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Gianni Kannitverstan Celati. Note su un traduttore presuntuoso # 2

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Sfogliando i sei numeri de “Il semplice”, sul quarto di ottobre 1996 sono incappato in Johann Peter Hebel, brevemente introdotto da Schneider e tradotto da Celati – neanche a farlo apposta, il pezzo più famoso, e pure da me più amato, delle Storie di Calendario, quello in cui il protagonista recatosi ad Amsterdam chiede ai passanti informazioni cui invariabilmente si sente rispondere: kannitverstan [non capisco] in un olandese che lui a sua volta non capisce, con gli effetti comici del caso. Bene, alla prima riga delle 2,5 pagine formato 18×12 m’è venuto un colpo: “Gli uomini hanno ogni giorno buone occasioni, a Emmeldingen e Gutefingel”… ma non si chiamano EmmenNdingen e GuNDeLfingel le due cittadine in questione, sulla via da Friburgo a Tubinga? E difatti così è nell’originale: awanti! …“non meno che a Amsterdam, d’osservar l’incertezza di tutte le cose terrene e di fare buon viso alla loro sorte, qualora lo vogliano, anche se dalle loro parti non ci sono capponi arrosto che volano per l’aria. Ma è per questa stessa strada che”… Stop! se è la stessa strada, perché il ma? e se c’è il ma, perché la stessa strada?! Quasi quasi traduco io, alla lettera: “L’uomo ha certo quotidianamente occasione a Emmendingen e Gundelfingen altrettanto bene che ad Amsterdam di meditare sull’instabilità di tutte le cose terrene, se vuole, e di accontentarsi del suo destino, anche se non gli volano intorno molti piccioni arrosto. Ma per la via più strana”… ah ecco, mo si capisce, a ’sto punto proseguo io …“ad Amsterdam un apprendista tedesco giunse attraverso l’errore alla verità e alla sua conoscenza”.

Ora son qua, cerco di fare il punto. Schneider è la traduttrice tedesca di Celati (otto libri a partire dal 1986), dunque rapporto fitto: possibile non abbia dato un’occhiata alla traduzione da lei premessa? Fortunatamente ho in casa Fr. Hölderlin, Poesie della torre, a cura di Schneider, trad. di Celati, Feltrinelli 1993, ossia l’unica prova consistente di Celati traduttore dal tedesco (prima non aveva tradotto una riga, né dimostrato interesse per cose tedesche ­– la vasta bibliografia di Finzioni occidentali ad es. mancava di titoli tedeschi), dove le sue Tre note introduttive concludono: “Debbo ringraziare Marianne Schneider per avermi aiutato a correggere molti miei errori e a risolvere molte difficoltà linguistiche. Sempre col suo aiuto ho radunato e aggiunto alle poesie alcuni documenti sulla lunga malattia del poeta. Una parte di questi documenti è stata tradotta da Giorgio Messori il quale, tra l’altro, si è assunto il compito non facile di rendere in italiano le lettere del falegname Zimmer, impastate di dialetto svevo”. Dunque con ordine:

– altro che un’occhiata! tante almeno quanti gli errori e quante le difficoltà.

– Celati non ha radunato né aggiunto alle poesie alcunché, perché l’edizione italiana replica al millimetro (senza segnalarlo) Fr. Hölderlin, Turmgedichte, a cura di Schneider, Schirmer 1991, la quale nemmeno aveva radunato o aggiunto alcunché, in quanto la sua edizione replicava al millimetro il vol. 9 della Frankfurter Ausgabe, a cura di D. Sattler, 1983.

– le nove lettere di Zimmer tradotte da Messori non presentano difficoltà in quanto elementari, e recano tracce minime di svevo perché Zimmer era un artigiano acculturato, con tanto di bibliotechina (quando gli arrivò Hölderlin in casa, si fece subito autografare la copia dell’Hyperion che possedeva da anni). Per imparzialità, riporto il primo terzo esatto della lettera prima: “Hir folgt der Faden von dem Bleicher, und auch 7 Himder und eine Bettdecke von Ihrem Sohn. Daß Geld vor die Flöte habe ich auch erhalten. Gestern bin ich zum erstenmahl mit Ihrem Lieben Sohn wieder ausgegangen, derselbe ist seitdem mein Vater seine Zweschen herunter gethan hat nicht mehr aus dem Hauß gekommen, damahls war Er auch mit draußen und lachte recht, wenn man schüttelte und die Zweschten Ihm auf den Kopf fielen. Salvo due sbavature, Hir per Hier e Himder per Hemder, il brano farebbe la felicità dei nostri maturandi (le storie di Hebel sì impastate di basso-alemanno, che poi è il gemello dell’alto-alemanno o svevo, i due sottodialetti diffusi nel Baden-Württemberg – ne ha fatti dunque di progressi Celati dal 1993 al 1996).

Andiamo però all’osso, sull’onda delle Tre note dedicate al ritmo come tratto essenziale del dire poetico, tanto più essenziale nel caso dell’ultimo Hölderlin, che per il resto ricorre a un lessico ristretto e una sintassi minima: “Tutte le nostre intenzioni espresse o inespresse, cioè tutti i moti dello spirito, debbono per forza affidarsi a quel programma ritmico che è già nella nostra parlata e nei nostri gesti, nelle cesure e negli intervalli tonali con cui si manifesta uno stato d’animo”, per cui succede che, affidandoci “senza precise intenzioni a un programma ritmico, come ad esempio quello d’un canone metrico, questo può guidare da sé le parole verso un loro ordine compiuto”. Ciò vale per le hölderliniane poesie della torre in genere (1806-1843), “ma soprattutto, straordinariamente lievi e sorprendenti sono le vedute descrittive e stagionali che Hölderlin comincia a comporre dopo il 1837-40”; ed ecco “la difficoltà maggiore nel tradurre queste poesie: rendere in un’altra lingua la loro ariosità ritmica, che fa pensare a certi ‘larghi’ di musica barocca”, difficoltà risolta da Celati col “seguire regole proprie dei fatti ritmici e tonali. Perciò ho tradotto queste poesie affidandomi a un canone metrico della tradizione italiana, con tutto quello che comporta”.

Ciò stante, l’ultimissima poesia, Die Aussicht / La veduta, varrà instar omnium. Leggiamola, premettendo l’originale (da cui scopriamo che i singoli versi sono giambi di 5 o 6 piedi, come del resto tutte le poesie del 1837-1843, mentre Celati le definisce assurdamente “quartine rimate con versi di undici piedi”):

 

Wenn in die Ferne geht der Menschen wohnend Leben,

Wo in die Ferne sich erglänzt die Zeit der Reben,

Ist auch dabei des Sommers leer Gefilde,

Der Wald erscheint mit seinem dunklen Bilde;
 
Daß die Natur ergänzt das Bild der Zeiten,

Daß die verweilt, sie schnell vorübergleiten,

Ist aus Vollkommenheit, des Himmels Höhe glänzet

Dem Menschen dann, wie Bäume Blüht’ umkränzet.
 
Quando lontana all’uom l’usata vita
lontan va dove fulvida è vendemmia,
spoglio d’estate anche il campo rimane,
il bosco col suo scuro volto appare.
 
Se la natura specchia le stagioni,
se essa resta e quelle passan presto,
ciò è Compiutezza; il cielo all’uom rifulge
come all’albero i fiori fan corona.
 

Zoomiamo: primo non tiene la rima, secondo adotta l’endecasillabo a prezzo di elisioni vocaliche (5 totali) e di stravolgimenti lessicali: v. 1: “all’uom” per “degli uomini”; v. 2 “fulvida è vendemmia” per “brilla il tempo della vite” (che è prima della vendemmia, quando gli acini brillano di trasparenza); v. 3: “d’estate il campo” per “il campo dell’estate” (che è spoglio a fine estate, mica d’estate); v. 5: “specchia” per “completa il quadro” (rispecchiamento ≠ completamento); v. 7: “il cielo” per “la sommità del cielo”. Infine due svarioni (v. 1: “usata”-gewohnt per “dimorante”-wohnend; v. 2: “”lontan va dove” per “va dove lontan” – che va lontan l’aveva già detto al v. 1, matto sì ma non sbadato) e una chicca (v. 7: “Compiutezza” maiuscolo – perché mai?).

E l’effetto? Non giudico, colgo solo una spia, laddove Celati riferendosi all’originale tedesco parla di “strofette alcioniche”: bene, a me sembra che alcionica sia la resa italiana, meglio dannunziana – con buona pace del largo barocco, che casomai il lettore potrà ascoltare qui.

 
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La prima puntata qui.
 

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