo della tua andatura”.
Ma, soprattutto, l’andare in città diventa “agire senza scopo”, ma non “andare a casaccio”, in cui, avverte l’autore, c’è de “dannoso dilettantismo”. Una forma d’arte, quindi, e contemporaneamente una forma di “resistenza” – e qui un riferimento a L’invenzione del quotidiano di Michel De Certeau, dove il camminare diventa vera e propria forma di opposizione all’ordine che il potere diffonde nella struttura architettonica e topografica della città – non sembra inutile. Camminare secondo queste regole significa allontanarsi dalla riproduzione di scopi, di attività produttive, di ordine socialmente regolato.
Una tendenza, che ritrova vigore anche nell’altro scritto intitolato Scuola di preparazione al giornalismo. Diario parigino: più che un diario, un manifesto di estetica del camminare metropolitano. In queste pagine, Hessel riproduce, come in una sorta di speciale guida cittadina, le modalità con cui scruta lo spazio metropolitano, quelle che presiedono all’osservazione e all’estrazione di sensazioni/idee da ogni superficie analizzabile con la vista. Da quella delle chiese a quella dei tavolini dei bistrot, senza escludere la macchina fascinatoria della metropolitana, dove viaggiare “ora sottoterra ora in superficie, fino alla collina di Montmartre, e lì cenerò nel piccolo ristorante in cui ci si siede assiepati come nella cabina di una nave e forse rivedrò al tavolo accanto al mio quel viso innocente dalle sopracciglia rasate…”.
L’esperienza motoria sul selciato è per Hessel un’esperienza totale, che coinvolge in pieno i sensi e che è “di per sé” esperienza, senza che debba necessariamente essere giustificata da un fine o un obiettivo. È lo sganciamento dall’idea baudelairiana del flaneur e, in qualche modo, una premessa all’idea di spazio urbano di Georges Perec.