Il “grande airone”, l’“uomo solo al comando”, il “Campionissimo”: Fausto Coppi è una delle grandi icone del nostro Novecento, un personaggio che inconsciamente ha contribuito a comporre e colorare l’immaginario di un’Italia che si rialzava, e che di lui si è ritrovata orfana troppo presto.
L’Italia del dopoguerra e del primo boom economico riscopre entusiasmo e coraggio grazie anche a questo ragazzone allampanato e un po’ sgraziato, che in sella alla bicicletta si trasforma in una figura aerea, magica, irresistibile.
Fausto Coppi è il ciclista che ha lasciato i segni più epici, dolci e dolorosi nella storia di questo sport. E non solo, perché nell’Italia di quegli anni, ebbe pure il coraggio di mettere in lavoro un rapporto inatteso e spiazzante anche nella vita privata, riverberando il suo passaggio tra le salite impervie e bacchettone del costume nostrano. Uno scalatore nato, verrebbe da dire. L’hanno raccontato in tanti, ma questa volta è tutta un’altra storia.
Merito di Gino Cervi e Giovanni Battistuzzi, che da veri e comprovati appassionati di ciclismo, hanno composto con pazienza ispirata e certosina un mosaico di cento microstorie, scandite da un alfabeto in cui gli aggettivi “casuale” e “causale” diventano sinonimi.
Si sono accomodati idealmente accanto a lui, con la macchina da scrivere in parte, e hanno immaginato tante piccole tappe, sportive e domestiche, utilizzando lo strumento poetico della prossimità, con un’energia empatica che non può avere altri genitori che la passione e il desiderio. E hanno dipinto un affresco in colorama in cui le gesta sportive prendono corpo insieme alle luci e alle ombre della sfera privata, nascosta, tra la rivalità con Gino Bartali, figlia di un vizio campanilistico tutto italico, e il dolore per la morte del fratello Serse, caduto in corsa.
Il giovane Fausto con la sua prima bici da garzone, l’amore adultero per la dama bianca, i nomi delle imprese alpine dal sapore imprevedibilmente esotico: Izoard, Col de Galibier, Stelvio. E poi la strada, la pista, le “bombe” e la caccia al beccaccino, Gianni Brera e Orio Vergani.
C’è tanto di inedito su Fausto Coppi, in questo libro che si può leggere partendo dal fondo o da metà, perché ogni tappa è buona, e per ogni lettera c’è un’illustrazione di Riccardo Guasco che vale doppio, ogni segno dell’alfabeto si trasforma nella sua sagoma, o viceversa: il torace in sella alla bicicletta è la A, il naso del suo profilo è la Z, la O è la gomma che sta gonfiando, la V sono gli avambracci nella tensione dello sprint.
La prefazione di Adriano Sofri, fedelissimo coppiano, si chiude così:
“La folla per definizione era bartaliana, di quel toscano così esemplarmente capace di cattolicesimo e bestemmie addomesticate. Quella di Coppi era una folla solitaria. Vinceva ed era sedotta dalla sconfitta, da una sconfitta più alta, più profonda. “Un dio stordito dalla sua forza, piombato in un mondo che non ama”: così Anna Maria Ortese, al seguito di un Giro d’Italia. Naso a parte, avrei scommesso che Paolo Conte tenesse per Coppi. Avessi la musica, prenderei il reportage di Anna Maria Ortese e proverei a farne la canzone che manca a Coppi.”
Claudio Sanfilippo
Recensione al libro ALFABETO FAUSTO COPPI (Ediciclo Editore) di Gino Cervi e Giovanni Battistuzzi. Illustrazioni di Riccardo Guasco, pagg. 320, euro 28.