Si apre quasi con un’agiografia laica la raccolta Un posto difficile da raggiungere di Gianluigi Bodi, con un pulito tributo a uno dei personaggi più familiari a chiunque, Mike Bongiorno, l’uomo di spettacolo le cui giacche avevano dei colori che mettevano tranquillità, gli spessi occhiali facevano venire voglia di essere miope e quando parlava di uno sponsor nasceva l’impulso di entrare in un negozio e fare incetta di qualsiasi prodotto di cui si stava occupando in quel periodo. È il potere taumaturgico del presentatore per antonomasia – titolo che si contendeva con Pippo Baudo – e Bodi ne coglie tutta la portata scavando in una memoria consolatoria, universale.
Ma il tono cambia repentino già al secondo racconto, incentrato sul tentativo di singolare vendetta di un uomo che resosi involontario protagonista di un incidente mortale causato da un difetto del motore della propria auto, decide, prima di porre fine alla sua vita, di uccidere colui che reputa il vero colpevole della rovina della sua esistenza: l’operaio che aveva montato il pezzo fallato.
Bodi fa incontrare così due destini che potrebbero essere cambiati da un fato implacabile, che si colora di un’assenza di logica e possibilità di controllo. La tensione narrativa, ben tenuta in crescendo nelle pagine di questo racconto, non si scioglierà nella risoluzione attesa, per quanto cruenta, ma in un senso di spiazzamento, uno spaesamento sospeso, cifra, in questo libro, dell’autore.
Si muove in una provincia italiana di ambienti domestici, familiari, lo scrittore veneto Gianluigi Bodi, fondatore, tra le altre cose, del blog letterario Senzaudio). Una provincia con pieghe nascoste, poco propensa a comprendere chi esce da un decoroso seminato, fosse anche per un momento, congelata in rituali sociali di pura apparenza e inevitabili, come nel terzo racconto, Il rito, appunto, forse il più bello di questa raccolta uscita per Arkadia Editore nella collana SideKar curata da Ivana e Mariela Peritore Fabbri e Patrizio Zurru. Qui Bodi eccelle nella narrazione della demolizione di un padre di famiglia potente ad opera del figlio strano, l’unico che riconosce di vivere in un perenne coagulo di cliché (padre capitano d’industria che cambia segretaria-amante ciclicamente, madre che risponde con una tresca col maestro di tennis, una villa da magnate, le amicizie solo se “giuste”, interessate) e che sceglie di vendicarsi di grettezza e volgarità paterne durante una sfarzosa festa di compleanno.
Qui, come nelle altre storie, l’autore si tiene un passo indietro, descrive attento dettagli minimi ma rivelatori e – perlomeno in un ennesimo, rifranto gioco delle apparenze – non giudica.
Ma nonostante tutto, chi legge non può che schierarsi dalla parte di quei suoi personaggi che si distaccano dal piccolo mondo che li circonda e in modo assolutamente individuale compiono una piccola, intima rivoluzione.
Lo stile di Bodi, asciutto ma non scabro, si fa poetico quando definisce i personaggi diversi, unici custodi di una necessaria umanità: così il vessato protagonista di Un gatto morto sul ciglio della strada, circondato da colleghi e moglie di rara insensibilità, troverà conforto in un felino randagio che gli suggerirà, con la sua dipartita, la strada su cui indirizzare la propria esistenza.
Altro che posti difficile da raggiungere: i racconti di Gianluigi Bodi – dai finali sospesi, aperti a una possibilità che oltrepassa la chiusura apparente – sono situazioni che paiono di vita vissuta o comunque vivibile, possibile.
Potrebbero riguardarci tutti: ed è prospettiva che spiazza e, nel bene o nel male, mai lascia indifferenti.
Anna Vallerugo