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Gianni Kannitverstan Celati. Note su un traduttore presuntivo # 3

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Leggendo come tanti in rete le due interviste consecutive rilasciate il mese scorso da Celati ad Antonio Gnoli della Replobbica  e a Luigi Mascheroni di un Giornale mi è tornato in mente la Visita a Rousseau e Voltaire del compianto James Boswell: stesso afflato, stessa reverenza, stesso tutto – ma a squadre inverse, tanto che consiglierei ai due di farne un libriccino Adelphi, Visita a Celati. Per intanto trascegliendo: a 20 anni imparò il tedesco; a 21 s’iscrisse a Lingue, Bologna; a 22 affinò l’inglese a Londra con un insegnante irlandese, traducendo per gioco Swift (irlandese) e acquistando per caso un Ulysses usato (e irlandese); a 23 il prof. Izzo lo chiamava Joyce (supranomen omen); a 25 si laureò su Joyce con Izzo, che poco sapeva d’irlandese; a 24 insegnò a Ithaca (omonimen omen); nel 2004 l’Einaudi lo spinge a tradurre l’Ulysses; nel 2005 firma il contratto e passa l’anno a Berlino, traducendo però Kafka; nel 2006 a Brighton inizia a tradurre l’Ulysses 12 ore al giorno, acquista all’uopo 20 dizionari (da sommare ai già in dote), ma non funza; nel 2008, “come un dono arrivato chissà da dove”, ha l’illuminazione che “è tutto un gioco, non c’è nulla di serio in Joyce, e quindi non si tratta d’interpretare le singole frasi, ma di pensare Ulisse in chiave taoista”; nel 2009 abita a Zurigo presso la tomba di Joyce (e affina l’amato alemanno); nel 2011 a Londra è derubato del pc con dentro tutto, si deprime ma lo  salva “una correttrice di bozze dell’Einaudi”; nel settembre 2012 consegna il file definitivo all’editore.

Sul sito Einaudi ci sono le prime 9 pp. dell’Ulisse; la prefazione l’ho letta alla Feltrinelli di Buenos Aires, pcmunito. Di 5 pp., è suddivisa in 5 paragrafetti. Nel primo Celati narra cose già dette nelle interviste, più che a Londra dell’Ulysses leggeva mezza pagina al giorno, “i dizionari consultati al British Museum non aiutavano per niente”. Il secondo rammemora il 2007, lo stento di “tradurre passabilmente 3 o 4 pagine” al giorno, i dubbi su “una lingua che capivo solo vagamente”, fino alla scoperta che “quella dell’Ulisse non era precisamente una lingua, era una stralingua, che prendeva echi d’ogni genere, con UN LESSICO PIÙ ESPANSO DI TUTTI I TESTI CHE SI CONOSCONO. Il suo era un libro irlandese, britannico, gaelico, ALIENO COME LE SATIRE DI JONATHAN SWIFT QUANDO PARLA DEI SIGNORI INGLESI”. Il terzo precisa come Joyce, abbandonata dopo i primi due capp. “la narrativa del naturalismo”, dà corso a “divagazioni del pensiero” sempre più sfrenate fino al cap. XV, “dove il flusso di coscienza sembra un pensiero invaso da fantasmi, dove ogni cosa può parlare e dire la sua, con UNA SOCIETÀ DI ALIENI COME I SIGNORI INGLESI CHE ERANO INDICATI DA SWIFT NELLE SUE SATIRE”, per cui “IL LESSICO JOYCIANO HA UN’ESPANSIONE SENZA PARAGONI, su queste imprese. E L’ULISSE È IL LIBRO CON IL LESSICO PIÙ ESPANSO DI TUTTI I TESTI STAMPATI CHE CONOSCIAMO”. Il quarto sottolinea la musicalità di questi “difficili capitoli, sempre più stravolti”, esemplificando ancora. Il quinto fa l’elogio della “vita qualsiasi” nell’Ulisse, per concludere  sull’idea “che Joyce non riuscisse a pensare a nulla che non fosse un fenomeno musicale – al di là di tutte le imperanti categorie di verità logica o di certezza dialettica, che l’Umanesimo ha lasciato in eredità all’Occidente.”

L’Umanesimo, si sa, fu l’epoca della filologia, e in spregio Celati rifiuta di corredare il testo di ogni apparato critico. Da uno ch’è in primis scrittore, lo si può accettare – ma appunto, scrittore, non t’accorgesti di aver ripetuto due frasi paro paro (anzi una disparo disparo, perché ripetuta tre volte) in due paragrafetti contigui (il II e il III)? L’impressione è di una qual certa distrazione, di un che di copincollato… L’importante comunque è che sia attento nel tradurre, a cominciare dall’incipit dell’opera, a detta di Celati “naturalistico” e di Joyce “giovanile”, ovvero imparentato ancora con la tecnica narrativa dei Dubliners – in una parola, molto meno complesso della prosa “divagante” dei capp. successivi al II.

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Stately, plump Buck Mulligan came from the stairhead, bearing a bowl of lather on

which a mirror and a razor lay crossed. A yellow dressing  gown, ungirdled, was

sustained gently behind him by the mild morning air. He held the bowl aloft and

intoned:

Introibo ad altare Dei.

Halted, he peered down the dark winding stairs and called up coarsely:

–Come up, Kinch. Come up, you fearful jesuit.

Solemny he came forward and mounted the round gunrest. He faced about and

.

Imponente e grassoccio, Buck Mulligan stava sbucando dal caposcala con in mano una tazza piena di schiuma, su cui s’incrociavano uno specchio e un rasoio. La sua vestaglia gialla, priva di cintura, era lievemente sollevata sul retro da una dolce arietta mattutina. Tenendo alta la tazza, intonò:

– Introibo ad altare Dei.

Fermatosi, scrutò giú nel buio della scala a chiocciola con un richiamo sguaiato.

– Vieni su, Kinch, disgustoso d’un gesuita.

Avanzò solenne e salí sulla rotonda piattaforma del bastione. Qui fece un giro d’occhi e

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Imponente: Stately da state = statuale, i.e. regale, i.e.  maestoso (se è vero che dal 600 maestà è il titolo dei re, v. Treccani in rete, che userò qui sempre e solo).

grassoccio: plump in sé può voler dire tanto grassoccio/paffuto quanto grasso/pingue; ma plump Buck all’orecchio dell’inglese/irlandese medio richiama il Falstaff di “banish plump Jack and banish all the World” , Enrico IV, a. II, sc. 4, grassissimo quanto Buck, il quale al cap. XIV verrà detto incinto… E che Shakespeare sia onnipresente nel cap. I, oltre agli accenni palmari di Buck su Stephen specialista di Amleto e sulla somiglianza della torre Martello con Elsinore, lo testimoniano due rinvii a Macbeth e un rinvio alla Tempesta. Infine: Imponente e grassoccio non va proprio (a parte l’aggiunta arbitraria della congiunzione), perché il primo aggettivo ha valore avverbiale i.e. qualifica il verbo, il secondo ha valore attributivo i.e. qualifica il soggetto, anzi è un epiteto (come l’astuto Ulisse, giusto per stare al titolo).

stava sbucando: came (≠ was coming). Stare + gerundio, perifrasi con valore progressivo, si usa quando un processo verbale iniziato precedentemente è colto in un singolo istante del suo svolgimento. Ma sbucare è un processo verbale? No, perché sbucare = comparire d’un tratto e inaspettatamente, e se la perifrasi è impiegata con un telico non durativo come verbo principale (i.e. con un verbo denotante un evento che si conclude pressoché istantaneamente), essa assume valore solo imminenziale, nella fattispecie di: stava per sbucare (come quando si dice: sto partendo). Peccato, perché Celati un mese prima della consegna a Einaudi, nell’anteprima dell’incipit passata a Sole 24 ore, aveva tradotto giusto: sbucò.

dal caposcala: from the stairhead. Caposcala = pianerottolo in capo a una scala, ma qui Buck è sul terrazzo della torre, cui la scala a chiocciola accede direttamente.

con in mano: bearing. Essendosi giocato il gerundio con sbucando, Celati non può più ricorrervi: peccato, ché to bear/reggere, più maestoso di to carry/portare (tanto che si dice: il reggente per chi regge lo stato), avrebbe rinforzato l’avverbiale iniziale, ed evocando il to bear arms, avrebbe preparato l’entrata prossima di diverse armi improprie (rasoio, Kinch-lamadicoltello, bisturi e pennino d’acciaio…).

tazza piena di schiuma: bowl of lather ha fatto soffrire Celati, che ancora ad agosto adottava scodella di schiuma e ora peggiora le cose. Infatti scodella = tazza piuttosto capace, a forma di coppa e senza manico; tazza = piccolo recipiente di forma varia, dotato per lo più di un manico laterale, usato per bere alimenti liquidi; mi sa che alla terza revisione avrebbe messo tazzina, – e invece si trattava d’ingrandire, tanto più che poche pagine dopo Joyce specifica shaving-bowl (tradotto da Celati tazza per la rasatura), qualcosa cioè capace di contenere il nécessaire. Invece bacile = piatto metallico grande e profondo, di forme varie, a seconda degli usi cui era adibito (ad es. bacile da barbiere), fu talora prezioso per materia (ad es. bacile ad uso liturgico, impiegato dai cattolici per l’abluzione del celebrante o per contenere oggetti da benedire). Bowl-bacile dunque, perfetto nel suo valore barbaliturgico, e perciò imposto da Izzo a De Angelis che aveva tradotto: tazza   (dove si vede quanto poco il prof. conoscesse slang e irlandese…).

su cui s’incrociavano uno specchio e un rasoio: on which a mirror and a razor lay crossed. Provate a metterli in una tazza: s’incroceranno sì, ma in verticale, e invece nel bacile giacevano in croce. Il giacere della morte, la croce di Gesù – ora possiamo dire che quel re è un prete da messa macabra (nella pagina dopo la faccia di Buck recalled a prelate).

La sua vestaglia gialla, priva di cintura: A yellow dressing-gown, ungirdled. gialla è giusto (NB: la liturgia cattolica raccomanda il giallo nelle occasioni più solenni): ma ungirdled? priva di cintura può solo significare: o che è un modello senza cintura, o che la cintura è finita chissà dove. Però poi, sempre nel cap. I e senza aver mai abbandonato la scena, Buck ungirdled and disrobed himself of his gown, che Celati traduce: si sciolse la cintura e levò la vestaglia… Non ho parole, se non in forma di aneddoto: lo scultore fiammingo Melchior Barthel, quando ai Frari gli fecero notare che i cuscini tra le schiene dei suoi quattro mori e l’architrave erano gonfi, si gettò in canale. Anyway, awanti! Slacciata, discinta, in una descensio scurrile perfezionata dal suo fluttuare che lascia parzialmente scoperto il Buckdidietro. Tenendo alta la tazza, intonò: He held the bowl aloft and intoned. Gerundivando la prima azione, Celati la sminuisce a modo della seconda, quando invece è centrale in quanto sacrilega (bacile-calice col sangue Christi).

con un richiamo sguaiato.: and called out coarsely:. Ancora il vizio di condensare due azioni, qui più grave però perché, se prima erano equipollenti, ora è l’azione principale a venire ridotta a modo dello scrutare (e non casomai viceversa). Poi, sguaiato = smodato, fuori misura in sé, mentre coarse = rude esprime il tono del richiamo nei confronti del richiamato. Tale in sé irrelato è rafforzato infine da un errore d’interpunzione piccolo ma grave: il punto (che chiude) invece dei due punti (che aprono il discorso diretto).

Vieni su, Kinch: Come up, Kinch. Come up. È così rude il richiamo, che Buck lo ripete: Celati inspiegabilmente no. (Sul doppio richiamo devo raccontare un fatto di quand’ero piccino, anche perché avvenne in piazza a Cartigliano proprio il 16 giugno 1960, festa del Corpus Domini. Il nuovo parroco don Casto Poletto con a fianco la madre perpetua doveva dare il via alla processione: tese ieratico il braccio destro e declamò: “Avanti le vergini!”. Ci fu un momento di perplessità generale, anzi due, al che don Casto, abbassati braccio e voce, sussurrò: “Vien vanti ti mama”.)

disgustoso: fearful. Problemone per Celati, che in agosto aveva tradotto testone = persona ostinata o d’intelligenza tarda (o tutt’e due), e non c’entra niente. Ma disgustoso? Fearful = pauroso, in due accezioni: maior, che ha paura; minor, che fa paura (tipo un incidente). Con la sua scelta finale, Celati ripara sulla seconda. Ma se proseguiamo di una pagina, vediamo Buck chiedere a Stephen: hai avuto fifa?, al che costui risponde sì con growing fear, aggiungendo: I’m not a hero. E poi c’è Shakespeare che, come già con plump Jack, taglia la testa al toro, laddove in Romeo e Giulietta, a. 3, sc. 3, v. 1, fa sbucare Frate Lorenzo (sempre ’sti religiosi!) apostrofante: Romeo, come forth. Come forth, thou fearful man. Il verso lo sa ogni inglese ed irlandese, come sa che Romeo è pauroso nella prima accezione. 


Avanzò solenne: Solemny he came forword. Solenne avanzò sarebbe stato più solenne, e avrebbe rimarcato la connessione stretta con lo Stately iniziale, ché quanto era maestoso in senso politico ora è divenuto solenne in senso religioso (missa solemnis) – come dire serva Chiesa in servo Stato.

rotonda piattaforma del bastione: round gunrest. Il bastione non c’è in inglese, Celati l’avrà interpolato per facilitare il lettore (avendo rinunciato alle note), ma bastione = opera fortificata costituita da un terrapieno contenuto entro un perimetro poligonale di grosse muraglie di sostegno, e Buck e Stephen fino a prova contraria non sono talpe. Le torri Martello sono piccole fortezze, dunque Celati specifica sbagliato, e invece la specificazione vera la dimentica: piattaforma circolare di tiro, sita al centro del terrazzo con su un gun-cannone. E fungendo la piattaforma da altare (il salto di Buck vale giusto da Introito, inizio della messa tridentina mentre Introibo ad altare Dei preceduto dal segno della croce è la formula recitata dal sacerdote ai piedi dell’altare prima dell’inizio, e corrisposta con Ad Deum qui laetificat juventutem meam del ministro – versetto che un pauroso-renitente Stephen s’era rifiutato appunto di recitare), essa sintetizza l’unione di Stato e Chiesa come votata alla guerra, nonostante gli appelli paralleli alla pace.

Qui fece un giro d’occhi e: He faced about and. Macché: Fece dietrofront (espressione idiomatica a rimarcare vieppiù il motivo militare) e… m’è venuto da scagliare il libro contro il muro, se l’avessi comprato.

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Maestoso, il pingue Buck Mulligan apparve sulla tromba della scala reggendo un catino di schiuma dove giacevano in croce uno specchio e un rasoio. Una vestaglia gialla, slacciata, gli si gonfiava leggermente dietro all’aria mite del mattino. Sollevò il catino al cielo e intonò:

Introibo ad altare Dei.
Bloccatosi, scrutò giù nella buia scala a chiocciola e ingiunse rude:
– Vieni su, Kinch. Vieni su, pauroso gesuita.
Solenne avanzò e salì sulla piattaforma circolare di tiro. Fece dietrofront e

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