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Gianni Galleri anteprima. Balkan Football club

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E fu la Croazia: “Fu il celeberrimo calcio di Zvonimir Boban, centrocampista croato che avrebbe brillato anche a Milano, sponda rossonera, a costituire uno dei miti fondativi della giovane nazione”.

Frammenti di storia nel viaggio: “Gli arumeni (o aromeni, o anche aromuni) sono un gruppo etnico che, come dice il nome stesso, trae origine dagli antichi romani, dalle loro campagne di conquista nella penisola balcanica e dalle successive invasioni di quelli che comunemente vengono chiamati barbari. Queste popolazioni ormai romanizzate si rifugiarono in zone isolate, quasi sempre montane, conservando la loro lingua, mentre tutto intorno andava slavizzandosi. Il loro idioma appartiene alle lingue neolatine, in particolare a quelle romanze balcaniche (come il romeno), e si scrive con i caratteri latini; nonostante queste popolazioni siano diffuse anche in Grecia, Albania, Romania e Istria, solo la Macedonia riconosce ufficialmente la loro lingua”.

È in libreria Balkan Football club di Gianni Galleri (Bottega errante edizioni 2024, pp. 368, € 19).

Gianni Galleri è uno scrittore toscano che ha pubblicato diversi libri sul tifo calcistico: La città del football; Curva Est; Questo è il mio posto (Urbone Publishing), Pašić. Predrag difende Sarajevo (Garrincha Edizioni).

Balkan Football Club emerge come un’opera di viaggio che, oltre a esplorare il mondo del calcio, si immerge in un vasto panorama di esperienze. Durante i suoi viaggi, l’autore si trova immerso in una ricca varietà di stimoli, e la sua natura curiosa lo spinge a investigare anche gli aspetti più periferici. Nel testo, si esplorano gli spomenik, straordinari monumenti dall’estetica unica che suscitano meraviglia al primo sguardo.

Attraverso dieci anni di peregrinazioni tra Bulgaria, Romania, Albania ed ex Jugoslavia, l’autore scava nelle storie e negli eventi poco conosciuti che hanno plasmato il destino di queste regioni, non limitandosi al calcio.

Dalle imponenti strutture del Marakana di Belgrado alle straordinarie architetture in cemento degli spomenik jugoslavi, dal vibrante ambiente del Maksimir di Zagabria alle tranquille rive del lago di Ocrida, si immerge nella vita quotidiana, frequentando bar, percorrendo strade e condividendo lo spirito dei tifosi, incontrando una varietà di personaggi senza cadere in stereotipi.

Galleri attraverso un percorso che va dall’Adriatico al Mar Nero, seguendo il corso del Danubio e della Drina, tra incontri con vecchi amici e passionati supporter, tra birre e canti, piatti tipici e distillati locali, cerca di interpretare il cuore dei Balcani attraverso la lente del calcio.

Un mosaico di note geografiche e citazioni letterarie che accompagnano un viaggio unico in cui la storia del calcio incontra la storia dei popoli.

Carlo Tortarolo

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Come spostare una chiesa

Sono affascinato da Bucarest. Con il mio spirito da bastian contrario, ho sempre voluto scovare il bello in questa città, ogni volta demolita da tutti coloro che la visitano senza saper guardare alla sua profonda disarmonia come a qualcosa di interessante.

In occasione del primo viaggio in cui avrei avuto l’opportunità di visitare la capitale romena ho dato forfait. Accompagnati i miei amici in aeroporto, mi sono recato in ospedale. Da due giorni non riuscivo a chiudere occhio a causa di un dolore alla parte bassa della schiena. Il timore era che si trattasse di un principio di colica renale. Chi l’aveva avuta mi aveva parlato di una fitta lancinante e tutto avrei voluto tranne che sperimentare quella sensazione su un lettino di un ospedale del sistema sanitario romeno.

Tuttavia, una volta arrivato in ospedale, i primi esami hanno escluso qualsiasi coinvolgimento renale e piano piano è venuto fuori che poteva trattarsi di una contrattura muscolare. Per dignità ho taciuto il fatto che proprio il giorno prima della comparsa del dolore, in un impeto salutista, mi ero lanciato da zero a mille in una corsa di quasi dieci chilometri. Sono uscito dall’ospedale con una presunta “renella” sul foglio di dimissione e una grande vergogna nel cuore. Ho stramaledetto la mia solita ipocondria, ma ormai il mio viaggio a Bucarest, con tanto di partita della rinata Steaua, era andato in fumo.

La prima volta che ho messo davvero piede a Bucarest ero con Damiano e questo ha significato molto nella mia valutazione finale della città. Oltre a essere un ottimo giornalista e videomaker, il mio amico parla un perfetto romeno e ha vissuto nel quartiere di Obor, nel periodo del suo Erasmus. Eravamo in Romania per girare un documentario sulla squadra del Petrolul Ploiești, ma abbiamo comunque avuto modo di visitare la capitale come si deve. Damiano conosceva bene la città e me l’ha mostrata nei suoi aspetti più interessanti: le piazze dove è passata la rivoluzione del 1989, e la successiva repressione, quando i romeni si accorsero che le cose non erano cambiate affatto. Abbiamo visitato alcune chiese stupende, come quella russa dedicata a San Nicola, o l’eparchia di San Basilio Magno. Siamo passati accanto a un luogo di culto armeno dove erano in corso celebrazioni eucaristiche con canti e profumo di incenso, abbiamo ammirato il monastero di Stavropoleos nel centro cittadino, ma la cosa che mi ha lasciato più sbalordito sono state le chiese traslate.

Prima di capire di cosa si trattava, ho chiesto a Damiano di spiegarmelo almeno due o tre volte, tanto mi sembrava inverosimile. Durante la riorganizzazione urbanistica della capitale romena, intere aree vennero ridisegnate, rase al suolo e poi ricostruite. C’era la volontà politica di dare un tetto ai moltissimi romeni che erano accorsi verso Bucarest in cerca di una vita migliore, ma anche quella di disegnare un presente nuovo, che si staccasse dal passato per come lo si era conosciuto fino a quel momento. Ovviamente, nell’opera di repulisti di intere aree sarebbe stata coinvolta pure gran parte del patrimonio architettonico legato ai luoghi di culto. L’ingegnere Eugeniu Iordăchescu lottò per far passareil messaggio che abbattere una chiesa non era come demolire un’abitazione o un negozio. La sua proposta fu rivoluzionaria e pioneristica: spostarle. L’idea prevedeva l’utilizzo di una sorta di “vassoio” che, posto su dei binari, permettesse di ricollocare altrove gli edifici. Tecnicamente veniva scavato ed estratto il terreno sottostante, si inseriva il “vassoio” e si separava la struttura dalle fondamenta. A quel punto si cominciava a spostare molto lentamente l’edificio sulle rotaie, per mezzo di leve idrauliche e pulegge industriali. Inizialmente i colleghi dell’ingegnere non presero sul serio l’idea, ma dovettero ricredersi quando la chiesa Schitul Maicilor, di quasi mille tonnellate, venne traslata di ben 245 metri. Poi fu il turno del monastero di Antim, un complesso da novemila tonnellate, che venne spostato di 28 metri. La nuova collocazione prevedeva una marginalità dei luoghi di culto, ma la loro sopravvivenza era perlomeno garantita.

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