Proponiamo un testo inedito di Franz Krauspenhaar tratto da Ti racconto una canzone, libro di Massimiliano Nuzzolo realizzato in collaborazione con Eleonora Serino, in uscita da Arcana Edizione.
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A quindici anni non sai se sei carne o pesce. Io mi difendevo bene, ero carnivoro con predilezione per il manzo. Poi, negli anni, cambiai gusti. Un po’ per non morire di qualche specie di malattia da estrogeni, un po’ perché la carne, in età più avanzata, comincio’ a costare di brutto.
Sono un uomo delicato e burbero allo stesso tempo: mi piace la carne ma anche la minestra in brodo. Non so se mi spiego.
A quindici anni vagavo senza meta alla ricerca di me stesso. Erano i disperati anni 70, che oggi ci sembrano gioiosi, perché ce la facevamo ancora nei pantaloni, presumo.
Saltavano treni, si ammazzava per la politica degli omicidi, si copiava un po’ dalla guerra civile del 44 e 45. Solo che i partigiani, adesso, erano dalla parte del torto. Non del tutto, certo: i ”demoniocristiani“, come li chiamava papà Aldo, ci marciavano, facevano le vittime.
Terribile, sanguinario tutto, nella plumbeita’ di Milano, come se girassimo per la città sempre con gli occhiali scuri, che fosse bello, mediano o piovascoso brutto. Un limite, ma anche una scuola di vita.
Facevo il liceo scientifico e a quei tempi, a metà dei Settanta, c’era ancora la moda oscena dei Rossi contro i Neri; come se la metà dei tifosi dei “rossoneri“ del Milan andasse a sprangare l’altra metà. Una vera guerra fratricida.
A me del calcio fregava un bel niente: la passionaccia vera era la musica rock. E ascoltavo però anche un po’ di jazz, perché papà Aldo era un pasionario e mi aveva un tantino contagiato, e data l’età ci dava dentro soprattutto col Duke Ellington, il suo Dio.
A me piaceva di più la musica dei cinquanta, che scoprii da uno di quei dischi, della Fabbri, mi pare, che si compravano in edicola. Era una raccolta del pianista cieco, Lennie Tristano. Una musica cervellotica e allo stesso tempo come proveniente dalle viscere del cosmo.
Cani e porci, ai tempi, suonavano la chitarra, vale a dire i soliti accordi, e a me non andava, perché le mode le seguivo poco. Solo capelli lunghi e crespi alla cane pastore arrabbiato, gli zampa d’elefante e l’eskimo. E il rock, soprattutto progressive, e i Led Zeppelin e gli Who. Volevo imparare il piano, pero’. Mi aveva fatto diventare matto Keith Emerson, degli ELP. Un virtuoso tremendo. Ma soldi, nella modesta famiglia Maraghini, non ce ne erano nemmeno per le lezioni. Così comprai un povero flauto usato, che avevo sentito suonare alla radio, da un tizio inglese. O scozzese?
Scoprii che era nato in Scozia, ma presto, con la famiglia, si era trasferito a Blackpool, vicino a Liverpool.Si chiamava Ian Anderson. E faceva il rock col suo gruppo, i Jethro Tull, un nome che suonava alla grande, devo dire.
Il nome del primo agronomo moderno, vissuto nel Settecento.
Quel pezzo che avevo sentito per caso alla radio si chiamava Quizz Kid. A quel tempo le radio trasmettevano molta spazzatura, certo con molta meno intensità di oggi. La canzone, scoprii dal mio amico Giasone, che sapeva tutto sul rock, era appunto dei Jethro Tull, che avevo sentito nominare ma non avevo sentito suonare, almeno credo.
Non me li fece ascoltare nemmeno Giasone detto Jason, a casa sua, che aveva una gran bella collezione di capolavori, e pure di belle stronzate che passavano per tali.
Mi fece sentire delle grandi cose. Ma non i Jethro Tull.
Insomma, allora o stavi bene, e potevi comprarti un sacco di dischi, o dovevi centellinare. C’erano le riviste specializzate, ma spesso trattavano di cantautori e mezza spazzatura americaninglese e “patati’ patata’ ”, come dicono i francesi.
L’Aldo sganciava poco, mamma Lucia pure. Vidi due concerti e un quarto, all’epoca: il primo dei Who, favolosi; poi ci fu la fregatura colossale del concerto abortito di Lou Reed al Palasport di Milano, che finì subito grazie ai soliti scalmanati: così recito’ La Stampa del 15 febbraio 1975, io ero praticamente un bambino cresciuto:
“Dopo l’esibizione di Angelo Branduardi, verso le 22, si è scatenato il finimondo. Gruppi di teppisti con la faccia coperta da fazzoletti, armati di spranghe e bastoni, hanno invaso sala e palcoscenico inveendo e colpendo all’impazzata; altri intanto lanciavano bulloni, pietre, bottiglie, lattine di benzina, sacchi di plastica pieni di liquidi vari, ed altri oggetti. Due persone ferite, impianti sonori spaccati, sedie e scene devastate, strumenti musicali rotti. (La Stampa, 15/2/1975- preso dall’archivio web del quotidiano).
Così Lou ci mise pochi secondi a filarsela. Per anni andò in voga la battuta, in milanese: ” lu reed, e li alter piang.“ Simpatico, no?
Delusione massima. Metà biglietto me lo aveva pagato il Giasone. Insomma, per un bel po’ di anni niente concerti. Il trauma fu forse psichiatrico.
Fino a uno, proprio dei Jethro Tull, negli anni Ottanta, al quale non potevo proprio rinunciare, – e quando la questua di Giasone non mi serviva più.
Esperienza che non riesco nemmeno a raccontare.
Quella canzone, Quizz Kid, l’avevo ascoltata per la prima volta nel 77, il disco da cui era tratto era del 76, ma il gruppo in questione esisteva dal 1968. Quasi dieci anni di ritardo…
Oggi invece va tutto al ritmo dei social. Tutto passa alla velocità del suono, un altro suono, e non lo vedi nemmeno. Al computer senti tutto gratis, non ti conquisti nulla, nemmeno l‘ignoranza.
Sei un bimbo ricco in una stanza piena di balocchi e impazzisci, e non sapendo scegliere molli tutto prima di cominciare. Forse è meglio oggi, se sei veramente curioso, se ti frega non solo dello squallido presente, ma anche dello squallido passato.
Sono passati tanti anni, qualcosa nella vita ho combinato.
Sono seduto sulla mia comoda poltrona da cui ascolto per la X volta “Too old for rock and rock n’roll, too young to die“. Sono un sentimentale quasi da tragedia.
C’e’ Quizz Kid. Dopo quella casuale rivelazione ho sentito tutto, dei Jethro Tull, – fino ad oggi, ottobre 2021-, e di mille volte più bello, conosciuto e ormai storicizzato.
“Ma Quizz Kid“ fu la prima.
Ian Anderson, il leader assoluto, ora ha settantacinque anni. Potrebbe essere mio zio. Ma anche un fratello maggiore.
Ecco il succo del testo adattato dal Maraghini me medesimo
– sempre al vostro servizio- in italiano:
Sii un Ragazzo Quizz
uno che vince tutto- un Kid Quizz.
Sei giorni dopo ecco un telegramma urgente
molla tutto e segna questo numero di telefono,
e’ un viaggio gratis fino a Londra per un week-end alla grande.
E ‘una prova per un quiz che a milioni guardano ogni settimana,
pezzi di cervello schizzano sulle pareti della conoscenza enciclopedica.
Può essere crudele, ma è divertente.
Tieni la testa alta davanti alla pistola
di un milione di raggi catodici mirati sul cranio.
Che tu possa trovare la vera ispirazione.
Che tu possa salire al vertice del successo
possa il tuo spirito essere rapido e forte.
Che tu possa stupirci costantemente
possano le tue risposte non essere mai sbagliate.
Che la testa ti stia ben salda sulle spalle
mentre la maggior parte di noi prega
che tu possa tornar qui la prossima settimana!
E’ una canzone ironica, il testo non è niente di straordinario; fa parte di un concept album, di una storia. La copertina dell’album, bellissima, e’ una storia a fumetti.
I quiz a premi, la televisione col fluido che uccide.
Non è cambiato niente. E al centro esatto di noi stessi, molti di noi non sono cambiati affatto.
Telefono a Giasone, al vecchio Jason, ci siamo ritrovati sui social solo tre anni fa. Ha come sempre, e come me, il rock scolpito in marmo nella testa.