Con Verso la foce Gianni Celati portò a compimento un progetto di lavoro svolto con quattro fotografi, tra cui Luigi Ghirri, che aveva per obiettivo il paesaggio italiano. Ne vennero fuori quattro diari di viaggio che lo stesso autore definisce “racconti d’osservazione”. Si tratta quindi di quattro viaggi a piedi attraverso le campagne della valle padana, verso il delta del Po. Il primo percorso, nelle campagne cremonesi, risale ai giorni successivi allo scoppio della centrale nucleare di Cernobyl, il secondo invece è un’esplorazione degli argini del fiume, il terzo tocca le terre della grande bonifica ferrarese, e il quarto è il tragitto percorso nel delta del Po.
Celati, fin dalla prima pagina, chiarisce in che modo percorrerà i chilometri di pianura che lo condurranno fino al limite d’acqua e terre incerte che divide il fiume dal mare:
Ogni osservazione ha bisogno di liberarsi dai codici familiari che porta con sé, ha bisogno di andare alla deriva in mezzo a tutto ciò che non capisce, per poter arrivare ad una foce, dove dovrà sentirsi smarrita. Come una tendenza naturale che ci assorbe, ogni osservazione intensa del mondo esterno forse ci porta più vicino alla nostra morte; ci porta ad essere meno separati da noi stessi.
Andare a piedi, seguire lentamente la strada esalta la possibilità di osservare e registrare, e di fare incontri, anche “improbabili”. Ma ciò che prende immediatamente il sopravvento è il panorama antropizzato dell’infinito piano padano: camion che passano violenti, cartelloni pubblicitari, nuove strade nate in un attimo da un anno all’altro che inducono il viandante a smarrirsi o a perdere il senso della direzione, campi sportivi, ville con piscina e nani di gesso, canali e odore di carne di maiale. Celati si imbatte anche in due carabinieri che gli chiedono se ha fissa dimora e lavoro, gli fanno firmare un verbale perché, Sa, dicono, Oggi hanno rubato una macchina. Al che Celati risponde, Sì, ma io vado a piedi. Poi, a Isola Pescarola arriva la prima piaga al piede, il tormento e pericolo di ogni camminatore.
Il percorso sugli argini prende avvio fuori Bologna, in cerca di strade secondarie verso il Po. Dopo Casalmaggiore campi, cave di ghiaia lungo il greto del fiume, campanili, bar sonnolenti, la vita lungo l’acqua che fa venire in mente i racconti dei barcaioli. Dopo Mantova, sulla Padana Inferiore, la scritta BALLO SULL’AIA. ENTRATA LIBERA sul cancello di un cascinale. L’occhio cattura il rumore di sottofondo del paesaggio circostante, l’anodino, ma anche gli effetti della luce, visti con occhio fotografico.
L’itinerario nella zona della grande bonifica è scandita dai pernottamenti in pensioncine e bar-alloggio, passa lungo la strada Tresigallo (a proposito, chi ha letto Enciclopedia tresigallese di Diego Marani?), gli abitanti del posto guardano ai gesti dell’uomo di città, alla loro frenesia, con sospetto e incomprensione, poi sul ciglio venditori di frutta e patate, pescatori, poi altri paesi, Consandolo, Traghetto, Ospedale…
Verso la foce, poi, da Ostellato, per Porto Garibaldi, Ariano Polesine, Porto Tolle, Porto Levante, Rosolina, c’è tempo per avvistare un vecchio bunker della seconda Guerra Mondiale, torreggianti shopping center, la centrale elettrica di Ca’ Dolfin, barene e depositi alluvionali.
Celati chiude i suoi appunti di viaggio, dopo una notte trascorsa in auto a scrivere al buio e ad aspettare il passaggio della cometa Tempel 2:
Chiama le cose perché restino con te fino all’ultimo.
Un quadruplice tentativo di approssimazione a una geografia italiana ma non direttamente conosciuta, in cui l’osservazione e la descrizione, in qualche modo, finiscono silenziosamente per predisporre un discorso sociologico sul paesaggio.