I grandi uomini hanno quasi tutti lo stesso difetto: si credono immortali. Pochissimi hanno la lungimiranza di preparare la propria successione. Anche perché pensano che nessuno possa sostituirli degnamente, che i bei tempi andati non torneranno più e che i giovani non sono più come quelli di una volta. Ai miei tempi, avrà pensato Giuseppe Baini, si studiava e ci si preparava per affrontare le responsabilità che sarebbero venute, ma ora i giovani vogliono tutto e subito. Probabilmente, se sapessimo decifrarli con precisione, troveremmo qualcosa del genere anche nei geroglifici egiziani. Sta di fatto che il mondo è andato sempre avanti e che spesso a grandi uomini ne sono succeduti altri altrettanto grandi, non ritenuti tali dai loro predecessori. Non stupisce, quindi, che alla morte di Giuseppe Baini nessuno fosse pronto a prendere il suo posto alla guida della Cappella Musicale Pontificia. Nessuno era stato preparato a far convergere su di sé quella serie di competenze che tutte assieme fanno di un musicista un buon direttore. Oltre che il primo, dunque, Baini rischiò di essere l’ultimo direttore della Sistina. Alla sua scomparsa, il 21 maggio del 1844, seguirono decenni di ritorno al passato. Il coro tornò a essere diretto dall’anziano dei bassi, che però, come era sempre avvenuto, non si occupava con regolarità di mettere a punto i dettagli dell’interpretazione o di selezionare il repertorio, si limitava a dare l’attacco e poco più. Qualcuno in realtà provò ad assumere un ruolo di spicco, le cose però non andarono bene e, in mancanza di un candidato forte, pare si cominciasse a pensare a qualche esterno.
(Marcello Filotei – L’ Osservatore Romano – Pag. 4 – 25/01/2012)