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Giancarlo Liviano D’Arcangelo. L.O.V.E.

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“Non leggi un libro di mille pagine perché hai sentito dire che il suo autore è un tipo simpatico. Lo leggi perché ti hanno fatto capire che l’autore è un genio”, disse David Foster Wallace a David Lipsky, il giornalista che Rolling Stone gli mise alle calcagna nel tour promozionale di Infinite Jest. Del fascino speciale dei mattoni che scavalca le mode e che non arretra neppure di fronte alla brutale semplificazione della messagistica social e di whatsapp, prima o poi ne riparleremo, è un argomento interessante: ci fa comprendere come e perché una certa letteratura (quella alta e studiata) continui a resistere ai de profundis degli analisti più pessimisti.

Per ora la notizia è che il romanzo fluviale o massimalista o massimalista argomentativo (le sfaccettature sono diverse) è vivo e vegeto anche a latitudini più prossime di quelle di William Vollmann e Stephen King. In tempi recenti molti di voi avranno letto, altri si saranno arenati, su opere mastodontiche come La scuola cattolica di Edoardo Albinati (premio Strega nel 2016) e Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi. Giancarlo Liviano D’Arcangelo, scrittore e studioso di mass media bolognese del quale lessi qualche anno fa un bellissimo libro intitolato, vado a memoria, Il gigante trasparente, ha ripubblicato un romanzo monstre di ottocentocinquanta pagine che racconta la storia di un grosso impero finanziario. Il costruttore di questo impero tirato su dal nulla, la Sunrise Inc, si chiama Italo Giordano. Isacco è il primogenito destinato a succedergli, anche perché l’altro figlio, Giordano, voce narrante della storia, non sembra affatto portato per il management: è un ragazzo goffo, vergine, con poco senso pratico e un’indole sensibile che non si confà al mondo cinico e spregiudicato degli affari. Eppure, per un tragico gioco del destino (absit iniuria verbis), a un certo punto di questa storia, a gestire l’azienda dei Giordano si ritroverà proprio il fratello meno adatto. L’insediamento di Giordano alla Sunrise Inc è la chiave di volta del romanzo, la trovata geniale alla quale accennavo nelle prime righe, la trovata che ribalta ogni premessa dell’autore e ogni aspettativa di chi legge. Giordano Giordano vorrebbe migliorare le condizioni dei lavoratori ma la tentazione contraria, quella cioè di assecondare i meccanismi dello schiavismo aziendale, risulterà sorprendentemente più forte, e si accompagnerà a una serie di altre scelte che daranno consistenza e vigore alla trama. Nessuno può dirsi innocente fino in fondo.

Nessuno è immune dal male: è questo il paradigma intorno al quale Liviano D’Arcangelo imbastisce il plot di L.O.V.E., e dopo aver disegnato la distanza tra il bravo ragazzo e il ramo malvagio della famiglia, ricuce lo strappo perché “Il denaro è l’unico vero denominatore comune dell’umanità”. Il romanzo è chiaramente una reprimenda del capitaliamo e delle sue derivazioni più malefiche, ma D’Arcangelo è attento a non giudicare, non entra nel racconto per impartire lezioni di moralità. In L.O.V.E. non figurano personaggi buoni e altri cattivi, in ognuno di essi è presente un lato oscuro… l’uomo è un legno storto, diceva Kant. Leggendo mi sono venuti in mente un paio di vecchi libri americani: A volte una bella pensata di Ken Kesey ed Empire Falls di Richard Russo, più il secondo del primo, il romanzo che nel 2002 soffiò il Pulitzer a Le correzioni di Jonathan Franzen. La versione di Liviano D’Arcangelo (uscita la prima volta nel 2020, in piena epidemia da covid) però è più tosta, più truce, più nera. L.O.V.E. è una storia di perdizione, un viaggio avventuroso nel buio di una terra di mezzo marcia e trasversale, tra faccendieri senza scrupoli, amministratori corrotti, prostitute e prevaricatori seriali. Un romanzo che sprigiona tormento, aridità, e una curiosa cupezza; scritto con garbo e con senso della misura (ogni sua parte è ben strutturata), lunghissimo sì ma mai verboso o vischioso, e senza cali di tensione. Non lasciatevi impressionare dalla sua mole, lasciate che vi impressioni il racconto: veloce e fluido come nella tradizione dei migliori page turner. Nel 2024 Il Saggiatore ha portato in libreria due splendidi mattoni, uno è l’inarrivabile Le perizie di William Gaddis, l’archetipo del postmodernismo americano, l’altro è L.O.V.E. di Giancarlo Liviano D’Arcangelo. Niente male. 

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