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Gail Honeyman. Eleanor Oliphant sta benissimo

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Eleanor Oliphant sta benissimo. Sono due giorni che l’ho salutata e ne sento una forte nostalgia. Ho centellinato le ultime pagine come succede con quei libri che ti dispiace tanto finire. Mi manca la tenerezza e la ferocia del suo modo di raccontarsi quello che vive, quello che vede; la gentilezza con la quale Raymond è riuscito a graffiare la solitudine che la proteggeva; il coraggio con il quale lei si è messa in discussione.

Non voglio raccontarvi nessun dettaglio della storia, nemmeno dove si svolge, perché qualsiasi elemento guasterebbe la posizione nella quale Eleanor ci pone: siamo i suoi testimoni. Guardiamo come costruisce e mantiene il ponteggio di regolarità, razionalità e solitudine che la tiene in piede e la difende dal crollo che la seppellirebbe. Guardiamo come stordisce il dolore in quel silenzio tra il venerdì sera e lunedì mattina. Sentiamo con lei il privilegio di essere sopravvissuta e la colpa che ne deriva.

Eleanor Oliphant ha quasi trent’anni e dalla sua estrema solitudine, in compagnia della sua sola pianta Polly, denuda il mondo. Lo guarda con gli occhi di una donna che si è chiusa a tutto tranne che alle parole dei cruciverba che compila in pausa pranzo e alla conoscenza saggistica per sopravvivere alla devastazione subita da bambina.

Ci racconta in prima persona semplicemente quello che vede, quello che vive. E tra le righe molto di più. Raconta della solitudine, cosa ci dà e cosa ci toglie. Di come manteniamo vivi i fantasmi che ci devastano. Del potere salvifico dell’amore incondizionato della vera amicizia, capace di infondere la forza per attraversare qualsiasi cosa, di contrastare e proteggere da qualsiasi malignità. Sembrano banalità da libri rosa ma Eleanor, che ha caminato nelle fiamme dell’inferno, ci racconta come non lo sono.

Questo libro divertente e crudo è l’esordio della scrittrice Gail Honeyman che è stata capace di farci dimenticare la sua mano e farci sentire soltanto la voce di Eleanor Oliphant, così sincera, unica e rara. Sperando sia il primo di tanti quasi quasi lo rileggo.

1.

Quando qualcuno – tassisti, igienisti dentali – mi chiede che cosa faccio, io rispondo che lavoro in ufficio. In quasi nove anni nessuno mi ha mai chiesto di che tipo di ufficio si tratta o che genere di lavoro svolgo. Non so decidermi se è perche corrispondo perfettamente alla loro idea di come dev’essere una che lavora in un ufficio oppure se è perché la gente sente la frase lavoro in ufficio e automaticamente completa gli spazi bianchi: una tizia che fa le fotocopie, un tipo che digita su una tastiera. No mi lamento. Sono contenta di non dovermi addentrare nei dettagli tortuosi e affascinanti delle note di credito. Quando ho cominciato a lavorare qui e tutti mi facevano quella domanda, io rispondevo che lavoravo per un’agenzia di graphic design, ma a quel punto i miei interlocutori supponevano che fossi un tipo creativo. Mi ero stufata di vedere le loro facce diventare inespressive quando spiegavo che mi occupavo del back office e non usavo le penne con la punta fine né i software fichi.

Adesso ho quasi trent’anni e lavoro qui da quando ne avevo ventuno. Bob, il proprietario, mi ha assunto poco dopo l’inizio dell’attività. Immagino che provasse pena per me. Avevo una laurea in lettere classiche e nessuna esperienza di lavoro degna di nota, e al colloquio mi ero presentata con un occhio nero, due denti mancanti e un braccio rotto. Forse, a quell’epoca, aveva subodorato che non avrei mai aspirato a qualcosa di più di un lavoro d’ufficio mal pagato, che mi sarei accontentata di stare nella sua agenzia e gli avrei risparmiato la scocciatura di dover ingaggiare una sostituta. Forse aveva anche intuito che non avrei mai preso dei giorni liberi per andare in luna di miele e non avrei mai chiesto un congedo per maternità Non lo so. […]

Mercedes Viola

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Gail Honeyman, Eleanor Oliphant sta benissimo, Ed Garzanti 2018, € 14,00

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