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Gian Paolo Serino recensisce La donna perfetta di Ira Levin.

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“Le donne non si battono più per i loro diritti, ma per un paio di Jimmy Choo. Come mezzo di protesta scelgono lo shopping, invece della protesta. Questo è il progresso: le donne possono decidere di essere carine, eleganti e vuote”. Così Chuck Palahniuk, tra i maggiori innovatori della narrativa non solo americana degli ultimi anni, autore di quel “Fight Club” che Brad Pitt ha interpretato nell’omonimo film di culto, introduce “La donna perfetta”, libro di Ira Levin scomparso dalle librerie dopo decenni di oblio e ora finalmente pubblicato da Superbeat (pp. 182, euro 12). La bellezza di questo romanzo, una sorta di ironico e profetico manifesto di difesa dalla donna ad uso del maschio contemporaneo, è che pur essendo stato scritto nel 1972 è tutt’altro che datato. In Italia era apparso nel 1973, da Garzanti con il titolo “La fabbrica delle mogli”, per poi seguire il destino di tutte le opere dello scrittore americano. Tutti i suoi libri – da “Rosemary’s Baby” a “I Ragazzi venuti dal Brasile” sono ormai  tristemente fuori catalogo:  eppure sono esempi di altissima invenzione narrativa, indipendentemente dai film che ne hanno tratto e che sono entrati non solo nella storia del cinema ma nell’immaginario collettivo (come il “Rosemary’s Baby” di Roman Polanski). Forse è proprio la visionarietà di Ira Levin, nato a New York nel 1929 e scomparso nel 2007, ad averlo penalizzato: la sua scrittura è fortemente cinematografica, ma senza influire su uno stile di scrittura talmente moderno da comunicare ad immagini pur attraverso il peso specifico della parola. Levin è riuscito, soprattutto ne “La Donna perfetta”, a rendere comprensibile a tutti la critica sociale di maestri del postmoderno americano come Barth e Barthelme, due autori che piacciono ai critici e agli editori italiani più radical chic, ma che  sono ormai pluridatati per qualsiasi lettore che abbia una vita propria o soltanto delle bollette da pagare. La bellezza della “Donna Perfetta” non è solo nell’intento provocatorio nei confronti di un femminismo che, come risultato, ha spesso prodotto Donne App (più che delle Dee sembrano applicazioni tecnologiche da Silicon Valley), ma nell’aver anticipato il nostro oggi: l’arrendevolezza di molte donne che, da una parte protestano contro l’uso del “corpo delle donne” e dall’altra fanno di tutto per apparire esattamente come le vogliono i maschi. Donne che seguono un ideale di bellezza non certo platonico, ma una bellezza chirurgica , secondo i canoni di standardizzazione estetica che vanno per la maggiore. Donne che spesso sembrano uscite da una pubblicità americana anni ’50:  delle Doris Day che sognano la pace domestica in tacco 12. Le protagoniste del romanzo sono delle Barbie in miniatura che vivono in un Barbie mondo:  villette tinteggiate a pastello, case lindissime e luccicanti, supermercati a misura di carrello emotivo, uomini che vanno al “Circolo degli Uomini” apparentemente per trascorrere le loro serate fumando la pipa e giocando a Monopoli. Ma solo apparentemente, perché, come ha sottolineato anche Stephen King, “Ira Levin è l’orologiaio svizzero dei romanzi di suspence”. E dietro un intreccio narrativo sospeso in atmosfere di autentico  mistero Levin (che non a caso è tra i massimi sceneggiatori dei telefilm di Hitchcock), riesce ad andare oltre il classico conflitto maschio-femmina (si parla di questo, non del rapporto uomo-donna, che è un’altra cosa). La critica di Levin è contro un’America anni ’70 che è esattamente come il mondo “ovunque” di oggi. Il mondo di Levin è ormai dappertutto. Più che gli scontri cerchiamo gli scontrini, più che un pensiero libero cerchiamo un’unità di pensiero che diventi un utero materno, più che la Donna Ideale cerchiamo una Donna ideal standard. Ira Levin ci racconta soprattutto questo: come il vero pericolo oggi possa venire da un nemico con il sorriso sule labbra più che dai quei bei pericolosi nemici di una volta. In fondo quello che cerchiamo è esattamente quello che cercano i protagonisti all’inizio della “Donna perfetta”: “Un posto simpatico con gente simpatica”. Sembra uno spot pubblicitaria, ma ormai è la vita. La nostra.

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