Gerard de Nerval pubblicò per la prima volta La storia del califfo Hakem nel 1847. Il libro ritorna ora grazie alla casa editrice Manni, nella traduzione di Francesco Ghelli e una prefazione di Dario Vergassola.
Alla sua uscita il testo di Nerval si impose immediatamente per le “prorompenti” tematiche imposte all’attenzione del lettore, essendo incentrato sulle vicende di un musulmano eretico che si proclama dio in seguito all’assunzione di hashish, intenzionato a sposare la sorella e a capo di un esercito di pazzi, criminali e diseredati da condurre verso la rivolta. Un racconto decisamente perturbante per l’epoca, se si tiene conto delle profonde implicazioni che i riferimenti all’uso delle droghe, alla psichiatria e alla questione religiosa potevano avere nella Francia dell’epoca. Il fascino del romanzo, tuttavia, mantiene ancora oggi intatta tutta la sua potenza “sovversiva”, la cui patina “orientaleggiante” nulla toglie all’efficacia e alla modernità del racconto, che poggia prima di tutto sulla evidente ambiguità del protagonista, diviso tra follia e santità, incesto, hashish e tensioni politiche e sociali: un vero pugno nello stomaco per la sonnolenta cultura cristiana e borghese della Francia ottocentesca. L’ambientazione orientale del romanzo, comunque, riporta con de Nerval alle atmosfere narrative e alle suggestioni dei racconti delle Mille e una notte, dei racconti di racconti, delle digressioni, del primato dell’immaginazione e del sogno piegati alla dimensione del “reale”.
Paolo Melissi
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«Oh! Ormai da tempo sdegno la loro ebbrezza grossolana», disse Yusef, facendo segno a un nero che posò sul tavolo due tazzine di vetro bordate d’una filigrana argentea e una scatola piena di una pasta verdastra, con immersa una spatola d’avorio.
«Questa scatola», proseguì ridendo Yusef, «contiene il paradiso promesso dal tuo profeta ai suoi fedeli, e, se tu non fossi così scrupoloso, in un’ora ti metterei nelle braccia delle uri senza farti passare dal ponte d’El-Sirat».
«Ma, questa pasta è hashish, se non mi sbaglio», rispose lo straniero, allontanando la tazza nella quale Yusef aveva posato una porzione della fantastica mistura, «e l’hashish è proibito».
«Tutto ciò che è piacevole lo è», disse Yusef, inghiottendo una prima cucchiaiata.
Lo straniero lo fissò con le pupille azzurro scuro, la pelle della fronte gli si contrasse in pieghe così violente che la capigliatura ne seguì le ondulazioni; per un momento sembrò che stesse per scagliarsi sul giovane irrispettoso, pronto a farlo a pezzi; ma si trattenne, i suoi lineamenti si distesero e, cambiando idea all’istante, allungò la mano sulla tazza e lentamente si mise ad assaporare la pasta verde.
Qualche minuto dopo, gli effetti dell’hashish cominciarono a farsi sentire su Yusef e sullo straniero; un dolce languore si spandeva in tutte le loro membra, un vago sorriso volteggiava sulle loro labbra. Sebbene avessero passato assieme solo mezz’ora, avevano la sensazione di conoscersi da un migliaio di anni. Non appena la droga cominciò ad agire con più forza su di loro, iniziarono a ridere, ad agitarsi, a parlare in modo estremamente volubile. Lo straniero, soprattutto, risentiva più vivamente degli effetti, poiché uno stretto osservante dei divieti come lui non aveva mai gustato quel preparato. Pareva in preda a una straordinaria esaltazione; sciami di pensieri nuovi, inconcepibili, inauditi, attraversavano la sua anima in turbini di fuoco; i suoi occhi scintillavano, come rischiarati dall’interno dal riflesso di un mondo sconosciuto, una dignità sovrumana nobilitava il suo contegno, poi la visione si spegneva ed egli si lasciava andare mollemente sui cuscini in preda a tutte le beatitudini del kief.
«Ebbene, amico», disse Yusef, approfittando di un momento di intermittenza nell’ebbrezza dello sconosciuto, «che te ne pare di questa onesta confettura al pistacchio? Scaglierai ancora il tuo anatema contro i bravi uomini che si riuniscono in tutta tranquillità in una sala bassa per essere felici a modo loro?»
«L’hashish rende simili a Dio», rispose lo straniero con voce lenta e profonda.