C’è Bologna, e il piacere profondo di racocntarla ne Il libraio innamorato, romanzo di Gianluca Morozzi che Fernandel manda ora in libreria. E c’è la storia di un libraio che ama segretamente una sua collega, che sogna di sposarla e di riunire le due librerie, ma che si accontenta intanto di incontrare la ragazza nell storica osteria del Sole. Intorno al loro Morozzi dispiega un panorama urbano e umano fatto di memorie letterarie, luoghi storici, personaggi-clienti delle librerie caratterizzati da tratti bizzarri, ma anche uno scrittore di successo che è riuscito a scrivere davvero solo quando nessuno voleva pubblicarlo, e una scrittrice specializzata in libri di genere erotico tantrico. I destini dei due librai e quelli di due insliti clienti sono destinati a intrecciarsi in maniera del tutto inaspettata. Morozzi costruisce un meccanismo narrativo affascinante e terribilmente ocinvolgente, a partire dalla scena con cui si apre il racconto – che proponiamo in anteprima – ambientata nell’osteria del Sole, che balena con uno spunto che fa pensare a un Théophile Gautier dei nostri giorni.
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Per cominciare, dovete sapere che all’osteria del Sole servivano soltanto vino. Era una regola che valeva da più di cinque secoli, e a Bologna la conoscevano tutti: all’osteria del Sole ti porti da mangiare da fuori, e l’oste ti dà il vino per accompagnare il pasto,
Infatti tra i tavolacci di legno era tutto un frusciare di cartocci che si aprivano, rivelando formaggi e prosciutti comprati nelle mille botteghe lì intorno, nei vicoletti medievali del Quadrilatero, il lbairinto tra le Due Torri e piazza Maggiore.
Dal 1465 in quell’osteria non era cambiato quasi niente. Sì, erano apparsi dei quadretti alle pareti con le formazioni del Bologna, e nel cortile sghembo una targa dedicata a Dandy Bestia, “Musicista bevente”, ma solo perché nel 1465 il calcio ancora non esisteva e il chitarrista degli Skiantos non era nato.
Il resto degli arredi, di base, era rimasto identico.
Alessio Barbieri era seduto a un tavolino laterale, quasi di fronte al bancone, sul soppalco rialzato.
Se si fosse visto da fuori avrebbe dovuto ammettere che stava tamburellando nervosamente sul tavolo, espressione che mal sopportava quando la trovava in un romanzo o in un racconto.
“È un’immagine talmente abusata”, pensava, “un po’ come dire “puntuale come un orologio svizzero”.
Ma nonostante la sua antipatia nei confronti delle espressioni banali, c’è da rilevare che in quel modo Alessio Barbieri stava senza dubbio tamburellando nervoso.
Gli capitava spesso, quando aspettava Monica. Perché di Monica, in segreto, era innamorato.
(…)
Lui e Monica avevano una cosa in comune: facevano lo stesso mestiere. Librai indipendenti, sia l’uno che l’altra, di due librerie del centro storico di Bologna, due esempi di resistenza culturale in mezzo ai tanti negozi di catena. Navigando nello stesso tormentato mare si erano aiutati a vicenda e avevano finito per fare amicizia.
Le due librerie non erano molto distanti fra loro: millequattrocento metri, diciassette minuti a piedi. L’osteria del Sole era più o meno a metà strada di quel chilometro e mezzo scarso.
Camere Separate era il nome che Alessio Barbieri aveva dato alla sua libreria. Era stata una scelta facile: dopo lunghe ricerche era riuscito a trovare i locali perfetti in Strada Maggiore, a pochi passi della casa-museo del pittore Giorgio Morandi, ma soprattutto dai luoghi bolognesi di Pier Vittorio Tondelli. Per lui era stato quasi automatico dedicare quegli spazi allo scrittore di Correggio.
Adorava Strada Maggiore. Intanto perché era un esempio di social street, la realizzazione di un vicinato virtuoso e collaborativo. E poi la amava per il cinema Roma d’Essai, per la spartana e immutabile osteria della Fondazza, con le maglie del Bologna appese sopra i tavoli, e per la bottega dell’artista patafisico piena di oggetti che sembravano fantasiosi robot e sculture con le ruote.
Mentre rifletteva sul senso di quelle creazioni, la porta si spalancò.
E Monica si manifestò tra le pareti del 1465.