“Sale di mare e lacrime” di Gabriela Garcia (HarperCollins, 2022 pp. 304 € 19.00), nella traduzione di Valeria Bastia, è un libro che dipinge uno straordinario ritratto al femminile, esprime la fierezza, la risolutezza e l’intesa per l’emancipazione. L’autrice celebra, con uno stile concreto, autentico e poetico, l’anima pulsante e la sensibilità leale della vita migrante dei protagonisti, in particolare la relazione affettiva e vitale delle madri e delle figlie che lottano contro la dispersione di un popolo, la frammentazione delle famiglie, l’isolamento della violenza, nobilitano l’autonomia della propria voce dall’arrendevolezza imposta. L’esordio letterario di Gabriela Garcia trasporta parole piene di speranza, attraversa il confine della sopravvivenza, muove l’intensità di una trama che svolge la sua coordinata spazio temporale oltre le dinamiche incondizionate dei vincoli affettivi, supera la difficoltà ricorrente delle scelte quotidiane, nel clamore suggestivo di un’immigrazione sentimentale. “Sale di mare e lacrime” immerge la propria linea narrativa nella frontiera delle sconfitte, nella contraddizione umana delle ferite, nella rivendicazione del proprio coraggio. Le donne descritte sapientemente da Gabriela Garcia fronteggiano le avversità e rintracciano sempre l’attitudine fondamentale per guardare avanti, proseguendo il loro cammino di dignità e passione. Il carattere letterario, volutamente intimo e familiare del romanzo, dipinge lo sfondo della struttura transitoria del tempo, negli spostamenti cronologici delle conseguenze, riconsegna la sostanza seducente dello spirito, lo spunto di riflessione verso una rappresentazione verista della realtà, propone l’esigenza di una narrazione rigorosamente oggettiva nei confronti di personaggi leggendari, avvinti da un coinvolgimento emotivo e intellettivo, nella possibilità dei legami e delle coincidenze individuali. La divulgazione della cronaca espositiva diffonde la responsabilità dell’umanità, il richiamo evocativo del corso degli eventi, nel confronto generazionale degli interpreti che comprendono il destino della colpa, il tormento del rimpianto, la nobiltà d’animo per non scoraggiarsi e risollevarsi dopo le cadute. La restituzione della resistenza muliebre consegna una dimensione romantica, arricchendo di significato l’inconfessata e recondita solitudine nelle esperienze drammatiche vissute, la radice ancestrale nella volontà di reagire nonostante i traumi subiti, la sincera resilienza dell’equilibrio nella successione matrilinea. Gabriela Garcia confessa il sistema sconvolgente delle imposizioni, la dura e prepotente sopraffazione, riconosce nel limite impercettibile dell’accettazione l’elaborazione insidiosa e consapevole del cuore delle donne, identifica la memoria frantumata dalle fratture sentimentali, indirizza l’incontro delle identità nel dialogo oltre le tensioni e la catena delle corrispondenze nella discendenza, nell’intreccio disgiunto delle storie di vita. Ogni donna descritta nel romanzo risorge dal silenzio obbediente, dal disegno della propria connaturata salvezza, protegge i sacrifici della virtù interiore, fedele alle parole segnate sul libro I Miserabili di Victor Hugo che tramandano la ragione e l’espressione delle proprie conquiste: “Siamo forza. Siamo più di quanto pensiamo”.
Rita Bompadre
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A letto, Jeanette si sveglia di soprassalto, ansima, trattiene il respiro. Un dolore intenso al petto. Quasi come l’amore che prova per Mario, come la voglia che ha di correre da lui. Trattiene quella sensazione come una pallottola. No, ne ha fatta troppa di strada per crollare proprio adesso. Fuori, un temporale fa cadere gocce di pioggia sulle foglie malate di un banano morente. Nelle notti come questa non si accorge nemmeno che le dita raggiungono il comodino alla ricerca della bottiglia, di quel familiare tintinnio curativo. Stringe il pugno e se lo mette sotto la testa.
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La strada era deserta, illuminata dal bagliore delle facciate art déco degli hotel, un luogo che sembrava reale quanto un albero di Natale di plastica con le lucine accese. Percorsero a tutta velocità due isolati in direzione opposta rispetto al mare, incrociando una manciata di nottambuli con gli occhi annebbiati, per nulla turbati nel vederli correre chissà dove mezzi nudi e in preda al panico.
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La strada fuori era deserta, placida, le macchine dei suoi parenti parcheggiate nel vialetto fin sul marciapiede, a conferma che casa sua era piena di gente. Mentre chiudeva la porta, la raggiunsero gli strascichi delle conversazioni. Cuba di qui, Cuba di là….Cuba, Cuba, Cuba. Perché andarsene da un posto se poi continui a ricordarlo, a infilarne i nomi delle strade in tutti i discorsi possibili e immaginabili, a considerare ogni situazione dal punto di vista di qualcuno che ha subito chissà quale perdita immaginaria. Miami esisteva in quanto vuoto ricettacolo di ricordi, una città ombra, piena di gente che aveva bisogno di un punto di osservazione da cui mettere il proprio passato in prospettiva. Non lei, però. Lei viveva nel presente.
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Io sprofondo sul sedile, in silenzio. Il tempo passa. Una ninnananna campestre, il rombo del traffico che mi culla. Chiudo gli occhi e immagino cosa dovrei fare per sedurre un turista tedesco affinché si innamori di me, cosa dovrei fare per convincerlo che mi deve sposare perché ha bisogno di me, perché nella sua testa sono tutto ciò che manca a una donna tedesca. Io sono vacanza, il mio corpo è vacanza. Cosa dovrei fare per convincere un turista tedesco a portarmi via con sé?
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Non aveva mai notato che le ore si allungavano come durante l’assenza di Daniel, il tempo generoso quanto la yucca che raccoglieva nel terreno. Faceva quello che le pareva. Andava a trovare le vicine di casa e insieme lavoravano all’uncinetto sotto il portico, faceva lunghe passeggiate con le figlie e mangiava guaiave polpose direttamente dalla pianta. Si dimenticava di controllare l’ora, non doveva preparare nulla per nessuno a un orario specifico, solo le pietanze che avrebbero mangiato.
(…)
Siamo forza. Aveva anche aggiunto qualcosa di suo pugno: Siamo più di quanto pensiamo. Ana ignorava perché Jeanette avesse scritto quelle parole, ma scelse di credere che quella frase, quello scarabocchio, fosse un grido nel tempo. Si riferiva alle donne? A certe donne? Siamo più di quanto pensiamo. C’era sempre qualcosa di più. Ignorava cos’altro avrebbe preteso da lei la vita, cos’altro le avrebbe strappato, ma in quel preciso istante aveva una torta, le candeline e questo regalo. Pensò che un giorno anche lei avrebbe potuto passare il libro a qualcun altro, chissà a chi. Forse a qualcuno che le ricordava se stessa….”