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Giorgio Calabrese inedito e intervista ad Annagloria Nieri

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Benvenuti a questa intervista con Annagloria Nieri, celebre cantante italiana conosciuta anche a livello internazionale e famosa per la sua partecipazione al Festival di Sanremo del 1975 con il brano La paura di morire, testo di Giorgio Calabrese, musica di Ettore Ballotta. Annagloria ha poi intrapreso un percorso editoriale al fianco dell’editore e produttore discografico Gualtiero Guerrini e oggi è a capo della storica Etichetta Discografica milanese Bentler e delle Edizioni Musicali San Giusto Ed&Ra.

Ci soffermeremo su un momento particolare della sua carriera musicale, l’incontro con i grandissimi autori Giorgio Calabrese e Ettore Ballotta.

In quest’occasione, Annagloria ci ha concesso la pubblicazione dei testi inediti di alcuni loro brani mai pubblicati e registrati alla SIAE per le Edizioni Musicali San Giusto Ed&Ra.

Gli inediti sono tre:

Che altro c’è da dire – brano di impronta lirica e teatrale molto largo e di grande espressione.

Di giorno in giorno – ballata di stile bolscevico.

L’esperienza – bossa nova samba alla Jobim dalle divisioni jazzistiche.

I tre brani sono stati composti, assieme ad altri, su progetto per un Long Playing per Annagloria a firma Giorgio Calabrese-Ettore Ballotta.

La linea melodica nei tre brani è suonata dal flicorno di Mauro Malavasi.

Carlo Tortarolo

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CHE ALTRO C’È DA DIRE                                                                                                                                                                   

(testo G. Calabrese, musica E. Ballotta)

Che altro c’è da dire

questa è una situazione

che non ha

né parole né lacrime

e se ne va lungo il filo dei giorni

e se ne va chissà dove

Che altro c’è da dire

tu che ripeti “vedrai che poi”

ma quale “poi” ma quando “poi”

Il dolore degli altri

è sempre tanto facile da sopportare

no?

Che altro c’è da dire

quello che provo ora

lo so soltanto io

anche se dici che mi puoi capire

non è così

altro è parlar di morte

altro è morire

Edizioni Musicali San Giusto Ed&Ra

© Riproduzione riservata

DI GIORNO IN GIORNO                                                                                                                                                                     

(testo G. Calabrese, musica E. Ballotta)

Di giorno in giorno

mi convinco sempre più

che il vero male

da combattere sei tu

ho spinto i sogni alla deriva

per disfarmene però

non è così che guarirò

di giorno in giorno

scopro l’inutilità

di questo modo

di evitare la realtà

perché né tempo né distanza

non risolveranno niente

e in fondo a me

la nostalgia di te

non è finita mai

Edizioni Musicali San Giusto Ed&Ra

© Riproduzione riservata

Giorgio Calabrese

L’ESPERIENZA                                                                                                                                                                                       

(testo G. Calabrese, musica E. Ballotta)

Ti dico che l’esperienza

non serve a niente se no

adesso sarei lontana

con l’esperienza che ho

se ti innamori già non sei più

recuperabile

e puoi benissimo

stare a discutere

fino a domani

La voce dell’esperienza

fa bei discorsi però

non c’è peggior sordo

di chi non vuol sentire perciò

Immagina che dialogo c’è

tra l’esperienza inutile e me

che sempre innamorata di te

continuo a crederti.

Edizioni Musicali San Giusto Ed&Ra

© Riproduzione riservata

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Ettore Ballotta

C.T.: Annagloria cosa ci puoi raccontare di Giorgio Calabrese?

A: Avevo 18 anni e i miei ricordi sono perlopiù emozionali e legati a sensazioni. Giorgio Calabrese era un genovese riservato e un po’ schivo, famoso nel mondo ed io, “piccola piccola” ero stupita che potesse credere in me e soprattutto, scrivere per me. C’erano comunque dei precedenti che mi legavano a lui: i suoi brani: Arrivederci, Il nostro concerto, E se domani avevano segnato la mia infanzia.

I brani di Mina, ma soprattutto di Aznavour, facevano parte del mio repertorio fin da ragazzina e al mio provino alla Bentler di Guerrini nel ’72 avevo cantato proprio la canzone Ti lasci andare, una traduzione di Aznavour fatta da Calabrese.

C.T.: E il provino come è andato, immagino bene?

A: Si, Guerrini intuì che per sensibilità facevo parte di quel mondo che stava sparendo e mi portò a Bologna da Ballotta, dove conobbi Calabrese.

C.T.: Chi era Giorgio Calabrese?

A: Era un grandissimo paroliere e fu traduttore di quasi tutti i brani internazionali in italiano. Una profonda conoscenza delle lingue gli permetteva di tradurre una canzone straniera in metrica perfetta senza mai uscire dal concetto e dalla semantica originali. Per esempio, i brani di Aznavour tradotti da lui in italiano ritengo siano più belli dell’originale francese.

C.T.: Parlami de La Paura di morire, come avvenne la tua partecipazione a Sanremo?

A: Come avvenne non lo so, fu un caso strano, un brano difficilissimo che, seppi poi, avrebbe dovuto cantare Mina e che io ascoltavo nello studio di Ballotta dalla bravissima Annamaria Baratta, in arte Suan, cantante e moglie di Calabrese. Ricordo che Guerrini disse: <<Facciamola studiare ad Annagloria e poi la facciamo ascoltare a Giorgio>>.

Finì che mi ritrovai a Sanremo a 19 anni con questo titolo “forte” che abbiamo tentato inutilmente di cambiare, ma Calabrese fu irremovibile.

C.T.: Cosa mi puoi raccontare ancora di Calabrese?

A.: Veniva da Roma con la sua bellissima moglie e i suoi meravigliosi bambini Christian e Alessandro per incontrarci, la sua famiglia veniva prima di tutto.

Aveva l’allegria e il sarcasmo del genovese, amava la vita nelle sue forme più semplici ed essenziali, il buon mangiare, il buon vino, la natura e la musica, unito al senso profondo della morte, era un uomo a 360 ° evoluto, completo, profondo e dall’impronta geniale.

Era soprattutto un innamorato dell’amore nel senso letterario del termine. Infatti, nelle sue

canzoni è come se fosse sempre innamorato.

Non amava troppo il presenzialismo e l’autocompiacimento. Era ironico, sarcastico, umile nella sua grandezza, ha sviscerato l’amore, soprattutto scrutando l’animo femminile.

Si esprimeva al massimo nei suoi testi, di tale portata classica da competere, secondo me, con le opere di D’Annunzio, Quasimodo e Montale. Un poeta filosofo da annoverare tra i più grandi intellettuali del ‘900.

Mi piace infatti, ricordarlo in tutte le sue trasmissioni televisive RAI: Europa Europa, Fantastico, Donna sotto le stelle e tantissime altre tra cui Senza Rete, alla quale sognavo di partecipare.

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C.T.: Parlami del luogo dove sono nati questi brani.

A: Sulla collina sopra Rastignano, vicino a Bologna, dove Ballotta viveva con sua moglie Piera in una villetta con un po’ di terreno nel quale il Maestro coltivava il radicchio.

La casa era piena di enormi partiture manoscritte, composizioni e arrangiamenti per l’orchestra della RAI spesso diretta da Pino Calvi. Ballotta è stato un grandissimo musicista e le sue musiche lo testimoniano.

Una volta un po’ rattristata dalle nuove tendenze musicali gli chiesi come mai la musica stesse cambiando così radicalmente e diventasse sempre più piccola.

C.T.: E lui cosa ha risposto?

A: Lui mi ha guardato di traverso, ci ha pensato un po’ su e poi in uno dei suoi soliti ghigni scherzosi disse una sola frase: <<la colpa è dei Beatles!>>. Poi lui rise di gusto. Io no.

C.T.: Chi era Ettore Ballotta?

A: Era docente alla cattedra di Jazz al conservatorio di Bologna, jazzista fino al midollo e dal jazz venivano tutte le sue armonizzazioni anche le più larghe. Spiegava che le troppe verticalizzazioni , il troppo tecnicismo, stavano inquinando la musica jazz. Era un profeta della musica.

Più volte è successo che squillasse il campanello della porta e Piera strillava: <<Ettore, c’è Celso!>>.

Era un suo allievo di conservatorio che entrava con sottobraccio intere risme di partiture da far controllare al maestro, si chiamava Celso Valli.

C.T.: Il famoso compositore e arrangiatore?

A.: Esatto, il grande Celso, anche lui giovanissimo. Di lui Ballotta diceva: <<Celso è bravo, è un bravissimo pianista, ha il tocco pianistico perfetto e deve decidere se farà il pianista o il compositore, è una promessa della musica italiana>>. E poi con la sua particolare erre moscia aggiungeva <<Celso farà Strada>>. Profetico.

Ricordo che andai ad un concerto di Sarah Vaughan dove Celso era presente con il suo pianoforte.

Facemmo anche progetti su una possibile big band insieme ad altri allievi di Ettore tra cui il chitarrista Jimmy Villotti, il batterista Vittorio Volpe e il flicorno Mauro Malavasi con pianista Celso Valli e non vorrei sbagliare ma mi sembra ci fosse anche Fio Zanotti.

Un progetto ambizioso, ma poi non si riuscì a far nulla, anche se a me l’idea piaceva tantissimo, perché era molto dispendiosa e come spesso accade in Italia per le cose belle i soldi non si trovano mai.

A proposito di Sarah Vaughan una volta Ballotta mi stupì venendosene fuori con una frase: <<L’Annagloria mi ricorda Sarah Vaughan>>, si precipitò in studio a prendermi un suo disco che mi diede dicendomi di ascoltarlo, mi sarebbe bastato poco per imparare a cantare come lei e avrei dovuto restituirglielo presto. Cosa che non feci mai, lo ascolto ancora anche con il cuore.

La stima di Ettore nei miei confronti era così alta da farmi sempre partecipe delle sue composizioni, mi chiedeva come avrei svolto un fraseggio o come risolvere un finale.

Con lui, Guerrini portò a compimento vari progetti interessanti, tra cui l’album Evolution now con il brano più importante Bentler Song. In questo LP Ballotta si firma con lo pseudonimo Ector Davis.

C.T.: Un vero sodalizio professionale quindi?

A: Si certo, spesso quando Guerrini arrivava entusiasta con una nuova idea Ettore rispondeva con un’allegra rassegnazione <<Gualtiero, tanto non succede niente!>>. Oppure lo ricordo con la sua erre moscia mentre commenta i suoi brani: <<Gualtiero, sono brani difficili!>>.

C.T.: Cosa ti senti di dire che possa essere di aiuto alla riscoperta di questi grandi personaggi della musica italiana?

A (Annagloria ci pensa un po’): Noi ci siamo illusi che alla fine il jazz, fuso con la grande musica classica, avrebbe vinto, diventando un nuovo genere. Invece sulla musica impegnativa vinse la chiacchiera impegnata dei cantautori parolai. Ma noi, su quella collina, quel mondo impegnato l’avevamo superato e lo stavamo completamente snobbando. Per tutti noi, sulla collina, la musica arrivava sempre prima dello spettacolo, della sensazionalità, della politica e quindi anche del mercato… appunto “eravamo in collina”.

C.T.: E questi grandi maestri cosa possono ancora insegnarci?

A: Attraverso i loro testi si potrà andare alla riscoperta di quella musica che amavano profondamente e di cui avevano un sacro e reverenziale rispetto, proprio perché capace di stimolare la loro creatività e fantasia, quella musica che io non ho potuto più cantare con mio grande rammarico perché le radiazioni della Bomba Beatles la cancelleranno per cinquant’anni.

Capisco anche che i “Mostri Sacri” della Cultura e dello Spettacolo come Giorgio Calabrese e Ettore Ballotta, all’opera quando i cinquantenni di oggi non erano nati, non avrebbero bisogno di nessun trafiletto commemorativo o di pagine che li raccontino. Loro restano loro, senza bisogno di noi e delle nostre chiacchiere, siamo invece noi post-postmoderni ad avere bisogno di loro e di tutto quel mondo che hanno rappresentato e permeato con la loro Arte. Non sarebbe male se qualcuno, come per esempio, la grande Mina, oltre a cantare Celentano e Blanco, riproponesse i grandi capolavori di allora in qualche nuova versione al servizio della posterità.

C.T.: Annagloria, mi resta un dubbio. Ma secondo te Ballotta quando parlava dei Beatles che cosa voleva dire?

A: Che i Beatles non sapevano né leggere né scrivere la musica, forse, proprio come me.

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