Un aperitivo pericoloso: “Gin tonic e pistacchi è quello che prende Aomame nel bar di un hotel dove va a rilassarsi dopo il lavoro. Il lavoro, per lei, è l’omicidio su commissione di uomini indegni”.
Una città sempre in viaggio: “Scrivere di Tōkyō significa accostarsi a una cosa viva, uno spazio in trasformazione, a cui la cultura giapponese ha forse trovato un linguaggio adatto attraverso i dipinti e le stampe dei meisho, letteralmente «posti famosi», posti in cui succedevano o erano successi eventi soprannaturali o fatti storici, in cui c’era qualcosa da osservare o il panorama era spettacolare”.
Una questione di privacy: “Pongono anche altri problemi, visto che sono in vecchie case di legno «con pareti fragili e sottili come wafer», come sa bene il protagonista del racconto Su un cuscino di pietre, che vive ad Asagaya, non lontano da Shinjuku. Mettiamo il caso che ci sia una ragazza con cui si abbia voglia far sesso e che a lei piaccia gridare. È un bel problema: «Era già notte fonda, e se lei si metteva a urlare, i vicini avrebbero sentito tutto»”
Dal 26 gennaio sarà in libreria A Tokyo con Murakami di Giorgia Sallusti (Giulio Perrone editore 2024, pp.144, € 16).
Giorgia Sallusti, è libraia, yamatologa e traduttrice è laureata in lingue e civiltà orientali alla Sapienza e ha aperto Bookish, libreria indipendente specializzata in letterature del Nord Africa, del Medio e dell’Estremo Oriente. Scrive di libri per «Il manifesto» e «Altri animali», rivista di cui è anche editor, occupandosi di Giappone, Oriente e femminismi.
Con questo libro l’autrice ci conduce attraverso i vari quartieri della metropoli giapponese, seguendo le tracce dello scrittore. Da un quartiere all’altro, sorvolando la città che si svela sotto di noi come un enorme organismo vivente, in discesa verso l’aeroporto di Narita, iniziamo il nostro percorso attraverso paesaggi diversificati: capannoni e case di legno, antiche botteghe e moderni grattacieli di vetro e acciaio. La Tokyo descritta da Murakami ci guiderà tra le librerie di Kanda e Shinjuku, nelle accoglienti panetterie, lungo i parchi e i fiumi, seguendo le tracce del protagonista dell’ultimo romanzo, La città e le sue mura incerte, alla ricerca di una metropoli autentica che si cela ai nostri occhi ma che avvertiamo pulsare sotto di noi.
La misteriosa onniscienza dei gatti: “Dei tanti animali che popolano la scrittura di Murakami, è forse ai gatti che dovremmo chiedere maggior consiglio sulla città che abitano, e di cui noi siamo ospiti. Come fa Hoshino in Kafka sulla spiaggia che parla col gatto Torō («ventresca di tonno», perché vive in un ristorante di sushi) e gli chiede se davvero lui sa cosa si deve fare. «Certo che lo so» gli risponde il gatto, «non ti ho appena detto che i gatti sanno tutto?»”.
A Tokyo con Murakami attraverso la musica, il cibo e la storia dipinge la città come un universo in costante movimento, invitandoci a esplorare gli angoli, gli incroci e le strade che Murakami Haruki ha intrecciato in oltre quarant’anni di narrativa.
Un libro interessante che è una guida insolita della città di Tokio e un viaggio letterario attraverso la produzione di Haruki Murakami.
Carlo Tortarolo
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L’aereo sorvola terreni diligentemente sagomati in porzioni coltivate mentre le campagne si alternano alle ampie aree grigie di città. Dall’alto Tōkyō si dispiega occupando per un momento tutto l’oblò, per poi nascondersi alle spalle mentre il pilota scende verso la campagna intorno all’aeroporto di Narita. «È una metropoli quella che abbiamo sotto gli occhi». Comincia così After dark, nel quale Murakami disegna la città nelle sue ore di tenebra, raccontandola fino al mattino. È alla ricerca di questa Tōkyō cangiante che voglio esplorare gli angoli, gli incroci e le strade che Murakami Haruki ha intessuto in più di quarant’anni di libri.
Vista dall’alto la città sembra un animale, un «confuso agglomerato di organi» la chiama Murakami, le cui strade sospingono il flusso vitale come sangue di arterie, «un mare di luci al neon di mille colori». Ma adesso all’aeroporto di Narita è mattina, e i viaggiatori che hanno passato la notte in volo si sgranchiscono e cercano di prendere le misure di questo luogo, prima di saltare sul treno espresso che li porterà in città.
La prima volta che ho messo piede in Giappone ero una studentessa al secondo anno di università, con la testa piena di regole della grammatica giapponese, i kanji, la frase relativa e il causativo passivo. Avevo appena letto Norwegian wood, che ancora oggi è uno dei romanzi più popolari di Murakami, e durante il volo di quattordici ore Roma-Tōkyō – era anche la mia prima volta su un aereo – avevo finito per due volte Super Mario sullo schermo installato sul sedile davanti al mio. Come la Midori letteraria, anche io vivevo circondata dai libri – lei nella sua libreria Kobayashi, io nella mia stanzetta a Roma – e me ne sarei riportati indietro abbastanza da essere costretta a comprare un paio di zaini in più.
Tōkyō non è la città in cui è nato Murakami Haruki – che viene dalla culla della letteratura classica, Kyōto, ed è cresciuto tra Kōbe e Ōsaka – ma è quella che ha scelto per la sua vita adulta. Come Tōru in Norwegian wood, arriva nella capitale per studiare all’università. Non ha nemmeno vent’anni quando scoppieranno i moti studenteschi. Li attraversa in solitudine, con pochi amici e quasi nessun coinvolgimento, in quelle che lui chiamerà «le fazioni in lotta». «Avevo esperienza di pose rivoluzionarie, ma l’argomento non mi pareva interessante» racconterà in Il mestiere dello scrittore.
La città cambia sotto ai suoi occhi e assieme a lui, le palazzine di cemento che prendono il posto delle vecchie case del dopoguerra. Anche i personaggi dei suoi romanzi esplorano questa trasformazione anno dopo anno, strada dopo strada. I suoi libri si fanno veicolo di una visione di Tōkyō in realtà aumentata, nella confusione urbana c’è sempre qualcosa che attira lo sguardo su un dettaglio che sfugge ad altri occhi. Tōkyō è «troppo grande, e le possibilità infinite. Qualunque cosa uno volesse fare la scelta era troppo vasta, la gente parlava in modo strano, il tempo scorreva troppo in fretta» dice Tsukuru in L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio. Bisogna dargli ragione, a Tsukuru, la città finisce per influenzarti molto più di quanto non credessi all’inizio. Ricordo le mie amiche del Kansai prendermi in giro quando dai giorni nella capitale avevo preso a chiudere le frasi con un jan esclamativo, un po’ come ripetere in continuazione, no? Cercare la città di Murakami significava arrivare a Tōkyō e infilarsi tra le pieghe urbane, inseguendo un paese delle meraviglie hardboiled, come un suo titolo, che si trova appena sotto la superficie. Non sembra casuale, quindi, che Murakami abbia aperto un jazz bar con la moglie Yōko la cui insegna era lo Stregatto di Lewis Carroll – ma ci torneremo più avanti. Per ora, abbiamo appena sceso le scalette dell’aereo fino al suolo giapponese: è arrivato il momento di fare i primi passi in città.
I voli internazionali atterrano a Narita, nella prefettura di Chiba. L’aeroporto è stato inaugurato nel 1978; prima si atterrava a Haneda, che ora resta in uso per i voli nazionali o le tratte brevi. Già all’aeroporto si può avere un assaggio di Giappone, se i pasti serviti sull’aereo non hanno soddisfatto lo spirito ci si rifà con una tazza di ramen o un’anguilla arrostita, altrimenti basta un caffè Tōkyō blend da portar via mentre si cerca la stazione del Narita Express per il centro città.
Narita, che ora appare come un efficiente aeroporto internazionale, è stato a lungo un campo di battaglia. All’inizio del ventesimo secolo, su quei terreni nella zona di Sanrizuka sorgevano le fattorie di proprietà del trono imperiale, le Goryō bokujō. Una parte di quei possedimenti viene venduta nel 1923 per essere coltivata da famiglie di samurai di basso rango. Negli anni Sessanta il piccolo aeroporto di Haneda sta per raggiungere la capacità massima: il Giappone incomincia a prosperare e i voli aumentano, perciò nel 1963 il Ministero dei trasporti elabora un piano per la costruzione del nuovo aeroporto internazionale di Tōkyō.