“Blu” di Giorgia Tribuiani (Fazi Editore, 2021 pp.220, € 16.00) è un libro di trascinante intensità emotiva, un’opera sofferta e alimentata dal riconoscimento dell’origine del disagio attraverso la complessità oscura delle vicissitudini umane. L’autrice vive la contingenza animata delle inquietudini e muove i suoi tormenti per contrapposizione tentando di decifrare ogni istintiva confessione.
La protagonista della storia e il suo doppio si raccontano in un’unica realtà ontologica, frammentata e disorientata, partecipano alla tortuosa trama del conflitto interiore. La deviazione della mente è un logos interiore che regola le contraddizioni. L’identità discontinua e irrequieta delle parole comunica un codice circolare, avvolto dagli affanni esistenziali, nella formula interlocutoria delle domande ossessive, nell’emozione frenetica dell’indagine dell’inconscio, nel fluire del pensiero contaminato. La narrazione impiega la facoltà percettiva e sensitiva dell’anima sensibile, la scrittura deturpata dalla corruzione psichica tra vero e falso, la dottrina esplicita dell’essenza e della causa. L’inconscio riconosce la perdizione nei propri limiti, domina l’affezione e lo spavento, osteggia la qualità del riscatto, sconvolgendo la disposizione dell’intelletto. Giorgia Tribuiani media lo squilibrio degli eccessi con estrema forza, nella relazione tra il mondo fisico e l’indecifrabile mondo spirituale, rivelando le sensazioni come forme ancestrali del corpo e della sua materia definita. La coerenza parabolica dei contenuti genera la costante ricerca intelligibile, incrocia le coincidenze dei contrari, condivide l’anima del mondo, trasmette le espressioni estetiche dell’energia vivificatrice, interpreta la valutazione privilegiata dell’arte, la redenzione di tutte le sofferenze.
L’autrice esamina i significati della propria coscienza attraverso il personaggio principale, la ragazza Ginevra o meglio Blu, nome forse motivato, nel paradosso della simbologia dei colori, dal segno antitetico, benché evocativo di armonia, di equilibrio, di stabilità nella sfera emotiva, contrastante all’immediatezza della dissonanza, dell’instabilità, dell’agitazione e dell’insicurezza. L’esistenza dell’io stesso è problematica, ma ogni manifestazione intuitiva degli impulsi, del proprio desiderio, esorta ad andare oltre, nella difesa di ogni evoluzione umana, nella resistenza e nella traslazione. Il processo rivelativo della storia analizza i fantasmi, il malessere intimo, il trauma primitivo della scissione della personalità, disgiunge il ruolo salvifico della passione artistica come risposta alle proprie tensioni, come liberazione creativa dell’essere. Il linguaggio maniacale, tagliente, paranoico, adempie alla funzione di una sola, possibile comunicazione con l’ambiente circostante, alla visione della realtà distorta dal rifugio in altre trasformazioni, alla negazione del sentimento di appartenenza, all’ansia sensoriale. Leggere Blu è un invito a sciogliere il rituale divorante di ogni criterio di giudizio e comprendere lo scenario immaginario come uno spazio ampio per esprimere ogni esibizione che nasce dalla voragine del dolore. La fuga da se stessi nutre il passaggio irreale dell’ombra, precipita nel palcoscenico della libertà performativa, rappresentando ogni azione svincolata dalla misura di ogni comune ragionevolezza.
Rita Bompadre
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Distruggere la gioia. Distruggere la purezza. Dare amore solo in cambio di amore. Fare del bene per avvicinare le persone, per soddisfare un disperato desiderio di attenzione e non riuscire, del resto, a trovare motivi disinteressati per compiere buone azioni. Desiderarli tanto da star male. Desiderarli da odiare le buone azioni degli altri, se oltre a sembrare buone sembrano anche prive di egoismo. Odiare le persone prive di egoismo. Distruggere la purezza, distruggere la gioia.
(…)
Nascondi sorriso e lacrime nella coppa delle mani. Tutto ciò che di brutto hai vissuto non è stato che una prova per arrivare fin qui: l’esclusione, la solitudine, il dolore, nient’altro che ostacoli da affrontare per godere appieno di questo momento, una preparazione necessaria per essere scelti da Dora, ora lo sai, e ti levi in piedi e torni a girare tutte le stampe coi volti e i corpi dei performer, guardatemi, io sono Blu e sono una di voi.
(…)
Ti chiedi come fare, tu, a guardare ogni dettaglio di un coso che ti sputa in faccia la tua immagine, ma invece di risposte ricevi il tuo stesso sguardo scettico. Lo trattieni; lo sostieni. Lo specchio sulle ginocchia e la testa china, ruoti piano l’oggetto, segui le scanalature in legno della cornice, vai su su con lo sguardo fino al gancio per appenderlo al muro e poi lo volti: di nuovo tu, più grande. Una bocca e un naso e un viso più grandi fronteggiano i tuoi. Batti le palpebre. Rivolti lo specchio e sei di nuovo tu, Blu, a grandezza naturale.
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Vorrei che non piangessi, dici, davvero, ma sai che la solitudine ti infetta il sangue, e che hai bisogno di (feritoie) ferite per entrare nel cuore degli altri come una malattia. Ma prima o poi, Blu, le ferite si asciugano, le croste chiudono ingressi e i citofoni suonano, e quando a suonare è il tuo, segno che la tua prima e ultima festa di carnevale deve avere inizio, nascondi Ken e Barbie nello zaino di tua sorella, infili il cerchietto con le corna rosse e corri ad aprire.
(…)
Guardi il vetro e lei è lì; ti avvicini, guardi attraverso i buchi delle imposte e lei non c’è più, le sei entrata dentro e ora puoi spiare quello che c’è oltre. Le finestre e i balconi fioriti, uno sprazzo di cielo, la strada coi diciannove lampioni (torni indietro: venti) che porta alla fermata dell’autobus che passa ogni trentacinque minuti e ti accompagna in centro, e a scuola, e nella casa dove la Castaldi ti ha toccato i capelli e ti ha detto Ho uno spazio anche per te. Chiudi gli occhi e lo vedi, quello spazio, e sai che un giorno sarai lì, avrai una tavola con gli scontrini e li staccherai e leggerai uno a uno, e nel pubblico tua madre gemerà quando le tue puntine rotoleranno al suolo e tuo padre stringerà la mano di Costanza quando le calpesterai, ma tu avrai in quel dolore una catarsi. Rivivrai l’ossessione, la troverai in ognuno di quei giorni, e quando riempirà la stanza e urlerà e scalcerà, la donerai al pubblico in sacrificio, e dove lei sarà lì tu sarai. Staccherai l’ultima puntina, leggerai l’ultimo scontrino, e solo allora, solo quando avrai speso l’ultima voce per l’ultimo inchiostro imbevuto nell’ultima goccia di sangue, potrai guardare il pubblico e ti asciugherai le guance.