Battendo a macchina è il titolo della poesia di Giorgio Caproni qui sotto dove evoca la madre giovane (la ragazza prima che lui nascesse) a Livorno e invita per così dire la poesia (tutta storia gentile) a dirsi (fine e popolare trepida e ardita). Nel 1982 al Teatro Flaiano di Roma Caproni partecipò a un incontro “introdotto da Maria Luisa Spaziani e registrato da Pietro Tordi, fa parte di una serie di eventi organizzati dal Movimento Poesia, a cui lo stesso Caproni aderì.”, come scrive Roberto Mosena nell’intro a Sulla poesia, edito da ItaloSvevo nel 2016, e nell’intervento Caproni disse così:
«Il poeta è un minatore, è poeta colui che riesce a calarsi più a fondo in quelle che il grande Machado definiva “las secretas galerías del alma”. E lì attingere quei nodi di luce che sotto gli strati superficiali, diversissimi tra individuo e individuo, sono comuni a tutti, anche se pochi ne hanno coscienza.»
Mia mano, fatti piuma:
fatti vela; e leggera
muovendoti sulla tastiera,
sii cauta. E bada, prima
di fermare la rima,
che stai scrivendo d’una
che fu viva e fu vera.
Tu sai che la mia preghiera
è schietta, e che l’errore
è pronto a stornare il cuore.
Sii arguta e attenta: pia.
Sii magra e sii poesia
se vuoi essere vita.
E se non vuoi tradita
la sua semplice gloria,
sii fine e popolare
come fu lei – sii ardita
e trepida, tutta storia
gentile, senza ambizione.
Allora sul Voltone,
ventilata in un maggio
di barche, se paziente
chissà che, con la gente,
non prenda aire e coraggio
anche tu, al suo passaggio.